La mafia uccide solo d’estate – Di cosa parliamo quando parliamo di Mafia (e della Giornata nazionale della legalità)

Claudia Silvestri

Maggio 20, 2021

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La mafia uccide solo d’estate – Di cosa parliamo quando parliamo di Mafia (e della Giornata nazionale della legalità).

Arturo: «Papà!».
Lorenzo: «Eh?».
Arturo: «Ma la mafia è pericolosa?».
Lorenzo: «No, è come coi cani, basta che non gli dai fastidio».
Arturo: «Ma io ho letto che uccide le persone…».
Lorenzo: «Cose che scrivono…».
Arturo: «Ma può uccidere anche noi?».
Lorenzo: «Arturo, tranquillo. Ora siamo d’inverno. La mafia uccide solo d’estate. Ora dormi!».

23 maggio 1992: nei pressi di Capaci, lungo l’autostrada A29, esplode una bomba composta da 500 kg di tritolo. La Mafia ha emesso la sua ennesima sentenza, questa volta contro Giovanni Falcone. È lui l’obiettivo dell’attentato, nel quale moriranno anche sua moglie Francesca Morvillo, magistrato come il marito, e gli uomini della scorta: Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.

Da quel momento, quella data assume un valore simbolico, divenendo la giornata nazionale della legalità.

Ma come ricordare e celebrare, nel 2021, un anniversario così importante? In che modo allacciare il ricordo delle vittime di Capaci a un lotta che continua ancora oggi e che mai deve essere dimenticata?

Il cinema, in questo, può aiutare. Pellicole che trattano della mafia e degli uomini che hanno deciso di combatterla ve ne sono tantissime, nella cinematografia italiana e non. Spesso, però, questi ritratti finiscono con l’assomigliare a delle agiografie di questi personaggi, o al contrario, si trasformano in mitizzazioni degli stessi mafiosi.

Per questo, a ventinove anni da quella terribile tragedia, è necessario riscoprire film che dipingano gli uomini e le donne che sono  morti per mano della Mafia per ciò che, prima di ogni cosa, sono stati: esseri umani. E che abbiano il coraggio di raccontare la Mafia per quello che è realmente.

La mafia uccide solo d’estate (2013), opera prima di Pierfrancesco Diliberto, in arte Pif, si pone esattamente questo obiettivo. E, per raggiungerlo, decide di narrare la sua vicenda attraverso gli occhi di un bambino che, crescendo, dovrà provare a cercare il proprio posto in una società complessa e ricca di contraddizioni.

Alex Bisconti e Roberto Burgio in una scena de La mafia uccide solo d'estate, pellicola perfetta per celebrare la giornata della legalità.

Arturo (Alex Bisconti) e Boris Giuliano (Roberto Burgio)

Arturo (Alex Bisconti) vive a Palermo, frequenta le elementari ed è perdutamente innamorato della sua compagna di classe Flora (Ginevra Antona). La sua vita, però, è indissolubilmente legata – quasi come una sorta di destino fatalistico che condivide con molti cittadini della sua città – alla Mafia. Nel suo caso particolare, ogni avvenimento importante della sua esistenza coincide con un delitto o una strage compiuta da Cosa Nostra.

Sin dal suo concepimento, avvenuto il 10 dicembre 1969, giorno in cui  alcuni uomini affiliati al futuro capo di Cosa Nostra Tòto Riina, fra cui Bernardo Provenzano, uccidono il boss rivale Michele Cavataio.

Cresciuto in una famiglia passiva, trova in alcuni uomini che hanno deciso di combattere la Mafia i suoi eroi e mentori: Rocco Chinnici (Enzo Salomone), vicino di casa di Flora, che diventerà il custode del suo amore non corrisposto; Boris Giuliano (Roberto Burgio), che gli offre le iris alla ricotta al forno nel bar sotto casa; il Generale Dalla Chiesa (Turi Giuffrida), il primo a concedergli un’intervista nella sua precoce carriera di giornalista, quando frequentava ancora la scuola.

Il suo mito, però, resta negli anni Giulio Andreotti: lo segue nei comizi, ritaglia i suoi interventi e le sue foto dai quotidiani e prende per vera ogni singola parola da lui pronunciata. L’assenza del politico al funerale di Dalla Chiesa, però, inizierà a minare la fiducia di Arturo nel suo idolo. E, crescendo, il protagonista si renderà finalmente conto che la sua stima va riposta decisamente in altre figure.

