Everything Everywhere All at Once è un film totalizzante. Madre e figlia sono al centro di un multiverso in cui la fantascienza è solo un veicolo per raccontare una storia drammatica, tragicomica, più che mai realistica. Tutto si origina e si conclude in un unico punto di partenza, a lungo nascosto per lo spettatore ma diventato evidente in un finale colmo di emozioni e di non poche riflessioni socio-filosofiche.
Evelyn (Michelle Yeoh) e Joy (Stephanie Hsu) sono madre e figlia. Il legame più potente dell’universo (anzi, del multiverso) unisce questi due personaggi, ma a un primo sguardo le due donne sembrano molto poco legate: Evelyn è distante, sempre occupata, ed è più preoccupata del mantenere le apparenze davanti al bigotto padre Gong Gong (James Hong) che del rispettare le scelte e l’essenza della figlia, negandole un coming out davanti al nonno. Joy, dal suo canto, cerca la madre disperatamente, la sua approvazione e lo scontro con lei ma trova spesso silenzio, distrazione, chiusura. Fino a quando non la cerca più. Ed è così che nasce Jobu Tupaki.
Everything Everywhere All at Once parte da una polarizzazione, la estremizza e infine la riduce. Nel corso di questo processo, però, c’è un mondo (anzi, centinaia di mondi) che ruota attorno alla stessa costante: una madre e una figlia.
La madre
La Evelyn che ci viene presentata, si scopre ben presto, è apparentemente la versione peggiore di se stessa: non solo non ha alcun particolare talento – a differenze delle centinaia di versioni che popolano gli universi paralleli – ma è quella che ha scelto tutti i percorsi di vita peggiori e che le hanno impedito di raggiungere qualsiasi obiettivo. La donna, infatti, è infelicemente co-gestore con il marito Waymond (Jonathan Ke Quan) di una lavanderia sommersa dai debiti, sull’orlo della chiusura e con il fiato sul collo dell’IRS. L’infinito insieme di minuscole scelte che la hanno portata a quel momento e a quella vita non è altro che un gruppo indefinito di progetti mai completati, talenti non coltivati, ambizioni rinunciate e dimenticate. Evelyn è cinicamente attratta dal vuoto, perchè le sue esperienza di vita non possono che condurla all’accettazione di un nichilismo apparentemente inevitabile.
Eppure questa Evelyn scoprirà di essere, in realtà, la migliore versione di se stessa. C’è qualcosa, infatti, che accomuna le tantissime Evelyn, fondamentalmente diverse tra loro: il fallimento del rapporto con Joy. Solo la “nostra” Evelyn saprà cogliere l’essenza di un rapporto che origina l’ordine e il caos dell’intero multiverso. Inaspettatamente, il veicolo che trasporta Evelyn dal nichilismo del bagel di Jobu Tupaki all’esistenzialismo ad ogni costo è suo marito, Waymond. E non un Waymond qualunque: non il coraggioso Alfa-Waymond, né il realizzato uomo d’affari Waymond. Ma il “nostro” Waymond: il pavido, spento marito che chiede alla moglie di firmare le carte del divorzio. Perché? Perché non c’è più l’amore in quel rapporto. E allora, in uno slancio apparentemente retorico ma in realtà essenziale, Waymond lancia un urlo disperato: basta combattere, basterebbe che tutti siano gentili. A quel punto, Evelyn capisce che c’è sempre qualcosa da amare. Ed è qui che la storia cambia.
La figlia

Jobu Tupaki assume l’aspetto di Joy in tutti gli infiniti universi paralleli esistenti. Jobu è Joy. Joy è una ragazza sovrappeso ed è lesbica: due tratti, questi, che creano una distanza con sua madre Evelyn, che le sottolinea la necessità di dimagrire e non ha il coraggio di dire a suo padre dell’orientamento sessuale della figlia.
Jobu è la portatrice della voce del nichilismo cosmico in Everything Everywhere All at Once: tutto si origina da un equivoco. Infatti, gli abitanti dell’Universo Alfa, riferendosi alla ragazza, affermano che “nessuno sa quale sia il suo scopo”.
La verità è che è proprio quello il punto: Jobu intraprende una battaglia contro se stessa e nessuno sa cosa vuole perchè lei vuole il Nulla che, in questo specifico caso, è rappresentato da un bagel. Il bagel, simbolo del Vuoto in cui tutto può essere risucchiato (come in astronomia avviene coi buchi neri), è l’obiettivo ultimo di Jobu, nonché il suo mezzo. Jobu/Joy è riuscita ad acquisire la capacità di vivere tutti gli universi contemporaneamente, e questo l’ha alienata sempre di più fino a quando non si è convinta che nulla abbia significato, che l’esistenza non abbia uno scopo e che la ricerca di un senso nell’universo è completamente inutile.
Tutto questo, tuttavia, non si origina per caso o senza senso: il nichilismo di Joy ha una duplice fonte nel fallimento del rapporto con la madre Evelyn e nell’impossibilità di trovare qualcuno che possa capirla. La decisione di rinunciare a tutto perchè quel tutto in realtà è niente – che assomiglia molto a una ampia metafora del suicidio – è il cuore dell’argomentazione di Joy, che aveva nella madre il filo a cui aggrapparsi ma del quale ha perso il possesso da tempo. Quando crede di aver trovato la Evelyn che potesse finalmente capire il suo Vuoto, si rende conto che forse c’è qualcosa a cui aggrapparsi, in fondo.
Madre e figlia
Alla convinzione nichilista di Joy si contrappone una Evelyn inizialmente convinta dell’insensatezza del Tutto ma, dopo l’epifania innescata dalle parole di Waymond, fortemente convinta che al Nulla (e alla violenza) si debba rispondere con il Tutto (e la gentilezza).
Esattamente come dal rapporto di qualsiasi madre con il proprio figlio/la propria figlia dipende la sorte del proprio microuniverso, dalla sinergia del rapporto fra Evelyn e Joy dipende la sorte del multiverso.
E se è vero che siamo tutti piccoli e stupidi, e che probabilmente guardare la realtà nel suo complesso non ci permetterà di coglierne il suo senso totale, è altrettanto vero che quel senso possiamo trovarlo in quei “few speks of time“, quelle infinitesimali particelle di tempo che danno significato alla nostra esistenza. Uno snodo è, in questo senso, l’amore ritrovato tra una madre e una figlia: perchè a volte può bastare dichiarare l’amore a chi da noi se lo aspetta per poter restituire un po’ di “tutto” in questo mare di “niente”:
«Of all the places I could be, I just want to be here with you» (Evelyn a Joy).