Richard Jewell – Una storia da raccontare

Gabriel Carlevale

Gennaio 22, 2020

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Richard Jewell

 

“Lo accusano due delle forze più potenti del mondo: il governo degli stati uniti e i media”.

Clint Eastwood a maggio sarà uno splendido novantenne. Sebbene possa sembrare scontato, è una dato che deve far riflettere, perché mai nella settima arte, siamo stati testimoni di un autore che non solo ha fatto la storia, ma continua ad incarnare una delle sue parti più importanti. E allora, non ci resta che sperare che questo lungo sogno continui il più possibile, come nelle favole più belle.

Atlanta, 1996. Richard Jewell è un trentenne appassionato di sicurezza, che sogna da tutta una vita di far parte di una qualsiasi forza d’ordine. Vive ancora con la mamma, ha una vita piuttosto solitaria, dedita alla ricerca del suo posto nel mondo. Nei giorni dei giochi olimpici, è incaricato alla sicurezza di una compagnia di telecomunicazioni (AT&T), quando nota uno zaino sospetto.

Quel dubbio, osteggiato da tutti, si trasforma in tragica realtà quando la bomba esplode, uccidendo due persone e causando centinaia di vittime. Celebrato come l’eroe che ha evitato una strage ancora maggiore, in poco più di tre giorni diventa l’indiziato numero uno, trasformando quindici improvvisi minuti di fama in un brutto incubo.

Ancora la storia di un uomo comune, di quelli che non avranno mai un targa celebrativa o un ricordo nella mente del paese. Eastwood, nonostante l’età, continua con forza a raccontare un cinema che va piano piano scomparendo, portando sullo schermo l’ennesimo spaccato di vita americana. Partendo dal articolo del 1997 American Nightmare: The Ballad of Richard Jewell, il regista californiano si affida allo sceneggiatore Billy Ray per raccontare ascesa e discesa di un personaggi ambiguo, che vive in una condizione di profondo disagio ed emarginazione.

A differenza del Joker di Todd Philipps, Eastwood evita facili isterismi narrativi e linguaggio pop, per addentrarsi con fermezza su tematiche già interessate dal suo cinema, in primis il potere occulto dei media e la bestialità di istituzioni come l’FBI. Messo alle strette dagli stessi personaggi che indossano la divisa tanto idolatrata, Jewell assume più volte una goffaggine che sfiora il comico, ma lascia emergere una fragilità nascosta dietro dogmi autoindotti.

Attraverso la sua storia, Eastwood mette ancora sotto accusa l’approccio alle indagini nella giustizia americana, che troppo spesso esaspera l’effetto mediatico di giudizio morale, coadiuvata da un’informazione al limite dello spettacolo. In questo sono evocativi i personaggi dell’agente Tom Shaw (Jon Hamm) e Kathy Scruggs (Olivia Wilde), che intrecciano una relazione erotica per reciproche opportunità, utile per mettere in scena l’insofferenza del regista verso un mondo sempre più farisaico e opportunista.

Il circo, prima o poi, chiude i battenti. Ecco quindi che a difendere lo sfortunato ex-eroe spunta dal passato un vecchio amico avvocato, che ha lasciato il suo posto sicuro per non sottostare a controllo e volere di nessuno. Watson Bryant è l’ago della bilancia della storia, l’uomo che sceglie l’attacco come difesa, lottando con le stesse armi e sullo stesso campo di battaglia mediatico dei suoi avversari.

Sfidando l’ingerenza delle istituzioni sullo stesso terreno di gioco, Bryant rovescia il ruolo dell’informazione a semplice ruolo di presenza e sdrammatizza i momenti più bui, che spesso gravano sull’amorevole madre di Robert, Bobi.

La regia di Eastwood è al solito eccellente, evita colpi di teatro ed esercizi di stile per mettersi al servizio della storia, regalando primi piani e panoramiche eleganti e profonde. Non mancano omaggi al cinema dei grandi maestri, come Hitchcock e Altman (le scene di rito collettivo che ricordano Nashville, il soprannome Radar al protagonista come in M.A.S.H.). Asciutta, pulita, la macchina da presa è un personaggio quasi invisibile che permette ai protagonisti di muoversi liberamente senza nessun senso di oppressione.

Paul Walter Hauser è semplicemente da applausi nel connotare all’uomo Jewell un candore che sfocia nell’ingenuità senza mai cadere nel ridicolo. Sugli scudi anche un sontuoso Sam Rockwell ed un’emozionante Kathy Bates, quest’ultima candidata come miglior attrice non protagonista ai prossimi Oscar. Si potrebbero dire tante cose in conclusione, ma forse le parole più giuste, riguardo l’ultimo regalo dell’eterno Clint Eastwood, sono le stesse che chiudono il film: “Fatti guardare”.

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