Arturo (Alex Bisconti) vestito da Giulio Andreotti durante una festa di Carnevale

Incorrotto e puro d’animo, Arturo fa della sua ingenuità e della sua gentilezza il proprio scudo in una città in cui gli uomini retti a difenderla vengono falciati (fra i molti ricordati nella pellicola troviamo Piersanti Mattarella, Pio la Torre e Gaetano Costa).

E persino quando, per amore di Flora (Cristiana Capotondi), accetta di seguire la campagna elettorale di Salvo Lima – di cui la ragazza è divenuta l’assistente -, rimarrà uguale a sé stesso.

Fino al risveglio collettivo seguito all’omicidio di Giovanni Falcone. La pellicola è di fatto indissolubilmente legata al senso della giornata del 23 maggio, anche per il ruolo che la strage di Capaci assume nella storia raccontata. L’attentato, infatti, diviene il punto di svolta, e di presa di coscienza, del lungo percorso del protagonista, e insieme della città di Palermo.

Prima di quel momento la passività e la noncuranza della famiglia di Arturo caratterizzavano anche l’intera comunità, impegnata più a inventare scuse fantasiose e inverosimili – al piccolo Arturo viene insegnato che si muore per “questioni di femmine” e non per mano della Mafia – che a ricercare la veridicità in ciò che i giornali riportavano.

Prima ancora che i delitti e le dinamiche di Cosa Nostra, è infatti la stessa comunità a essere criticata e posta in discussione.

La storia del giovane protagonista assume i connotati di una vicenda di formazione ed emancipazione. Pif, che ritaglia per sé anche il ruolo del protagonista da adulto, sceglie una via diversa e a tratti nuova per raccontare la Mafia. Una trama che nasce dall’urgenza di narrare un periodo a lui ben noto, ma che riesce ugualmente a mantenersi in equilibrio costante fra più registri diversi.

Pif e Cristiana Capotondi in una scena de La mafia uccide solo d'estate, pellicola perfetta per celebrare la giornata della legalità.

Arturo (Pif) e Flora (Cristiana Capotondi)

Il regista, infatti, sceglie la strada dell’ironia e del sarcasmo, armi con le quali destruttura dall’interno anni di racconti sulla Mafia e i suoi eroi, rendendoli umani e non risparmiando nulla allo spettatore.

I cliché sull’immutabilità della Mafia e dei suoi arcaici padrini vengono lasciati da parte. Cresciuto, come il protagonista, a Palermo, Pif elimina qualsivoglia indulgenza celebrativa – dell’una e dell’altra parte – e fa del modo in cui racconta il punto di forza del proprio lavoro.

Trascinando lo spettatore in una storia necessaria e difficile, che costringe tutti a fare i conti con ciò che quel periodo ha significato per l’Italia, per la comunità e per le istituzioni.

Una storia impossibile da rimuovere, la quale fa i conti con la coscienza collettiva, posta davanti a un film che la costringe a metabolizzare l’accaduto e il ruolo che il singolo ha avuto in quella Storia.

Prima dei grandi eroi, c’è la società. Diliberto accoglie su di sé il retaggio del film manifesto di questo modo di concepire “il racconto sulla Mafia”,  I cento passi – di cui fu anche aiuto regista – e ce lo restituisce senza filtri o sconti.

La presa di consapevolezza dell’ingenuo Arturo, cresciuto in un Paese nel quale la mafia uccide solo d’estate, rompe il clima nel quale è stato educato, passando il testimone a suo figlio, al quale legge le targhe in onore dei “caduti” che costellano i muri di Palermo.

Arturo: «Quando sono diventato padre, ho capito che i genitori hanno due compiti fondamentali. Il primo è quello di difendere il proprio figlio dalla malvagità del mondo. Il secondo è quello di aiutarlo a riconoscerla».

Qual è dunque il senso della giornata nazionale della legalità? Questa battuta finale del film risponde in maniera chiara alla domanda. Perché solamente insegnando e coinvolgendo le nuove generazioni in una Storia che continua a ripetersi si può provare a scardinare il senso delle Cose (Nostre).

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