L’eredità di Alì e Rue viene, infatti, raccolta da Jules e dalla sua psicologa, permettendo allo spettatore di Euphoria di assorbire nel modo più diretto possibile il fine ultimo di tutto ciò.
Il rapporto con l’altro
Emerge, infatti, come il confronto con l’altro durante un percorso di transizione come il suo, sia particolarmente importante per trovare non solo il proprio posto nel mondo, ma anche una vera e propria svolta esistenziale.
In questa parte iniziale della conversazione Jules racconta degli sguardi, dei commenti, dei dispiaceri, delle delusioni che nel corso del tempo ha dovuto subire per la propria scelta di vita.
La profondità delle sue emozioni è particolarmente importante nell’edificazione della sua fragilità che, nel racconto di Euphoria, viene dipinta non solo come esempio di bellezza per l’emarginato, ma soprattutto come mezzo per accettarsi fino in fondo.

Jules
Jules: «Sento che la vita reale è sempre una delusione. È solo che è più facile parlare con le persone online. Puoi essere più aperta e sincera, e anche vulnerabile. Probabilmente è quello che mi attrae davvero. Forse è quello che mi affascina. Il fatto che non è reale, ed è tutta una fantasia».
Rue e la madre
Il fatto che Jules debba essere la guida, ma anche l’ancora di salvezza per Rue, appare come un nuovo punto di vista su questo personaggio, perché lo solleva dalle critiche per la scelta di fuggire nel finale della stagione.
Tra presente e passato
Jules: «È vero, si io sono qui. Sono qui ma lei sta guardando un milione di strati di altre persone che ho afferrato e a cui mi sono aggrappata per tutta la vita e questo è, terrificante. Le spiego, quando dico “me” mi riferisco, mi riferisco alla me di cui parlavo un minuto fa. La me che sta sotto un milione strati di non me».





