Finalmente debutta in Italia l’attesa serie tv ambientata nell’eterno universo di Star Wars: The Mandalorian, diretta da Jon Favreau (già regista di Iron Man).
Ambientata cinque anni dopo le vicende de’ Il ritorno dello Jedi, racconta le avventure di un cacciatore di taglie mandaloriano oltre i confini della Nuova Repubblica. Navigando ai confini della legge, Mando, il protagonista, accetterà una taglia che lo porterà più lontano di quanto non avrebbe mai immaginato. L’incontro con l’ormai famigerato “baby Yoda” segnerà, per il ramingo solitario, l’inizio di un percorso di forte cambiamento. Il cinico e rassegnato pistolero affronterà i suoi peccati e le sue non-speranze, riscoprendo il suo passato grazie al rapporto col bambino.
Sotto l’elmo, infatti, non vi è solo un rude bounty hunter, ma un volto di angoscia e perdita, che la maschera cela e protegge.
Il Western in una galassia lontana lontana
In otto episodi si susseguono risse da saloon, duelli, doppi giochi e sparatorie. Vi è persino una puntata in cui il mandaloriano dovrà proteggere un villaggio di contadini indifesi dagli assalti di prepotenti banditi (la medesima trama de’ I Magnifici Sette, adattamento occidentale de’ I Sette Samurai).
In The Mandalorian rivive la luce dei grandi western del passato quali, appunto, I Magnifici Sette, Per un pugno di dollari o Mezzogiorno di fuoco, fino a Gli Spietati e altri ancora. Il tutto però inserito in quel meraviglioso e sconfinato universo quale è quello di Star Wars.
Del West però non vi sono solo trame e richiami, ma lo spirito, la malinconia, il senso di smarrimento e perdita. Non più storie di cavalieri e soldati, niente jedi o sith, lato oscuro o chiaro della Forza; il protagonista della serie viaggia nei luoghi più sporchi e squallidi della galassia, tra gli individui più loschi e ingannevoli, e non esistono buoni e cattivi. Ci si tiene stretti gli amici e i nemici e si aspetta di scoprire chi è chi. Siamo in una galassia lontana lontana, al di là del bene e del male, almeno in principio.
Una caratteristica del western, che ritroviamo in The Mandalorian, è il paesaggio moralizzato. Gli ambienti rappresentati riflettono gli individui che li abitano, ne rispecchiano l’animo, spesso arrugginito, corroso e infranto, violento e spietato.
Nello specifico, per quanto riguarda il nostro cacciatore di taglie senza nome, scorgiamo in lui, sotto quell’inespressivo elmo, un deserto vasto, che esige un grande cuore, ma che in fondo è anche vuoto. Al mandaloriano non interessa per chi lavora, nuova repubblica o residui imperiali; ciò che importa è il pagamento. All’apparenza sembra non credere in nulla, ha voltato le spalle agli uomini e all’universo, che forse, in un oscuro passato, aveva voltato le spalle a lui. Si accontenta di qualsiasi cosa, poiché non ha più niente da perdere.
Un essere vuoto dunque, come le lande desolate che percorre, una maschera che nasconde uno, nessuno e centomila guerrieri solitari e abbandonati. Una non-espressione per celare i sentimenti, ormai aridi, e l’angoscia di una sconfitta, dimenticata nelle sabbie del tempo. Un’armatura per proteggere una volontà spezzata, per evitare di essere feriti ancora.
Nell’elmo del mandaloriano si riassume la forza, la presa sul pubblico che hanno i personaggi raminghi, sperduti e misteriosi. Non vi è nulla nel loro sguardo, per cui può esservi tutto; ciò che provano o hanno provato è appena suggerito, bisogna dedurlo nelle potenzialità infinite dell’immaginazione. La scura visiera del pistolero vagabondo richiama quell’archetipo del texano dagli occhi di ghiaccio che fu Clint Eastwood. Entrambi cuori di tenebra, morbosamente affascinanti, arcani di difficile rivelazione.
Tuttavia, proprio in quel copricapo, vi è anche tutta la storia del protagonista. Quell’elmo fu il suo atto di fede, il ricordo delle sue origini e delle sue sofferenze. Il simbolo di un lontano passato, così arcaico da svanire nella leggenda, che poi divenne mito.
