Il π è una delle più celebri costanti matematiche di sempre. 3,14 seguito dall’infinto. E qui troviamo il primo paradosso. Una costante matematica differisce da una costante fisica per diversi aspetti. Quella fisica, essendo misurata con strumenti fisici, possiede in sé dei margini di errore. Quella matematica, invece, no. E pertanto una costante matematica, come lo è anche il π, è definibile in modo esatto.
La costante π, quindi, vale esattamente 3,14 che si propaga fino all’infinito. La sicurezza razionale dell’irraggiungibile. Ma π non è solamente una costante matematica. È anche il titolo dell’esordio del camaleontico Darren Aronofsky: π – Il teorema del delirio.
Da queste semplici, e in qualche modo scontate, informazioni su un numero così strano è possibile già intuire diversi aspetti del film. Astratto, come lo sono le costanti matematiche, sfuggente, come un numero che racchiude in sé tutte le cifre esistenti, sconvolgente, come sconvolta è la semplice mente umana che si affaccia per la prima volta sulle sterminate lande dell’incommensurabile.
Il film, in effetti, parla, più che di ogni altra cosa, dell’ambiguo rapporto tra lo scibile umano e l’irrazionalità più pura. Con questa premessa, la narrazione procede e prende forma, una forma a spirale, simbolo che ritorna frequentemente, fino ad arrivare all’unica, inevitabile, conclusione.
La fede nel sapere
Il film ha una forte componente simbolistica. In particolare, sono evidenti i forti influssi che derivano dalla religione (soprattutto quella ebraica e quella cristiana). Nell’Antico Testamento Adamo ed Eva furono banditi dall’Eden per aver mangiato il frutto proibito, quello della conoscenza. Il sapere fornisce gli strumenti per decodificare il reale, ed è quindi, secondo un assunto religioso, il principale strumento che causa la sofferenza.
Maximilian Cohen (Sean Gullette) è un programmatore e matematico che conduce la sua esistenza in modo solitario, quasi eremitico. Sta lavorando a un programma che gli permetterebbe di conoscere in anticipo l’esatto andamento della borsa. Pur essendo partito da un presupposto materialistico, ovvero il volersi arricchire, ben presto la realizzazione di questo programma per Max diventa qualcosa di più, una guerra contro se stesso e contro il proprio inconscio.
Una guerra che, successivamente, raggiungerà connotazioni metafisiche. Max, infatti, giunge in contatto con una sequenza di numeri, che non solo rappresentano le esatte previsioni della borsa, ma anche, secondo un suo amico numerologo, il vero nome di Dio.
Esattamente come Adamo ed Eva, Max è condannato dalla sua sete di conoscenza. Le sue ossessioni per il sapere lo hanno trascinato in un vortice di solitudine che rischia di sfociare in una follia crescente.
Lui non è un uomo di fede. O almeno non nel senso tradizionale del termine. Perché in effetti lui ha un credo: la matematica. La profonda convinzione che ogni oggetto, avvenimento o concetto, possa essere rappresentato attraverso i numeri. Dunque, segue alla lettera la filosofia di Pitagora e nella sua mente non mette mai in discussione questo dogma, questo principio a cui lui, sempre secondo la sua prospettiva, è in qualche modo naturalmente destinato. Non contempla il fallimento, l’errore umano. E sarà proprio ciò la causa della sua rovina.
Il vero nome di Dio
Nella Cabala ebraica vi sono alcuni insegnamenti che mirano a decifrare ciò che lega Ein Sof, Dio prima della sua automanifestazione nella creazione del mondo, e l’universo finito e mortale. In π – Il teorema del delirio viene preso questo assunto come nucleo.
Procedendo nella narrazione, avviene gradualmente un “cambio di stato” nella testa di Max. Lui, che probabilmente è la mente più razionale del mondo, abituato a effettuare calcoli chilometrici senza l’aiuto della calcolatrice, si abbandona lentamente al mistico. L’irrazionalità prende piede. Esattamente come il π, che nella sua irrazionale esattezza si abbandona all’infinito.
Con il sopraggiungere di questo conflitto interiore, anche il fisico comincia a soffrire. Gli attacchi di emicrania di cui Max soffre si acuiscono sempre di più. Il suo corpo risponde in maniera violenta alla sua mente che, inconsapevolmente, si sta autodistruggendo. Comincia un processo di comprensione che, fin dalle sue premesse, è destinato al fallimento.
Max inizia l’esplorazione dell’insondabile, e lo fa con la stessa arroganza degli uomini che avviarono la costruzione della torre di Babele.
In tutto ciò si svelano i misteri più reconditi della mente. L’onnipresenza numerica nei nostri pensieri. L’identificazione degli stessi pattern visivi che, quasi a un livello inconscio, ci seguono e ci tormentano con asfissiante continuità. E così, quella che doveva essere una scrupolosa indagine sull’infinito mistico terminerà come una rassegnata ammissione sull’imperfetta finitezza del reale.
Il vero nome di Dio rimane, quindi, un’espressione non ancora pronunciata. Max, che nella sua mente si identificava sempre di più come un calcolatore di informazioni piuttosto che una persona, deve ammettere di essere anche lui destinato all’errore e al fallimento. Con questa ammissione, Max si riappropria della stessa fragile umanità di Adamo ed Eva, un’umanità che lui aveva smarrito.
Il salto di fede in π – Il teorema del delirio
Sull’umanità che si barcamena tra l’infinito e il finito si espresse già Søren Kierkegaard, ne La malattia mortale (1849). Nel suo trattato, il filosofo danese elaborava proprio questa costante insoddisfazione che si genera dal rapporto di queste due forze impari. Tuttavia, Kierkegaard suggeriva una possibilità per sfuggire a questo ciclo di disperazione perpetua. Un salto di fede. L’abbandono di ogni schema logico e l’accettazione della propria impotenza, che si contrappone a Dio.
In π – Il teorema del delirio accade questo. Un salto di fede. Una rinuncia consapevole a una vita popolata da schemi e postulati. Le dimostrazioni fisiche e teoriche delle formule non sono più sufficienti a placare l’animo dannato di Max, che proverà a ricominciare una nuova esistenza in un limbo tra la consapevolezza della propria finitezza e la serenità che proprio questa consapevolezza produce.
Il π è un numero compreso tra il 3 ed il 4. Se proviamo ad addentrarci un po’ di più nel profondo misticismo della cabala, e in particolare tra le sĕfirōt corrispondenti proprio ai numeri 3 e 4, ecco che si pone davanti ai nostri occhi una fantastica scoperta.
La terza sefirah (Binah) è quella della comprensione, mentre la quarta (Chessed) è quella della gentilezza e della benevolenza. E Max proverà a ricominciare la sua vita proprio tra questi stati.
Inoltre, a ogni sefirah sono associati dei personaggi. Nel caso della terza troviamo Mosè e Noè, mentre per quanto riguarda la quarta abbiamo Abramo e Aronne. Tutti personaggi biblici che, non a caso, sono accumunati da quel “salto di fede” che Kierkegaard esporrà nella sua filosofia. Ed è, forse, in questa spirale che si può racchiudere il fascino di π – Il teorema del delirio.
Un esordio straordinario da cui deriverà, come se fosse un vero e proprio teorema matematico, tutta la filmografia successiva di Aronofsky.