Avatar – La via dell’acqua è un film di James Cameron del 2022, sequel di Avatar (2009). Il film riprende la storia di Jake Sully, umano diventato Na’vi, ormai integrato perfettamente sul pianeta Pandora all’interno del clan degli Omaticaya con Neytiri, la sua compagna.
Avatar – La via dell’acqua è però anche un’opera contemporanea estremamente attuale sul modo in cui il cinema può rappresentare il rapporto tra l’uomo, la natura e la tecnologia.
Probabilmente molto sarà scritto su questo film, sul genere di fantascienza a cui appartiene e sui confronti su altre opere più o meno affini (Dune, Pocahontas e così via…); il presente articolo, dunque, cercherà di mantenere una voce originale e al tempo stesso riconoscente rispetto alla storia raccontata in un futuro distopico ma non troppo, ambientato un centinaio di anni dopo il problematico presente che noi italiane e italiani viviamo adesso insieme ad altri otto miliardi di individui sparsi sul pianeta Terra, reduci da una delle crisi sanitarie ed economiche più importanti mai affrontate.
Nel film diretto da Cameron, il pianeta di Pandora lo ritroviamo così com’era tredici anni fa, caratterizzato da una natura bella, vitale e rigogliosa, in perfetta armonia con gli esseri viventi che lo popolano, dando vita ad ecosistemi equilibrati e diversificati.
Avatar: La Via dell’Acqua – Ritrovarsi dieci anni dopo
Nella storia di Jake Sully, di Neytiri (Zoe Saldana) e dei loro figli, il discorso che governa è quello della sensibilità verso il mondo che li circonda: nulla è fuori posto, non ci sono discontinuità e fratture tra il passato, il presente e il futuro della popolazione indigena in quell’ambiente, se non fosse per l’invasione dei demoni del cielo narrata nel primo film.
Dal punto di vista cinematografico, commentare Avatar è superfluo: si tratta di un film così particolareggiato dal punto di vista estetico, cromatico e digitale che ammirarne le immagini senza l’uso del 3D costituirebbe un crimine. James Cameron è riuscito a superarsi anche e soprattutto per aver perfezionato la sua idea di Pandora, gli ambienti che voleva mostrare e le caratteristiche degli stessi che voleva privilegiare.
Nell’opinione di chi scrive, la scelta di esplorare la biologia marina e un clan nuovo, simile e al tempo stesso differente da quello conosciuto nel primo film, rappresenta uno dei punti di forza principali di questo sequel.
Al di là delle singole interpretazioni e della narrazione, che rispecchia la tipica storia del lineare conflitto tra Bene e Male, quello che rende questo film degno di essere visto è il fatto che esso tocca pochi punti, ma essenziali per analizzare in modo originale temi sociali, rilevanti e contemporanei.
Sul rapporto tra umanità e natura, Cameron ha realizzato un saggio, un inno all’armonia violata dalla tipica mentalità che purtroppo affligge il pianeta Terra e che lo sta inesorabilmente conducendo verso la rovina.
Non è questa la sede per riflettere sulle conseguenze del capitalismo, sulle derive negative del sogno americano e sulle perversioni di un modello sociale patriarcale, ma è inevitabile che osservando il rispetto che i Na’Vi nutrono per la terra su cui vivono e soprattutto per la visione religiosa e panica che hanno di Eywa, la Forza, la Natura che li circonda.
Avatar: La Via dell’Acqua – I demoni del cielo
I macchinari con cui l’uomo, il demone del cielo, violenta e annichilisce la fertilità del mare, della foresta e della terra è disgustosa. Disgustose sono le scene in cui gli ecosistemi marini vengono annientati, disgustose sono le speculazioni di carattere economico su ogni elemento che incontrano. Eppure, come è noto, sono vere, troppo vere, e di conseguenza umane e troppo umane.
Consumare e pervertire è l’unico intento (conscio e inconscio) che un certo modo di funzionare della mente umana riesce a recepire. Avatar – La via dell’acqua è un film di fantascienza tremendamente vero: costringe gli spettatori a riconoscere nei comportamenti dei militari un pattern troppo familiare, troppo inevitabile per essere confutato.
Gli alieni sono loro, le Sentinelle aliene, straniere, diverse e inconciliabili con un rapporto armonioso con la natura sono loro. Il problema è che siamo noi: siamo noi con secoli di colonialismo, con interpretazioni gerarchiche e dominanti del lavoro, con la competizione e la costruzione di una società in cui esistere vuol dire consumare.
In un periodo storico in cui forse per la prima volta l’umanità si sta confrontando seriamente con le conseguenze della devastazione provocata nel corso dei decenni precedenti, alcune intense scene della battaglia tra gli uomini invasori e gli indigeni di Pandora che ricordano Apocalypse Now funzionano come un pugno nello stomaco.
Quello che forse funziona e colpisce di più di questo aspetto del film di Cameron è l’immoralità inevitabile che contraddistingue l’umano, che sembra quasi incapace di frenare l’istinto distruttivo intimamente radicato e connesso col guadagno e con la prevaricazione sul prossimo.
Avatar: La Via dell’Acqua – Bullismo e discriminazione
Nel nuovo ambiente marino in cui Jake Sully e la sua famiglia devono ambientarsi, dovranno confrontarsi e integrarsi con una specie leggermente di Na’Vi, fisicamente e mentalmente in accordo con la natura che li circonda come loro lo erano con la foresta.
Mentre questo processo di confronto, individuazione e differenziazione si compie, uno degli aspetti più delicati dell’opera di Cameron consiste forse nella cifra sfumata ed estremamente sottile in cui si presentano episodi di bullismo e discriminazione tra i fanciulli del clan ospitante e i figli del protagonista, che non hanno vita facile in un ecosistema differente da quello al quale sono abituati.
La ricorrenza estremamente sofisticata che viene sottolineata in questa tematica sta nell’inevitabile componente xenofoba che esprime, che a questo punto non è più solo quella che crea una dicotomia tra gli indigeni e gli uomini demoni invasori provenienti dal cielo, ma anche un dualismo e un rapporto d’identità e alterità più complesso e di leviana memoria che radica anche in coloro che appartengono alla stessa specie l’irresistibile necessità di distinguere tra un noi e un loro, fonte del conflitto primordiale dovuto al riconoscimento del limite che separa l’Io dal Non-Io.