Nuovi Sguardi – Intervista a Pietro Falcone, regista di Saudade

Caterina Cingolani

Agosto 8, 2023

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Nuovi Sguardi – Intervista a Pietro Falcone, regista di Saudade

Pietro Falcone, classe ‘99, è un regista emergente laureato alla RUFA – Rome University of Fine Arts. Di recente ha firmato la regia del suo primo lungometraggio, Saudade, un intimo documentario autobiografico a due voci: quella di sua madre, Nilde, che lascia per sempre il Brasile trasferendosi in Italia per inseguire l’amore, e quella dello stesso Pietro, figlio che cerca di capirla attraverso i suoi occhi.

Nuovi Sguardi - Intervista a Pietro Falcone, regista di Saudade
Pietro Falcone

Molto spesso quando pensiamo al nostro passato o alle nostre origini, sopraggiunge in noi un’idea vaga e indefinita. Tentiamo, con grande forza di volontà, di ricostruirlo e di dare una scansione cronologica agli eventi che si sono susseguiti, uno dopo l’altro. Eppure, più cerchiamo di fare ciò e più la nostra mente dissolve i fatti, lasciando, invece, l’impronta di una fortissima emozione, un sentimento che cresce quanto più noi ci sforziamo di controllarlo attraverso il raziocinio.

Il 30 agosto 1942, Pavese scrive nel suo diario personale un pensiero che, a mio parere, ben si interfaccia con la ricerca artistica di Pietro.

 «Amore è desiderio di conoscenza». 
(Cesare Pavese)

Saudade, come il vetro di una lente d’ingrandimento, scandaglia e viviseziona la vita quotidiana di due famiglie che si sono inevitabilmente unite, nonostante tutte le loro diversità. La reminiscenza di quel passato perduto, riaffiora grazie al dialogo tra Nilde e Pietro, modifica i valori del tempo attuale fino a creare circolari associazioni di significati condivisi. È proprio l’amore, energia liquida e tensiva, che spinge le persone ad ascoltare la storia dell’altro e ad accarezzarne, dolcemente, le ferite.

Nuovi Sguardi - Intervista a Pietro Falcone, regista di Saudade
Titoli di testa di Saudade

Intervista a Pietro Falcone

Di Pietro mi colpisce subito l’umiltà e l’ironia con cui si racconta, sviscerando il suo vissuto e la passione per l’arte cinematografica. Riesci a ricordarti il momento esatto in cui il cinema è diventato, per te, un bisogno?

Pietro Falcone

Non ti so dire con precisione quando è nata questa mia passione. So solo di aver rotto un numero imprecisato di macchine compatte, che mi hanno regalato tra i 10 e i 12 anni. Da piccolo sognavo di lavorare nel circo. Di punto in bianco, volevo fare l’animatore e dopo ancora l’attore. Sicuramente mi ha affascinato sin da subito questa dimensione dello spettacolo, della ribalta. La vera svolta è arrivata quando ho iniziato a frequentare il Liceo Artistico, acquisendo consapevolezza e interiorizzando le potenzialità del mezzo-cinema, ma anche imparando ad agire di pancia, del tipo “prendi la telecamera, esci e gira quello che senti”. In Accademia ho capito fino in fondo di voler fare il regista e, proprio seguendo questo approccio “istintivo”, mi sono avvicinato al genere documentaristico.

Raccontaci da dove nasce l’idea di Saudade e quali sono state le necessità che ti hanno spinto a raccontare la tua vita e, insieme, quella di tua madre, Nilde.

Pietro Falcone

Tutto nasce durante il periodo del Covid in cui, nonostante fossi riuscito a trasferirmi a Roma per studiare, mi sono ritrovato di nuovo bloccato a casa, non potendo girare nulla. Così ho iniziato a riprendere mia madre che, come me, stava a casa tutto il tempo. Ne è uscito un cortometraggio di circa 10 minuti in cui, a queste sequenze, ho unito materiale di repertorio.

