L’odio si distende oltre l’orizzonte delle responsabilità individuali e collettive, lasciando tracce indelebili lungo il cammino dell’umanità, colme di grida e sangue, di sogni calpestati indiscriminatamente, ormai niente più che aliti ovattati, finanche annichiliti, nel frastuono di un boato inesorabile. A Eren Jaeger, quel mondo, è costato la propria umanità, ma al mondo, Eren Jaeger, è costato infinitamente di più.
Eren ha infatti sacrificato l’umanità, intesa sia come genere che come essenza individuale.
Uno degli aspetti più interessanti e originali del personaggio è che rovescia la narrazione tipica dell’azione eroica, che solitamente vede sacrificare i pochi, per lo più amici, al fine di salvare l’umanità. Nel caso di Eren, oltre a se stesso, è l’umanità che viene sacrificata quasi interamente a favore di una ristretta cerchia di amici. Si potrebbe considerare, almeno in un certo senso, un ibrido fra eroe e villain.
Non c’è più spazio per giusto e sbagliato, o meglio, il loro significato elude l’intellettualismo etico di socratica memoria, che tanto s’illudeva del fatto che la conoscenza del bene fosse condizione sufficiente e necessaria alla sua attuazione. Le categorie etiche diventano come frasi principali nullificate da particelle avversative che soggettivamente introducono il vero senso della volontà individuale.
Inizio e fine si abbracciano in un sogno lungo 2000 anni, seppur sia l’incubo a tratteggiare un disegno che ingoia la verità storico-empirica e la rigurgita nelle sembianze della mitologia. L’attacco dei giganti è un’opera fondamentale, nel senso più letterale del termine, tanto da ergersi sopra solide fondamenta che risolvono e sintetizzano la dimensione mitica con la dimensione del lògos, da sempre due modalità di ricerca del vero inestricabili, quantunque spesso erroneamente polarizzate.
Eren Jaeger – Il distruttore di mondi
Per il giovane Eren, dopo aver assistito inerme alla morte della madre, è proprio la verità l’obiettivo cui dirigere tutte le proprie forze. La verità e la vendetta. Tenute insieme con vigore, strette fra le mani, e trasformate in appigli per non cadere nell’abisso della disperazione, sempre pronto a risucchiarlo.
Un odio inizialmente cieco, contenuto da quelle stesse mura che avrebbero dovuto fornire la protezione dai giganti, alla luce di una nuova consapevolezza si espande al di là del mare, scorgendo per la prima volta nemici coscienti delle loro azioni – e tuttavia ignari delle proprie responsabilità – verso i quali dirigerlo.
Il confronto con Reiner è infatti emblematico del fatto che il punto di vista di Eren sia scevro dall’emotività che spesso lo ha contraddistinto nel corso della storia. Anzi, dopo averle ascoltate attentamente, comprende le ragioni del compagno, provando empatia in ragione del fatto che tutti siamo schiavi del punto di vista che si matura in una certa società.
Tuttavia accettazione e comprensione non rappresentano ostacoli per una volontà salda come la propria, perché il passato, inteso come totalità di nessi causa-effetto, è una spada di Damocle che grava sulle conseguenze di ogni pensiero raccolto, di ogni parola proferita, di ogni scelta intrapresa.
L’odio fa parte della natura umana, e non basta inseguire un bene superiore per farlo scomparire magicamente. Né può essere messo da parte quello che si è ricevuto, quand’anche si venga a conoscenza del fertile terreno della discriminazione in cui sono proliferati i batteri della paura, dell’intolleranza e del disprezzo.
La libertà fra responsabilità e destino
Le azioni di Eren sono terribili, anche dopo aver scoperto la volontà celata di voler mettere fine al dominio dei giganti e salvare i suoi amici da un destino genetico maledetto dalla storia, facendone degli eroi. Il dolore di una scelta impossibile condanna inevitabilmente alla solitudine, e a lui non resta che rubare attimi alle persone care, vissuti intensamente come ricordi e poi sprofondati nell’oblio.
Passato, presente e futuro si intersecano generando indistintamente ricordi, lacrime e rimpianti. Non c’è modo dunque di comprendere fino a che punto la responsabilità individuale possa incidere sul destino, né in che misura il secondo possa limitare la prima.
Eren è stato certamente influenzato dai ricordi del futuro, che hanno determinato la cristallizzazione della propria personalità non meno della catena di eventi del passato. Ma è altresì vero che ogni scelta compiuta ha dettagliato il percorso che lo ha portato a essere chi è diventato. Tutto è ineluttabilmente connesso.
Viene da chiedersi, dunque, in che modo ci si debba porre al cospetto del concetto di libertà, senz’altro uno dei capisaldi dell’opera di Isayama. In che misura si può essere liberi se il nostro Io più profondo è strettamente connesso alle scelte che facciamo (che abbiamo già fatto, nel caso di Eren) e che non avremmo potuto non fare.
«Con il potere del Fondatore, non esiste più passato né futuro. Esistono entrambi nello stesso momento. Per questo… non ho avuto altra scelta. […] Non sai quante volte ho provato. Ci ho provato fino a perdere la speranza. Ma se i ricordi del futuro non mutano, non cambia neanche ciò che avverrà. Armin è come hai detto tu. Sono uno schiavo della libertà». – Eren Jaeger
Eren si è fatto carico dell’impossibilità di ricambiare l’amore di Mikasa, dei sogni di Armin ed Erwin, del prurito epistemologico di Hange, della protezione di Historia e della libertà di tutti i suoi amici. Per farlo, si è macchiato di colpe indicibili, ha consegnato al teatro di guerra uno spettacolo di una crudeltà irripetibile; più di tutto ha sacrificato la propria libertà, forse inconsapevolmente, ma certo ha messo coscientemente a disposizione la sua vita per le persone che più amava.
«[…] sono stato io a mostrati quel libro che parlava del mondo esterno. E sono sempre stato io a farti immaginare un mondo senza nessuno, dov’è possibile… essere libero». – Armin
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