Una mattina di maggio, due solitudini si incontrano casualmente, nel silenzio assordante di una giornata fatidica per la storia del fascismo.
Non si tratta, dunque, di una mattina di maggio qualsiasi: è il 6 maggio 1938, il giorno in cui Adolf Hitler, in pieno fascismo, venne a Roma a visitare Benito Mussolini, tra le grida osannanti di una città intera. Di fatto, l’intera famiglia della protagonista del film, Antonietta, si trova tra le esultanti strade a rinnovare amore e fiducia al regime del Duce, mentre ella è in casa, sola, mentre veglia, rassetta e riordina il focolare.
Tra i meandri del palazzo si aggira tuttavia un altro escluso dalle cerimonie, non per obblighi casalinghi, ma per puro rifiuto di una cultura dalla quale sceglie di allontanarsi: Gabriele, un radiocronista antifascista. Durante quel singolo pomeriggio le loro vite si incroceranno per un istante, per poi proseguire diritte.
È una danza, quella tra Antonietta e Gabriele, che incomincia nei silenzi, nello studio, nei convenevoli.
Si osservano, nella loro diversità, attraendosi sottilmente: si tratta di due persone dalle origini e dal vissuto profondamente divergenti, che non hanno altro in comune se non l’essere assenti, ognuno per proprie ragioni, ai festeggiamenti che parallelamente vengono consumati poco distante. E in tale plumbea e sospesa atmosfera, si conoscono e s’interfacciano.
Si scoprono nelle rispettive nature, raccontano le circostanze che li hanno portati a incontrarsi in quel luogo, quel giorno: Antonietta è moglie e madre, Gabriele è solo. Antonietta è, o dovrebbe essere, fascista – perlomeno di facciata, essendo il marito convinto sostenitore del regime -, Gabriele ne ripudia ogni lato, venendo per questo malvisto dall’intero condominio. Antonietta s’invaghisce profondamente di Gabriele, mentre Gabriele ama gli uomini; tuttavia, al termine del loro confronto durato un giorno intero, le confida di averla anch’egli amata per le ore di avvicinamento concessigli.
Infine, spinti dalle rispettive solitudini, consumeranno il loro amore particolare, prima che Gabriele venga prelevato da due guardie e che marito e figli di Antonietta facciano ritorno dalla festa in onore del fascismo.
Dopo aver girato C’eravamo tanto amati nel 1974 e Brutti, sporchi e cattivi nel 1976, Ettore Scola ritrae nel 1977 uno dei suoi affreschi più originali e sorprendenti. Lo stesso utilizzo che egli fa della coppia Mastroianni-Loren è novità assoluta nel panorama italiano, entrambi completamente spogliati della loro avvenenza e del loro sex appeal, per concedersi a un ritratto di quell’umanità calpestata e ignorata dal fascismo.
Un’opera divenuta cult, candidata all’Oscar per miglior film straniero e marchiante nell’immaginario cinefilo italiano alcune delle più belle e significative scene del nostro cinema, a più riprese citate e omaggiate.
Antonietta: «Ma una persona così per bene non può essere antifascista».
Vicina di casa: «Uno può esse pure un mascalzone, che vuoldì, quello che bisogna vede è se è fedele o no al partito. Questo conta, non vi pare?».
Come il male collettivo azzeri le capacità del singolo di pensare oltre i dogmi da esso proferiti; come unisca le individualità di due vittime di esso, siano esse consapevoli o inconsapevoli di esserlo; e come si possa vivere all’interno di tale male, rendendo il suo quotidiano pura normalità. E destinando coloro i quali si distaccano da tali dogmi all’erranza, all’emarginazione, alla solitudine.
Gabriele: «L’uomo dev’essere marito, padre e soldato. Io non sono né marito, né padre e né soldato».
Scola tornerà nella Roma del 1938 solamente ventiquattro anni dopo, girando nel 2001 Concorrenza sleale. Un film dalla risonanza estremamente ridotta rispetto ai capolavori del regista, ma dal quale sarà utile individuare tratti narrativi e stilistici che lo ricollegano a Una giornata particolare. In primis, il rapporto tra i due protagonisti Leone e Umberto – i giovani, ma già ferventi, Sergio Castellitto e Diego Abatantuono –, viene radicalmente cambiato non appena entra in gioco il loro diverso rapportarsi alla realtà del fascismo.
Questo poiché l’arco temporale del film ha inizio in concomitanza della promulgazione delle leggi razziali. I due protagonisti sono rivali in affari, avendo entrambi un negozio di stoffa situato poco distante dal corrispettivo avversario. Tuttavia, il personaggio di Diego Abatantuono ha un piccolo, ma decisivo, vantaggio: non è ebreo, al contrario del rivale. E con l’imperversare delle discriminazioni e dell’antisemitismo in Italia, il personaggio di Sergio Castellitto sarà via via denigrato, svantaggiato e umiliato, rendendo il prosieguo dell’attività commerciale pressoché impossibile.
Dal canto suo, colui che è maggiormente avvantaggiato dal contesto fascista, ovvero Umberto, svela la sua umanità empatizzando con l’antico rivale, gradualmente divenuto amico, provando a proteggerlo dai soprusi e le ingiustizie di polizia e teppisti. Fino all’inevitabile inabissarsi di Leone e la sua famiglia nel ghetto romano, accettando un destino sul quale non hanno mai avuto controllo.
Evidente come il relazionarsi di Scola al fascismo si serva del contatto tra le individualità umane nascoste sotto le piaghe dei mali del regime.
Si tratta di fatto di protagonisti non agenti, passivamente inseriti in un contesto più grande di loro, siano da esso svantaggiati e ripudiati o accolti e accettati. Ciò che rimane, e che il finale di questi due film condividono, è l’allontanarsi dell’elemento indesiderato, che sia per ragioni di orientamento sessuale (Gabriele in Una giornata particolare) o religioso (Leone in Concorrenza sleale), mentre colui che, non per merito, viene protetto dal contesto guarda l’altro allontanarsi, impotente, ma al tempo stesso dotato di uno sguardo diverso, consapevole e non più ignorante.
Nella vastissima opera del regista campano e nei racconti sul Novecento da egli narrati, è cruciale e importantissimo preservare nella memoria collettiva film come Una giornata particolare (già di suo una pietra miliare) e Concorrenza sleale, oltre ai numerosi ritratti italiani che Ettore Scola ha intessuto e scolpito nella storia del nostro cinema. E che la sua testimonianza non muoia mai.