The Mandalorian è il western mitologico di cui parlava Sergio Leone, di quella mitologia che nacque nell’antica Grecia.
Questa è la via, questa è Sparta
Due domande sorgono spontanee guardando la serie: chi sono i mandaloriani? Da dove vengono?
Antichi racconti dell’universo espanso di Star Wars, che la Disney sta lentamente canonizzando, raccontano di un pianeta, Mandalore, e della sua stirpe di irriducibili guerrieri, i mandaloriani appunto.
Questi individui fortificavano il corpo e lo spirito, seguendo rigidi addestramenti; leggende di eoni perduti narrano che, senza poteri di sorta, solo grazie alla loro abilità combattiva e alla loro destrezza con le armi, potessero competere con i cavalieri Jedi, un tempo loro rivali. I mandaloriani erano solo esseri umani, privi di una qualunque essenza mistica, eppure in guerra erano tra i più temuti della galassia.
Di fatti, l’Impero decise di sterminarli, nella tragedia conosciuta come la Grande Purga. Dispersi, ma non estinti, si diedero alla macchia, riunendosi in piccole gilde segrete e uscendo solo uno alla volta, facendo pensare a tutti di essere scomparsi. Divennero cacciatori di taglie, solitari pur restando insieme, temuti e rispettati. Poiché, infatti, come anche nella serie constatiamo, un mandaloriano può tenere testa da solo persino a cinque avversari.
Tuttavia, non siamo di fronte ad una razza geneticamente impostata per essere forte, ma a una tradizione comune, una via.
The Armorer: Se uno sceglie di seguire la via di Mandalore, diviene insieme cacciatore e preda. Come può un uomo essere codardo, quando sceglie questa vita? Mai rimuovere l’elmo, mai dovrà essere rimosso. Questa è la via.
Una religione, dunque, forgiata nell’acciaio delle corazze, una fede di cui le armi fanno parte. Lo stesso mandaloriano dirà che «non è una razza, ma un credo».
Appare quanto mai palese che l’ispirazione per questi ferriferi combattenti venga da Sparta, l’antica poleis greca, dove si diceva risiedessero, non a caso, i guerrieri più nerboruti del mondo allora conosciuto. E ciò che rendeva incrollabili questi umani, come tutti quindi fallibili e fragili, era la disciplina. Non erano solo lance e spade a essere temprate, ma la volontà stessa degli uomini.
Come i mandaloriani dovevano affidarsi al loro elmo, poiché annulla l’individuo, la sua identità, e lo inserisce nella potenza della collettività di guerra, anche gli spartani avevano rigide regole di condotta. Tornare da una guerra sul proprio scudo o non tornare affatto; rientrare da uno scontro, vivi o morti, senza ferite sulla schiena, indici di un tentativo di fuga, quindi disonore e codardia. La somiglianza, poi, è riscontrabile proprio nella forma dell’elmo, che richiama senza mezzi termini i copricapi degli achei.
Se il vigore di un jedi risiede nella Forza, il coraggio dei mandaloriani è nel loro credo: credere in qualcosa li rende valorosi, e per dolorose che possano essere le avversità, loro resisteranno, nella polvere e nel sangue.
Mando, il nostro protagonista, segue ancora la via, ma sembra comunque cercare una sorta di redenzione. Era un trovatello, Mandalore lo ha cresciuto come figlio suo, l’Impero gli ha portato via la sua famiglia e il suo nome.
Per uno scherzo del destino, o per gli indissolubili legami che crea, il mandaloriano si imbatterà in un piccolo orfano. Era la sua taglia, rapida e semplice da incassare, ma rivedrà troppo di se stesso nel bambino. Inoltre, c’è la via da seguire.
The Armorer: un trovatello ti è affidato. secondo il credo, fin tanto che non si riunirà ai suoi simili, tu sarai suo padre. questa è la via.
The Mandalorian risulta, infine, una storia di padri e figli, di cowboy e fuorilegge, di guerrieri e antieroi. I viaggi di scoperta e riscoperta compiuti dal mandaloriano sono fiabe delle più classiche e semplici, ma riviste attraverso il deserto del West e il mito di Sparta.
Questa è la via.