Una persona che mi aiutato tanto, sin da quando Saudade si trovava ancora in una fase embrionale, è stata Flaminia Gentili, amica e collega nel mondo del cinema: Flaminia mi ha convinto a portare avanti il progetto, sostenendomi sotto ogni prospettiva; passo dopo passo. Nutro un’estrema fiducia in lei, sia dal punto di vista lavorativo che relazionale.

In seguito, è stata Livia Barbieri – docente di Produzione nella mia Accademia – a propormi di far diventare questo piccolo audiovisivo, un progetto di Tesi sperimentale: una sorta di diario su come strutturare un film, partendo dalla mia idea documentaristica. E così è stato.

Un frame tratto da Saudade

Cosa sei disposto a fare per amore?”: Saudade, come dice il titolo stesso, è permeato da un conflitto tra scelta e rimpianto – nostalgia del futuro e nostalgia del passato, insieme. Cosa significa il termine “Saudade”? Pensi che questo sentimento possa essere ampliato su scala globale?

Pietro Falcone

Saudade” è un sentimento strettamente affiliato alla popolazione brasiliana, anche se io la reputo l’emozione più universale che esista. Essa è “la mancanza di qualcosa che non si ha più”. Differisce dalla nostalgia in quanto si presuppone sia innata nelle persone e si espanda in tutte e tre le coordinate temporali: nell’accettazione del passato, nella malinconia del presente e nella speranza verso il futuro. In questo caso, Saudade è la mancanza che sente mia madre avendo abbandonato il Brasile.

Spesso si dice “osserva il presente, non guardare nel futuro né nel passato”. Ebbene, credo che, in quanto esseri umani, siamo portati a guardare soltanto al passato o al futuro. Faccio fatica a vivere il presente. Mi è, invece, naturale collocarmi in un futuro immaginato o, quantomeno, in un passato soggettivamente filtrato dai ricordi. Saudade per me è un monito a non dimenticare quello che è stato, questo perché i ricordi determinano quello che siamo.

Nel film è presente una parte di repertorio in Brasile, ad esempio, la quale è stata interamente girata da mio padre, grande fotoamatore. Egli, senza rendersi conto, faceva stacchi sull’asse, passaggi da campi lunghi a primi piani o mezzi busti: alcuni di questi stacchi stanno, addirittura, nel film. Tutto questo mi ha fatto riflettere. Mi sono accorto che il mio occhio fotografico è molto simile al suo, come se i nostri sguardi e, dunque anche i nostri ricordi, si siano fusi l’uno nell’altro. Anche io cerco, guardandomi intorno, quello che, forse, cercava lui.

Nuovi Sguardi - Intervista a Pietro Falcone, regista di Saudade
Pietro in un frame tratto dal materiale di repertorio in Brasile

Sentendoti parlare mi viene in mente una frase che disse Renoir quando incontrò Bertolucci nel salotto di casa sua: «Ricordati, bisogna sempre lasciare una porta aperta. Non si sa mai: qualcuno potrebbe entrare, inatteso, è la realtà che ti sta facendo un regalo!» Ti chiedo, vista la grande carica emotiva, che ruolo abbia giocato l’improvvisazione nel tuo documentario, dalla fase di scrittura a quella di montaggio.

Pietro Falcone

Per Saudade avevo tra le mani un canovaccio di sceneggiatura, un’ossatura da cui partire, scritta a quattro mani con Davide Palmisano. Per molti versi ho disatteso anche questo canovaccio, nel senso che ho seguito più quello che mi diceva la vita durante le riprese. C’è, dunque, molta improvvisazione e quel poco che era stato ricostruito o ricreato, alla fine non è neanche stato montato. All’inizio l’idea era quella di rimaneggiare la versione di un’ora e mezza che avevo assemblato io ma, confrontandomi con Tessa Zofia Laporese, la montatrice del progetto, abbiamo convenuto che fosse meglio ricominciare da zero. La fase post-produzione ha richiesto più o meno 8 mesi di lavoro.

