Il Monello è il primo film muto di Charlie Chaplin. L’artista inglese lo ha scritto, prodotto, diretto e interpretato insieme all’ormai famosissimo Jackie Coogan, uno dei primi bambini-attori di Hollywood.
Più di un secolo dopo, quest’opera mantiene tutta la sua forza narrativa, il suo valore artistico e simbolico. Rappresenta inoltre un modello di etica auspicabile ancora oggi.
Quella del bambino, infatti, è una storia fin troppo tristemente nota. È un luogo comune caratterizzato da assenza di speranza e mancanza di fiducia in un mondo incapace di accogliere innocenti, emarginati e poveri.
Siamo nel 1921. Questo lungometraggio di Chaplin ha l’intento di denunciare la fame e le ipocrisie del primo dopoguerra, periodo storico che ha lasciato in macerie individui e società.
Con l’eleganza casuale e spensierata che lo contraddistingue, Charlot si riscopre caregiver di uno sfortunato neonato abbandonato dalla madre, giovane donna che non poteva prendersene cura. Al di là del trauma della genitorialità e della dimensione intrinsecamente deprivata di una cultura che impedisce ai sogni di realizzarsi e all’affetto di esprimersi, il gesto di trattenere con sé questa nuova vita strappa un sorriso nel bel mezzo della triste trama che si sta sviluppando.
In questa sede l’approfondimento critico e poetico si sofferma proprio sulla funzione pedagogica esercitata da Charlot nei confronti del piccolo.
Il Monello – La cura e la funzione materna

I primi anni di vita rivestono un ruolo importante nella vita del bambino. In questa particolare tappa evolutiva il piccolo inizia a formarsi un’idea di tutto ciò che lo circonda. Instaura relazioni con le figure significative che utilizzerà come modello di partenza per i rapporti interpersonali futuri.
Gli adulti nella vita del piccolo sono chiamati a rispondere a questi bisogni attraverso due importanti funzioni genitoriali, due modalità di sostegno che fungono da guida.
Tutte le famiglie dovrebbero avere una funzione materna e paterna, entrambe fondamentali secondo lo psicoanalista inglese Donald Winnicott. Questo non significa che la madre riveste un unico ruolo né che quest’ultimo non possa essere attribuito a figure diverse. Basti pensare a quanti, nonostante siano cresciuti all’interno della cosiddetta famiglia tradizionale, siano stati letteralmente allevati dai nonni non solo per quanto riguarda le attività quotidiane, ma anche per tutto quanto rientri nell’apprendimento delle regole e dei sistemi valoriali.
Gli obiettivi della funzione materna sono l’accoglienza e l’accudimento. L’adulto si sintonizza sui bisogni fisiologici e psicologici del figlio per soddisfarli adeguatamente, ma soprattutto riveste principalmente un ruolo di contenimento.
La funzione materna risponde ai bisogni di dipendenza e sicurezza del neonato, limitando l’angoscia derivante dalla paura dell’abbandono e della solitudine.
Si tratta di una funzione solitamente svolta dalla madre. Tuttavia, come abbiamo sottolineato poco prima, può essere esercitata da figure differenti e ottenere comunque esito positivo. La funzione materna dunque contribuisce fortemente all’interiorizzazione di un’immagine di sé amata e sicura che il bambino acquisisce a partire dai primi anni di vita e, crescendo, inizia a impiegare in tutti i suoi contesti di vita.
La seconda funzione genitoriale è quella paterna. Questa è una funzione più normativa, fondamentale per l’apprendimento delle norme di comportamento.
Il papà aiuta il bambino ponendo dei confini, dei limiti. Il piccolo si muove all’interno di questi limiti che utilizza come guida a livello personale, normativo e relazionale. La funzione paterna inoltre riveste un ruolo emancipativo. Favorisce l’allontanamento del bambino e il superamento della dimensione relazionale tipicamente materna, più improntata sul rapporto simbiotico con la figura primaria. La funzione paterna rappresenta una spinta che lo aiuta a esplorare il mondo secondo i propri bisogni.
È una funzione fondamentale che favorisce il processo di separazione e individuazione. Infatti fornisce un sostegno concreto nell’interiorizzazione di un’immagine di sé individuale e indipendente. Rientra in questa funzione anche il sostegno nell’individuare le proprie risorse e i propri punti di debolezza, che generano paure e disagio, aiutando il bambino a sviluppare strategie adatte alla risoluzione dei problemi.
Nella tragedia de Il Monello, Charlot deve condensare nella sua figura entrambe le funzioni per garantire a questo piccolo fanciullo solo le cure necessarie all’integrazione del Sé. Affinché egli sperimenti la continuità d’esistenza e sviluppi le competenze adeguate ad affrontare il mondo, questo è necessario.
Il Monello – La pedagogia degli oppressi

Dopo aver descritto le caratteristiche cognitive, affettive e comportamentali delle due funzioni genitoriali fondamentali, il presente approfondimento critico relativo al primo capolavoro di Chaplin si sofferma su una dimensione alternativa, dal respiro pedagogico e sociale.
Quella de Il Monello, infatti, è una condizione triste. Ma, come anticipato, purtroppo tantissimi sono i minori a rischio, vittime di famiglie devianti o culturalmente deprivate. Le conseguenze più comuni di questa condizione esistenziale sono disagio, povertà, psicopatologia, tossicodevianza o criminalità.
Nell’ambito delle scienze pedagogiche, famoso è il pensiero dell’autore brasiliano Paulo Freire, nato nel 1921, proprio l’anno in cui il primo film di Chaplin vide la luce.
Il pensiero di Freire ha influenzato studiosi, insegnanti, studenti e organizzazioni in tutto il mondo. A cent’anni dalla sua nascita e più di cinquant’anni dalla pubblicazione dei suoi primi lavori, l’eredità della sua proposta, ispirata da umiltà, empatia, amore, speranza e dialogo è quanto mai attuale nei contesti più disparati.
Nella didattica scientifica, la sua visione “umanizzante” è centrale nello sviluppo di curricula che includano anche un approccio umanistico e una prospettiva sociale e politica, come gli sforzi in corso per decolonizzare la pratica e l’insegnamento della scienza. Ma le applicazioni vanno oltre la didattica, toccando il campo della comunicazione, elemento chiave nel suo modello di insegnamento e apprendimento.
«Nessuno educa nessuno, nessuno si educa da solo, gli uomini si educano insieme, con la mediazione del mondo».
(Paulo Freire, Pedagogia degli oppressi, 1970)
L’educazione depositaria descritta da Freire, ispirata dal volume sulla Pedagogia degli oppressi e dalle sue esperienze in Brasile, Cile e Bolivia, rappresenta l’esito di un processo di problematizzazione della realtà che si rivela necessario e contemporaneo ancora oggi.
Allo stesso modo, Il Monello ispira una riflessione sul disagio e la povertà infantile che è eticamente necessaria.
Solo mantenendo attive l’attenzione e la riflessione rispetto a temi spinosi come questi, ci difendiamo dal rischio di trovarci nelle condizioni delle autorità giudiziarie e dai funzionari sociali proposti nel film di Chaplin. Così sterilmente ancorati alla burocrazia e al servizio che rappresentano da ignorare il dolore del piccolo protagonista.