Nolan racconta la percezione di Memento

Tommaso Paris

Gennaio 30, 2023

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Christopher Nolan racconta la Percezione di Memento

Dopo l’aggressione subita da due uomini che avevano violentato e ucciso la moglie, Leonard Shelby è affetto da un disturbo mentale che lo condanna a perdere la memoria a breve termine, ritrovandosi così completamente abbandonato a sé stesso, senza alcun punto di riferimento. Il suo mondo esiste 15 minuti alla volta, poi ricomincia da capo, eternamente. Incapace di dimenticare il suo ultimo e autentico ricordo, la morte della moglie, il protagonista trova la sua unica ragione di vita nella affannosa ricerca dell’assassino.

In questo film non si mostra la storia di un personaggio che ha perso la memoria a breve termine per effetto di un disturbo post-traumatico, ma attraverso uno specifico utilizzo del linguaggio cinematografico si prova a rappresentare la percezione di questo disturbo.

«La mia soluzione per raccontare questa storia attraverso una prospettiva soggettiva era quella di negare al pubblico le stesse informazioni che sono negate al personaggio. E il mio modo per farlo è stato raccontare la storia al contrario. La prima volta che vediamo il personaggio noi non sappiamo, proprio come il protagonista, come ha incontrato quella persona prima o chi è quella persona, se si deve fidare o meno. La storia, quindi, è raccontata al contrario, con una serie di flashback che vanno sempre più indietro nel tempo»

(Christopher Nolan)

Leonard Shelby in Memento

Il regista con un montaggio rivoluzionario e con la scelta del bianco e nero nei flashback, riesce a raccontare una storia ingabbiata dalla decadenza del tempo, una storia che è come se ogni quarto d’ora ripartisse da zero. La narrazione, il cui inizio si intreccia e capovolge il ruolo con la fine, mostra l’arco narrativo di un personaggio che, esclusivamente finalizzato alla ricerca del suo John G., non può fisiologicamente attuare un’evoluzione, rimanendo eternamente ancorato al proprio inattuale presente.

E lo spettatore si ritrova ingabbiato nell’alterazione percettiva del protagonista, come se anch’esso, cinematograficamente, perdesse la memoria a breve termine, ritrovandosi in simbiosi con Leonard attraverso una quasi-percezione del suo disturbo.

«Ho alternato le scene con il colore che sono intensamente soggettive: tutto ciò che accade a colori è il punto di vista di Leonard, siamo sempre nella sua testa, o almeno iniziamo. E queste sono alternate a scene in bianco e nero che, almeno all’inizio, sono oggettive, e sono presentate in un modo un po’ più “filmico”, c’è una maggiore distanza delle inquadrature, non sentiamo la sua voce al telefono, non siamo realmente nella sua testa, è un punto di vista più oggettivo. I voiceover nelle scene a colori e in quelle in bianco e nero sono molto diversi. Una è voce della sua mente, in prima persona, sono i suoi pensieri, mentre l’altra è più simile a una dinamica da intervista dove il pubblico scopre qualche evento della sua vita. Con l’evolversi del film le sequenze a colori diventano lentamente sempre meno soggettive, tanto che verso la fine del film usciamo dalla sua testa e ci poniamo noi delle domande. Mentre le scene in bianco e nero, invece, che ci rendiamo conto nell’evolversi della trama che raccontano una storia che procede in avanti, con il tempo diventano sempre meno oggettive e si avvicinano alla prospettiva del protagonista. Così, verso la fine del film, le scene a colori e in bianco e nero si incontrano, sequenze che vanno in avanti e sequenze che vanno indietro, oggettività e soggettività si incontrano alla fine del film, il che cronologicamente potremmo chiamarlo la metà del film»

(Christopher Nolan)

Tuttavia, nel finale del film, che in realtà scopriamo essere l’inizio, dopo aver appreso come il fantomatico assassino Joh G. sia già stato preso e ucciso, si nota come Leonard scelga di autoimporsi un eterno ritorno, decide consapevolmente che la ricerca dell’assassino della moglie non dovrà mai terminare, decide di non scrivere da nessuna parte la realizzazione dell’obiettivo, decide di dimenticare.

memento
Leonard Shelby in Memento

Il passato, essendo solo una storia da raccontare a sé stessi, diviene manipolabile, permettendo di ingannare anche chi non ci si aspetterebbe mai: sé stessi. Pur di avere uno scopo, Leonard si autoinganna, consapevole che senza memoria e senza nessuno, la volontà sia l’unico appiglio a cui aggrapparsi.

Leonard Shelby: «Mento a me stesso per sentirmi meglio».

In questo circolo destinato a ripetersi all’infinito, l’esistenza di Leonard si rivela essere ingabbiata da un eterno ritorno che, per quanto non gli permetta di vivere autenticamente, gli consente di continuare a vivere, conferendo un senso alla sua condizione, a una vita che altrimenti svanirebbe come lacrime nella pioggia.

«Una delle cose più interessanti del film, per me, è stato presentare un’idea della tensione tra il nostro punto di vista soggettivo sul mondo, come noi facciamo esperienza della vita, e la fede nell’oggettività della realtà, al di là di noi. La maggior parte dei film presentano un mondo abbastanza definito, dove c’è una verità oggettiva che non riscontriamo nella vita di tutti i giorni, è una delle ragioni per le quali andiamo al cinema. Noi non volevamo farlo, non volevamo uscire dalla sua testa. Volevamo presentare al pubblico quella condizione e fargli capire che lui non può uscire dalla propria testa. Penso che il pubblico alla fine del film si ritrovi a compiere gli stessi giudizi e considerazioni che fa il protagonista»

(Christopher Nolan)

Christopher Nolan

È interessate notare come molti medici hanno considerato Memento una delle espressioni cinematografiche più realistiche dell’amnesia anterograda, riferendovisi come «la rappresentazione più accurata dei diversi sistemi di memoria nei media popolari» e «vicino a una perfetta esplorazione della neurobiologia della memoria», perché «la qualità frammentaria, quasi a mosaico, della sequenza di scene del film riflette anche la natura di “presente perpetuo” della sindrome».

«Anche se all’inizio la sceneggiatura di Memento mi sembrava scritta in arabo e avevo la sensazione che fosse molto confuso, ho accettato perché mi ha impressionato da subito il viaggio emotivo del personaggio. Come attore è l’unica cosa a cui posso aggrapparmi per fare il mio lavoro. Il problema è che non appena la storia di Christopher Nolan è divenuta chiara nella mia mente, ho dovuto trattare ogni scena come una cosa a sé stante. Non dovevo ricordare cosa fosse successo prima e non avevo idea di quello che sarebbe accaduto dopo. Quel film ha messo in seria discussione la mia memoria»

(Guy Peirce)

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