The Suicide Squad – Il Trauma dell’Amore

Davide Capobianco

Settembre 1, 2021

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The Suicide Squad ha finalmente compiuto il suo debutto nelle sale. La pellicola del 2021 vede il ritorno al cinema della regia e della penna di James Gunn, già regista dei Guardiani della Galassia Vol. 1 e 2.
Nel cast figurano Margot Robbie, Idris Elba, John Cena e Silvester Stallone; oltre loro, menzioni d’onore per Daniela Melchior e Peter Capaldi.

La trama è, in pieno stile Gunn, semplice e lineare: la famigerata squadra suicida, composta dai peggiori antagonisti dell’universo DC, deve evitare che una gigantesca creatura misteriosa venga rilasciata e distrugga tutto sull’isola di Corto Maltese.
Il tutto, però, è condito da azione allo stato puro, gag esilaranti, sangue e rock’n’roll: The Suicide Squad non lascia nulla al caso, persino nella cura estetica di scenografie e costumi, per non parlare della fotografia.
James Gunn a briglia sciolta offre il meglio di sé, sotto ogni punto di vista.

La vera forza, tuttavia, della pellicola, come già fu per i Guardiani della Galassia, è la scrittura dei personaggi e dei loro rapporti. I dialoghi di The Suicide Squad sono le conversazioni tra un gruppo di amici affiatati, che si sfottono, litigano e crescono, si abbracciano e vanno oltre.
Gunn l’ha fatto di nuovo: le emozioni scorrono come lacrime nella pioggia in questa storia che parla di famiglia, perdita e traumi, di amore e scoperta dell’altro, della possibilità, infine, di comprendersi e amarsi.

La Suicide Squad di James Gunn

Life is so busted

Oltre a essere un grande regista e una penna sensibile, Gunn è anche un grande DJ: le canzoni scelte per The Suicide Squad sono fredde e malinconiche, ma insieme scaldano il cuore, eccitano (in tutti i sensi), scoprono le fragilità dell’animo e provano a confortarlo.

Sono, insomma, la perfetta colonna sonora per la caratterizzazione e l’approfondimento piscologico dei protagonisti. James Gunn ha sempre avuto a cuore temi come la solitudine, la discriminazione e il bullismo, la tristezza di chi viene recepito come diverso. Ansia, dolore e disagio ti piovono addosso, ma a volte quella pioggia bisogna abbracciarla (non è un caso che la canzone scritta ad hoc per il film si intitoli Rain e faccia riferimento anche alle lacrime).

Robert DuBois, aka Bloodsport (Idris Elba), è un pistolero solitario incapace di crescere sua figlia, ma che accetta un lavoro suicida pur di impedire che finisca in carcere come lui. Si tratta di uno di quei padri imperfetti, assenti e incapaci di comunicare con l’alterità dei propri figli. Perciò si allontanano, senza riuscire a fare passi avanti, fuggendo le proprie emozioni ancor prima delle persone. Il suo cambiamento nel film, infatti, avviene quando può confrontarsi con le proprie paure e mancanze grazie all’orfana Cleo Cazo, aka Rat-catcher 2. Quest’ultima è in grado di controllare i ratti, ovvero la fobia di Bloodsport: se si pensa all’inquadratura finale del film, è interessante presumere che il contatto con la propria emotività, soprattutto nei suoi difetti, abbia reso il mercenario un leader, ma soprattutto un padre migliore.

Sfidando le più banali e tossiche delle convenzioni, James Gunn dimostra che non sono sempre le figure genitoriali a dover salvare i figli: a volte sono proprio i padri e le madri i primi ad aver bisogno di essere salvati. Il trauma di un amore non assoluto redime gli esseri umani.

Harley Quinn (interpretata da Margot Robbie)

A proposito di traumi, inoltre, abbiamo in The Suicide Squad la migliore Harley Quinn mai vista sul grande schermo. Un clown folle e fragile, amorevole e spezzato: ormai slegata dall’ombra di Joker, è tanto cattiva ed esplosiva, quanto umana e vulnerabile.