La cosa fondamentale è stata non avere scadenze da parte dei miei produttori, Gianluca Arcopinto e Cristiano di Felice, i quali si sono subito resi conto di dovermi lasciare libertà da questo punto di vista. Anche il rapporto di confidenza che si è creato con Tessa ha permesso, secondo me, di far emergere fino in fondo l’emotività di Saudade. Ho totale fiducia nella sua visione.

Stessa cosa anche con Giuseppe Lo Faro, compositore delle colonne sonore del film. Giuseppe aveva delle time track abbastanza precise; questo sia per darci un ritmo, sia per far capire l’andamento emotivo delle scene. Pensavo, però, che si trovasse abbastanza bloccato. Un giorno vengo a scoprire che, mentre ero sul set del videoclip di Belong, zitto zitto stava componendo un EP interamente dedicato a Saudade, le cui tracce ora sono anche nel film.

Belong, videoclip diretto da Pietro Falcone

È fantastico quello che dici: come se fosse il rapporto con l’altro a far fiorire in maniera completa le tue idee, in una sorta di “fuori-dentro-fuori” emotivo del processo artistico. Passi per l’altro per raggiungere te stesso.

Pietro Falcone

Amo il cinema in quanto è un’arte che si fa attraverso gli altri e con gli altri. Tutto può nascere da un bisogno egoistico di espressione, ma il vero completamento arriva una volta che si entra in contatto con gli altri. Ognuna di queste collaborazioni è nata in maniera inaspettata, ma ciascuno ha dato amore ad un film che parla d’amore: senza questo nulla sarebbe stato possibile.

Le storie che scrivo nascono sempre da un forte desiderio di conoscenza, di me stesso in primis: quello che ho cercato di fare con Saudade è stato metabolizzare tutte le situazioni che si vedono, poi, nel film; situazioni sulla quale, non mi ero mai soffermato lucidamente prima d’allora. Cerco sempre di trovare punti di contatto tra la mia vita interiore e la realtà.

Nuovi Sguardi - Intervista a Pietro Falcone, regista di Saudade
Uno scatto dal set di Belong

Che cosa ti ispira al momento? Quali sono questi punti di contatto?

Pietro Falcone

Il nuovo film che sto scrivendo, insieme allo sceneggiatore Federico Massimi, oltre ad essere un road movie “esteriore” sarà anche un viaggio nei sentimenti di due ragazzi, i quali si attrarranno inconsciamente e tenteranno di reprimere “lucidamente” i loro sentimenti. È un processo difficile quello di venire accettati e, soprattutto, di accettare sé stessi.

Mi interessa proprio raccontare quel cambiamento interiore: il passaggio tra l’incoscienza e l’autoconsapevolezza di sé. Sono cresciuto e vivo ancora nelle zone periferiche di un paesino nella campagna abruzzese: il mio intento è narrare la periferia come luogo sospeso e fuori dal tempo, con un occhio duro e non edulcorato; il tutto fondendo elementi folk-horror, direttamente pescati dalla mitologia della mia regione.

Un regista che tengo molto a cuore è Luca Guadagnino. Mi colpisce l’estrema naturalezza con la quale i suoi personaggi evolvono nel corso della storia. In Call Me By Your Name i due protagonisti si trovano di fronte ad un’emozione nuova e inaspettata. Nonostante i due abbiano un destino già scolpito (Oliver sarebbe ripartito dopo tre mesi), vivono quell’emozione con sofferta intensità. Spesso gli amori brevi sono quelli che, poi, ti trascini per tutta la vita.

Inoltre, amo intrattenere lunghe conversazioni con la troupe e il cast per avere poi la libertà di improvvisare, sempre tenendo bene a mente la sceneggiatura e i miei intenti. L’importante è cogliere l’anima della scena, solo così posso costruire la cornice dentro cui inserirla.

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Pietro Falcone sul set

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