Madre! di Aronofsky e Bloodline degli Slayer | Cinema e Musica

Carmine Esposito

Aprile 11, 2020

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Brucia un cuore, in un corpo, in una casa. Matrioska di vite, chiusa l’una dentro l’altra, tra le mura di una villa immersa nel nulla. Uno sguardo penetra nel buio. Occhi di fuoco, determinati ad abbracciare la morte, come un’amica o una liberazione. I capelli si consumano, la pelle sfregiata risplende di una luce sinistra; calano le palpebre, poi il buio. Le ceneri arretrano, le pareti riprendono vita, mentre la casa riacquista luce e splendore. Mentre un corpo prende forma sotto le lenzuola di un letto immacolato. Che fosse tutto un sogno? Che sia solo un’illusione? Bisogna intraprendere un lungo viaggio per avere risposte, rientrare sin nel grembo della madre!

«Eternal the kiss I breath
Siphon your blood to me
Feel my wounds of your god
Forever rape mortality».

(Slayer- “Bloodline”)

Lui è uno scrittore, vive in quella casa da sempre. Sembra quasi che sia nato insieme a quelle mura, che si nutra di quelle intercapedini; incendio dopo incendio, una reincarnazione dopo l’altra. Non conserva nulla del suo passato, specialmente dopo che le fiamme hanno consumato fin nelle fondamenta oggetti e ricordi; unica superstite, una gemma generata nel fuoco, diamante forgiato da forze prometeiche che risplende del caos che l’ha partorita. Sembra essere il cuore stesso di quella dimora, pompare sangue e forza nelle vene degli abitanti. Di Lui in primis.

Madre di Aronofsky e gli Slayer hanno in comune la narrazione di un dio come entità vampirica che si nutre della vita di chi vi si abbandona.

Madre!

Quel simbolo di resilienza gli dà forza, lo ispira nella sua costante opera di creazione di mondi nuovi e incontaminati. Gioca a far Dio riempiendo un foglio bianco, pieno di nulla, dell’inchiostro della creazione; bacia l’eternità con la punta di una penna, rifuggendo la paura dell’oblio, scrive per lanciare la propria voce nell’infinito. Si sente un bambino sperduto, in una foresta immersa nella notte; la sua ispirazione è secca, non riesce più a stuprare quella mortalità che ora lo assedia. Di fronte al morbo della carne è impotente, non può che vivere della minuta affettività di una ordinaria vita coniugale.

Riesce a nutrirsi a poco a poco dell’amore di quella donna, comparsa quando Lui era sull’orlo del baratro. Di fronte alle fondamenta incandescenti della sua casa, è arrivata questa creatura immacolata; nutrice fisica e spirituale, ha costruito il grembo ideale perché il genio vedesse di nuovo la luce. Donna, moglie, madre! Riversa in quella placenta di legno massiccio forze, sudore, sacrificio dando nutrimento a un sogno di immortalità; agnello sull’altare del dio della poesia, è suo il sangue che scorre nelle viscere delle fondamenta.

«First breath born come alive learn to kill
Bloodfest awaits to feed your hunger
Dark side has no rival test your faith in blood
Night hides the hunting packs a feeding frenzy».

(Slayer- “Bloodline”)

A Lui però non basta questo amore. Nel silenzio della casa non riesce a ispirarsi per creare; è una divinità monca nella solitudine della sua dimora. Ha bisogno di vita, di respirare il fiato fetido degli esseri umani corrotti dall’esistenza; ha bisogno di sporcarsi le mani col fango e la polvere, di provare entusiasmo, paura, interesse per l’ignoto. Per questo accetta con piacere l’intrusione di un suo fan nella tranquillità della foresta; l’espediente umano che penetra l’aura divina di quella casa, che spezza il silenzio ecclesiastico di quelle mura con un tocco di imperfezione.

Madre di Aronofsky e gli Slayer hanno in comune la narrazione di un dio come entità vampirica che si nutre della vita di chi vi si abbandona.

Madre!

L’uomo non è solo, ha con sé un bagaglio di tragedie familiari, oltre a un morbo incurabile che lo ha condannato a morte. Una moglie e madre ubriacona e anche un po’ “battona”, che fa irruzione in quella casa come se fosse sua; due figli gemelli, rissosi e chiassosi, troppo impegnati a litigare per l’eredità, per provare a trascorrere al meglio le ultime ore che gli restano come famiglia. Sembrano quasi portare dentro il germe vile dell’avidità; la cecità di fronte al denaro, la bramosia di averne sempre di più e la paura di perderlo del tutto.

Il primo uomo è fatto di carne, livore e perenne insoddisfazione; il primogenito è tutto suo padre. Si trascina nelle sabbie mobili della dipendenza; perso nella nebbia senza una luce che lo guidi, umana o divina che sia, razionale o estatica. Puro istinto di sopravvivenza, è una fiera nascosta tra le ombre degli alberi; cieco ai legami affettivi e familiari, sordo alle sofferenze e ai lamenti, aspetta solo il momento giusto per colpire.

