Waking Life – La dannata verità dei sogni

Gianluca Colella

Gennaio 8, 2021

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Quel ragazzo qualunque, solo e pensoso, che sogna inconsapevole di farlo, potrebbe essere ciascuno di noi. Eppure, il protagonista di Waking Life (2001) ha una sua caratteristica speciale, che lo rende unico, perché a un certo punto realizza che i dialoghi in cui è coinvolto sono frutto della sua fantasia.

Il film di Richard Linklater del 2001, realizzato con la tecnica rotoscope, è una perla filosofica senza precedenti, perché esibisce un po’ quel sogno con il quale ci si confronta quotidianamente, quel desiderio di completezza e realizzazione della vita che si traduce nell’interesse per determinati argomenti.

Esistenza, amore, teogonia, morte e libero arbitrio sono solo alcuni dei campi affrontati nelle diverse sequenze di questo lungo sogno. Senza soluzione di continuità e senza apparente coerenza, questa pellicola sul destino e sulla soggettività traduce in immagini pensieri, dubbi e riflessioni comuni, che spesso releghiamo in quegli anfratti della mente in cui le verità scomode vengono collocate.

L’effetto stesso dell’animazione sembra prendere in giro lo spettatore: quello che è rappresentato potrebbe sembrarvi un gioco, ma in realtà è l’essenza stessa della vita, il motivo più radicale per cui state guardando queste immagini.

La verità, la menzogna, l’illusione e la volontà bussano alla porta della nostra coscienza alla fine di Waking Life, quando i titoli di coda scorrono e i nostri pensieri stagnano.

Waking Life: la razionalità onirica

Cosa rende Waking Life così vero e fastidioso? In questa animazione, il sogno risponde, il soggetto tace. E l'uomo r-esiste.

Waking Life

Il film di Linklater è fastidioso, ma forse proprio per questo è fonte di ammirazione. Non è un saggio, neanche un’animazione, trascende il genere in cui rientra e sovrasta il discorso che l’uomo è capace di fare con se stesso.

Quando dialogano, i protagonisti sembrano tutti dissociati l’uno dall’altro, estranei e individualizzati; eppure, uno scambio tra loro nasce e assume valore proprio perché, anche se debolmente, essi riescono a contattarsi.

L’origine di questa peculiare sensazione sta tutta nella proprietà onirica di questo film, perché la realtà immaginaria che fonda ha le caratteristiche tipiche del sogno: assenza di razionalità, criteri di spazio e tempo simultaneamente confusi, moto dinamico perpetuo, condensazione e spostamento delle figure coinvolte. Tutto ciò che c’è di manifesto acquisisce valore perché è retto da un significato latente, celato abilmente proprio dalla tecnica d’animazione utilizzata.

Il cuore dei dialoghi, che inizia a pulsare quasi per gioco, seguendo i due bambini della scena iniziale, viaggia e si trasforma repentinamente, passando da un taxi a una barca, parlando di colori, destino, vita e soggettività.

Seguire coerentemente il flusso degli eventi rappresentati in queste immagini non è facile, e inoltre non renderebbe onore alla continuità narrativa di Waking Life.

Urge vederlo, insomma, per immergersi con gli occhi del sognatore in un mondo tanto instabile quanto disperato. Il fatto che il passaggio da una sequenza all’altra dei dialoghi avvenga principalmente attraverso morti traumatiche è quasi dantesco, e aumenta il valore simbolico di alcuni argomenti affrontati.

Il gioco delle parti animato dalle comparse con cui il protagonista si confronta è retto proprio dal passaggio fluido da una sequenza all’altra, e il trailer rende l’idea rispetto al contenuto del film.

La messa in scena dei diversi stati di coscienza, oppure dei drammi coerenti con i soggetti parlanti – come nel caso dell’autolesionista che si dà fuoco – gettano luce solo su alcune delle frammentate condizioni narrate dai personaggi.

Le immagini che vediamo sono imprevedibili, come i comportamenti umani, e trovano senso nel mondo solo ed esclusivamente perché la fisiologica pressione sociale ci porta ad accettare e riconoscere quello che ci facciamo l’uno con l’altro, finché rientriamo in alcuni schemi condivisibili di significato.

Linguaggio, espressione sociale e strutture di rapporti intersoggettivi sono il focus di alcuni dei dialoghi più belli di Waking Life, e la ripugnanza che generano proviene dal fatto che spesso e volentieri la filosofia celebrata è quella del nichilismo.

Pigrizia, anedonia e abulia non sono peccati capitali, ma questioni umane quasi celebrate, e quando il protagonista incontra gli onironauti, discutendo di infinito e società, può avvicinarsi alla via d’uscita di questo sogno, che è anche un incubo.

Nella conclusione, dopo essersi confrontato con diverse identità di personaggi precedentemente incontrati, il protagonista di Waking Life torna nella dicotomia principale, che è anche quella iniziale: il sogno e la veglia sono contrapposti e la sua uscita dalle sequenze oniriche razionali è il ritorno allo stato del sogno classico.

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