Che Jujutsu Kaisen avesse una rosa di personaggi incredibilmente complessi si è capito fin dalla prima pagina del manga. Niente di originale sia chiaro, la dinamica sociale che collega le varie personalità è più o meno sempre quella. Le colpe dei padri ricadono sui figli: le colpe dei senpai ricadono sui kohai. Ragazzi che prima erano a malapena adolescenti ora sono uomini e portano già sulle spalle quel peso a cui ancora non sanno dare un nome.
«Sei il più forte perché sei Satoru Gojo o sei Satoru Gojo perché sei il più forte?»
Probabilmente Satoru sta ancora pensando a quelle parole che Suguru gli ha rivolto quel lontano giorno di più di dieci anni fa.
Bianco
Suguru l’ha sempre saputo probabilmente che non sarebbe mai riuscito a vincere contro quel ragazzo. Sempre un passo indietro, sempre un gradino più in basso, sempre seduto, sempre fuori dalla porta ad aspettare. D’altronde, però, si sa: a un bianco accecante serve un nero abissale e cupo per risaltare.
Suguru è quel nero. Un nero talmente profondo da arrivare a immaginarsi ulteriori ombre muoversi al suo interno. A quelle distanze manca anche l’aria, nemmeno gli atomi hanno il coraggio di arrivare laggiù. Nessuno con un minimo di senno andrebbe di proposito verso quel buio. Forse, però, non si può decidere se avvicinarcisi oppure no. Forse, quell’abisso appartiene a ciascuno di noi e a un certo punto ti travolge. Ti inghiotte a tal punto da non riuscire più a vedere nessun tipo di luce. Ma Suguru quella luce la vorrebbe vedere ancora.
Nero
Satoru l’ha sempre saputo che non avrebbe mai perso contro quel ragazzo. Sempre interrogato a un tavolo, sempre a correre, sempre un passo avanti, sempre il gancio trainante. Un bianco così luminoso da aver bisogno di uno sfondo nero per essere veramente se stesso.
Satoru è quella luce. Fragile, si dice. Ogni luce va protetta, conservata, accudita. Ogni minima intemperia può spegnere una luce, ma non quella di Satoru: quell’azzurro etereo che brilla in quegli occhi che non hanno una fine. È talmente in alto che nemmeno le stelle riescono a specchiarsi nel suo riflesso. Così sola lassù. Nessuno si avvicinerebbe mai. A quell’altitudine di ossigeno ce n’è anche troppo. Ma c’è solo quello. Tutti vorrebbero arrivare a quell’altezza senza sapere che non toccherebbero più la loro ombra, quel nero che lo rende così luminoso. Ma Satoru quel nero lo vorrebbe ancora sfiorare.
Grigio
Dove c’è bianco non c’è nero, dove c’è nero non c’è bianco; dove c’è vita non c’è morte, dove c’è Satoru, ora, non c’è più Suguru. Si annullerebbero a vicenda, il bianco acceca il nero e il nero schiaccia il bianco.
Chi è allora il grigio?
Chi riesce a far convivere quei due pesci combattenti pronti a sfidarsi fino alla morte ma timorosi nell’agire l’uno contro l’altro. Chi è l’unione perfetta tra quell’abisso e quella vetta? La maledizione più malvagia, il suo Re, o l’anima più pura, ventre intonso e immacolato?
In Jujutsu Kaisen forse un grigio non c’è, e mai ci sarebbe potuto essere: Suguru è nero e Satoru è bianco, o Satoru è il nero e Suguru è il bianco. Chi ha detto che la luce non faccia paura e il buio non sia confortevole, che nella luce più allucinogena ci sia salvezza e nel buio più fitto ci sia terrore.
Satoru è lugubre bianco, Suguro è accecante nero.