Come Caino, uccide suo fratello per esorcizzare i suoi demoni, cercando il fato sul fondo di un cranio distrutto.

Madre!

Tra grumi di sangue e materia cerebrale che si allargano sul pavimento non vede certo un futuro roseo. Vede il destino di un’umanità intera destinata al cannibalismo fisico e sociale; generazioni di reietti vaganti per le lande della terra in cerca di calore; vede branchi di bestie feroci nascosti nel buio di camere da letto, illuminate solo dal bagliore di schermi freddi, pregare per un dio che gli dica cosa fare. E allora scappa via, consapevole della fine infima a cui è sempre stato condannato, torna nella foresta da cui di lì a poco usciranno sciami di cavallette affamate di profeti.

«I smell of death
I reek of hate
I will live forever».

(Slayer- “Bloodline”)

Il sangue versato è linfa vitale nella casa immersa nella foresta; la morte, la tragedia come ispiratrici di vita e poesia. La madre porta dentro di sé il dolce frutto di quell’amore, un germoglio che riporta il colore e il respiro tra quelle pareti grigie e spoglie. Lui se ne accorge, si sente come se tutto l’odio fraterno che ha impregnato le stanze scorresse come olio sulla pelle; l’odore di morte come incenso ha benedetto quell’unione per generare il sacro figlio di una nuova divinità. La creatività torna a fluire, la penna corre sul foglio versando copioso l’inchiostro cremisi della creazione; per miracolo, lo scrittore si tramuta in Dio dando vita al Verbo.

Madre!

L’uomo, invece, si è tramutato prima in famiglia e ora in folla adorante, che stringe d’assedio la casa come un esercito che implora un’illuminazione. Sbucano dai filari di alberi, come partoriti dalla notte, affamati delle parole di questo nuovo genio o profeta. Ciechi soldati di fede, adoranti chiedono una parola, una carezza, anche solo uno sguardo per dirsi salvati. Sono disposti a tutto pur di riuscirci. A dormire per terra, ad accamparsi nelle stanze, sul patio o sul prato; a organizzare feste, ricevimenti, adorazioni improvvisate, o a strappare rubinetti e suppellettili dalle pareti di quella dimora benedetta. Tutto pur di avere un pezzo di divino.

«Lost child pay the dead
Bleeding screams of silence
In my veins your eternity».

(Slayer- “Bloodline”)

La madre non ne può più di queste continue invasioni e intrusioni. Sembrava essersi tutto aggiustato dopo la morte del gemello; le esequie e il resto avevano lasciato la casa ferita, ma tutto sommato ancora in piedi. La gravidanza procedeva senza scossoni, e Lui era finalmente tornato al suo ruolo di generatore: di vita e di mondi. Non si era mai sentita così radiosa, così piena e completa anche lei di quella vita e di quel mondo che erano sgorgati dalla penna gocciolante del suo compagno. E invece, era solo la quiete prima di un’altra tempesta, sbucata dalla sommità degli alberi per sciamare sul tetto dell’eremo.

L’Eden di pace e serenità si è tramutato in un inferno di voci, corpi ammassati, flash dei fotografi. La folla con la sua dose di follia la spaventa, quella massa informe e priva di qualsiasi razionalità, schiava dello spirito del gregge, non è il luogo ideale per la nascita di un bambino. Lei è una madre, si preoccupa di quello che gli accadrà, e tanta patologica cecità non ha nulla di umano; è vampiresca, cannibale, si nutre solo di sé stessa e ingloba i peggiori istinti di ogni essere vivente.

Madre di Aronofsky e gli Slayer hanno in comune la narrazione di un dio come entità vampirica che si nutre della vita di chi vi si abbandona.

Madre!

Non vuole dare il suo unico figlio, il frutto del suo amore e della sua carne, in pasto a quel blob urlante. La madre non vuole che la vita che porta in grembo si annulli, come quegli esseri stanno facendo con la loro unicità. Non vuole che la paura domini il suo fragile cuore, rendendolo schiavo di una religione, di un culto, di una superstizione; plasmabile dalle parole e dal volere di altri, controllabile come una pecora dal bastone del suo pastore. Non le resta che nascondersi dai loro occhi, sprangare la porta sugli orrori del mondo.

La realtà è andata troppo oltre, l’orrore ormai è insanabile.

Solo il sangue di un innocente può mondare tutto questo, Lui lo sa. Si sente responsabile per tutto il dolore e il male che quella folla fuori dalla porta ha causato, e vorrebbe fare qualcosa. Vorrebbe renderli partecipi del miracolo della vita, vorrebbe che il vagito di un’anima pura riuscisse a spianare la paura e l’odio che cova nei loro cuori. Ma nulla, se non la morte, può fermare quel baccanale di violenza. Il corpo e il sangue dell’agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo; che lava le coscienze per permettergli di continuare a sguazzare nel fango del loro stesso abominio.