Le sue scene sono insieme una meraviglia estetica e un abbattimento di qualsivoglia stereotipo e cliché sull’emancipazione femminile. La canzone di Harley è scritta da chi conosce la fragilità della follia e della diversità, dalla sensibilità di chi sa cosa vuol dire essere piegati dai bulletti arroganti, da quelli che ti dicono che la musica che ascolti non è vera musica. La crudeltà fa a pezzi anche i più forti.
Da quella violenza, un personaggio comico alla Pagliacci di Rorschach, una dramatis persona la cui vivacità cela una profonda sofferenza. Questa Harley Quinn non è solo corpo e sangue, non è mero compiacimento maschile. La Harley Quinn di James Gunn ha una mente e un’anima, un talento e delle ambizioni, e si sente sola come tutti, a volte.

Magari proprio come King Shark, il mostro. Quest’ultimo è il personaggio con più scene in solitaria, un vero e proprio discriminato, quasi anche dalla sceneggiatura. Anche con poche inquadrature e sguardi, Gunn riesce a evocarne la solitudine. King Shark è il ragazzino un po’ sovrappeso, o non piacevole nell’aspetto secondo molti, quello che alcuni chiamerebbero brutto.

«Ma è una buona cosa. Quando sei brutto e qualcuno ti ama, sai che ti ama per come sei. Le persone belle non sanno mai di chi fidarsi».

(Drax)

Bisogna, quindi, puntare sull’amore.

Cleo Cazo, aka Rat-Catcher 2 (interpretata da Daniela Melchior)

“Perché i ratti?”

«Se morirò per aver puntato sull’amore, ne sarà valsa la pena».

(Cleo Cazo)

Esiste un personaggio centrale in The Suicide Squad, e non è eccentrico, figo, non è spettacolare, non è eccezionale. Rat-Catcher 2 riassume il significato dell’intero film: le piccole cose salveranno il mondo. E se così non fosse, ne sarà valsa la pena.

Cleo Cazo è la narcolettica adolescente in grado di comandare i ratti, un potere che si rivelerà fondamentale alla risoluzione della trama. Perché premiare questo squallore piuttosto che un abile pistolero, una clown sanguinaria o John Cena?
Perché nella vita reale non esistono supereroi: ci sono piccolezze, gesti semplici e quotidiani, così facilmente dimenticati. Questa è la forza di The Suicide Squad: c’è un aspetto di ogni personaggio, una debolezza con cui chiunque può relazionarsi.

Cleo ne è forse la più alta evocazione; legata a un padre che ha perso per via della droga, sempre assonnata poiché forse depressa da troppo tempo (non è un mistero che la narcolessia sia un sintomo di patologie psichiche).

Eppure, infine, è grazie a lei che la Suicide Squad trionfa: è lei la figlia che salva il padre, lei la persona che va oltre le apparenze, lei che si connette all’alterità del diverso. Cleo ama le persone per come sono, vive di un amore autentico, pur avendole la vita portato via più di quanto le abbia dato. Rat-Catcher 2 è la perdente che abbraccia gli altri senza presunzioni di superiorità, sospende il giudizio per relazionarsi all’altro, con la consapevolezza di essere abbattuta come molti a questo mondo, come topi in gabbia. Topi il cui abbraccio caldo salverà la Suicide Squad.

Cleo è la solitudine che dialoga con le solitudini degli altri, è un pianto e una risata malinconica di emozioni indecifrabili, caotiche e devastanti. Nessun filtro, solo il contatto diretto con la propria emotività e umanità. Le strofe della sua canzone fanno rima a quei momenti in cui un amico/a ti stringe e pensi che, forse, alla fine andrà tutto bene.

La connessione intima di uno sguardo nel silenzio di un auto che sfreccia nella notte, con le persone giuste al tuo fianco, con cui non hai bisogno di proferir parola. Un po’ come il finale della pellicola: privo di dialoghi. Solo sguardi di tacita malinconia di un’amicizia e un amore riusciti. Le persone si connettono nei traumi di chi non ha avuto paura di amare, di soffrire, di essere. Solo allora si intravede lo scopo degli esseri umani.

Cleo: «Papà, perché proprio i ratti?»
Rat-Catcher: «Sono gli animali più infimi e disprezzati di tutti. Se loro hanno uno scopo, ce l’abbiamo anche noi».

 

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