«I am the first not the last
Condemned by a single kiss
Betrayed eternally I’ll rip inside your soul
Contaminating the world
Defying god and son
Black heart that brings your death
Living in infamy».

(Slayer- “Bloodline”)

Ave o madre, piena di grazia. Il signore non è con te, ti ha tradito per i suoi fedeli, dando in pasto al loro morboso appetito il frutto del suo seno. Le donne pensano tu sia la benedetta, unica compagna al fianco del sommo creatore; ma quelle stesse donne, non conoscono tutti i patimenti che ti è costata questa compagnia. Il costante vampirismo di un dio narcisista ed egoista, che si nutre delle tue attenzioni e del tuo sacrificio, per erigere un tempio a sé stesso. Ma che non perde occasione per trattarti da serva, schiava o prostituta; guscio vuoto in cui inserire il suo seme, manovale a cui delegare la costruzione del suo eden.

Madre!

Santa madre di Dio, non pregare per noi peccatori. Trasmettici il seme della consapevolezza, mostraci come un dio bastardo ha sedotto le nostre menti con un singolo bacio. Spargi il virus della blasfemia, insegnaci a diffidare del veleno del verbo, che infetta menti e cuori. Brucia i nostri corpi, per depurare le nostre menti; distruggi ogni basso istinto, ogni smania corporea da questo mortale involucro e rendici puri ed eterni. Adesso, nell’ora della nostra morte, mostraci la strada per rinascere ed essere degni del tuo amore; per non rincorrere falsi idoli, non lasciarci dominare dalla paura del buio e dell’ignoto. Insegnaci come amare te, unica e sola madre natura.

Madre di Aronofsky e gli Slayer hanno in comune la narrazione di un dio come entità vampirica che si nutre della vita di chi vi si abbandona.

Madre!

Serba al sicuro quel cuore nero, anima di diamante, che batte nel tuo petto; nascondilo alle grinfie del grande narratore. Non lasciare che possa usare il tuo ultimo barlume di vita per ricominciare, per stuprare ancora una volta la terra e le sue creature. Sfida l’autorità unica, distruggi quelle mani che sole detengono il potere, e rendi tutti noi artefici del nostro destino. Madre terra, natura incontaminata e irresistibile, trasformaci nei tuoi figli prediletti; rendici titani della nostra esistenza, nemici giurati del solo e unico Dio, alfieri della distruzione dell’ordine costituito. E così, noi torneremo ad amare solo te e noi stessi, come urobori nel ciclo della vita. Amen.

«Drink the flesh of life itself
Prepare to reign a thousand years
I’ll kill you and your dreams tonight
Begin new life
Bleed your death upon me
Let your bloodline feed my youth».

(Slayer- “Bloodline”)

Ma gli dei, è risaputo, sono sordi alle preghiere e ai lamenti dei mortali. Lui ha fallito, anche questo tentativo è andato male; il suo gregge si è rivelato più scalmanato del previsto, ancora una volta. Passeggia sulle macerie del suo paradiso, costruito con tanto amore da quella donna che ha scelto di bruciare tutto, pur di liberarsi di lui e del suo folle culto. La stringe tra le braccia, carbonizzata ma ancora viva, agonizzante, ma con un pizzico di luce che le brilla dentro; un passo dopo l’altro tra la cenere e la brace non domata, per rubarle un ultimo sacrificio.

Madre!

Ormai le ha strappato tutto. La vita, creandole una prigione dorata dedicata a un amore fittizio, di convenienza; l’ha stregata con un bacio, come Pigmalione all’inverso, spirando via l’essenza e tramutando Galatea in un bel corpo da guardare. Un figlio, la sua unica possibilità di sentirsi completa, di sentirsi madre; credeva che quel corpo innocente potesse essere il giusto capro espiatorio, la vittima ideale per infondere armonia nel suo popolo. Ma quei suoi figli illegittimi hanno ereditato la sua stessa corruzione; hanno mangiato il figlio e avrebbero fagocitato anche la madre se non fosse intervenuto Lui.

Ora non gli resta che uccidere anche i sogni di questa creatura, strapparne l’ultimo bagliore per alimentare la sua rinascita. Aprire lo scrigno in cui conserva il suo tesoro più prezioso, la sua forza vitale; scavarne l’anima, alla ricerca di un diamante forgiato dalla tensione di forze prometeiche, serbato lì sotto la pelle. Sente il sangue spargersi sulle mani, la pelle sfibrata che si infila sotto le unghie, frammenti di ossa gli graffiano le braccia; mentre scava nel petto rinsecchito una miniera da cui estrarre quel cuore indomabile. Il pozzo petrolifero da cui estrarre combustibile, per alimentare il Moloch del suo dominio, per altri diecimila anni ancora.

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