Perché C’era una volta in America sarà sempre il mio film preferito?
Si può dire che esistano due modi per valutare un qualunque oggetto del mondo, uno oggettivo e un altro soggettivo.
Addentrandoci nel mondo dell’arte queste due vie, già di per sé difficilmente separabili, tendono sempre più a contaminarsi, rendendo difficile comprendere quale stia valutando in un dato momento.
Abbiamo già discusso in Perché Birdman è un capolavoro? sui criteri adoperati per attuare una valutazione oggettiva di un film, ma poi subentra sempre la meravigliosa tipicità umana e ognuno si fa folgorare da un film piuttosto che da un altro.
Certo, sicuramente esistono quelli che amo chiamare capolavori, film che trascendono il genere, film che colgono l’essenza della settima arte, film che scelgono qualcosa da raccontare analizzandola, mostrandola ai nostri occhi, toccando il superbo, ma non si può mai universalizzare l’emozione per un’opera, c’è sempre un soggetto con una sua storia come spettatore e questo è ciò che ha, in conclusione, importanza.
Spesso quando mi chiedono quale sia il mio film preferito, mi è profondamente difficile rispondere. Una frase che quasi sempre tendo a usare è: «Ci sono tanti film che amo follemente, infatti penso che non per forza il più bel film che io abbia visto coincida con il mio preferito».
Ecco, questo è il punto, qui forse si percepisce il minuscolo spazio tra soggettivo e oggettivo, qui si incanala la pura e unica emozione.
Quindi dopo tale affermazione continuo dicendo: «È chiaro che quelli che elevo ai film che più amo di base superano tutti i miei criteri oggettivi e non, ma il preferito vive in uno spazio a sé stante, oltre tutti i criteri, in un qualcosa che forse neanche lo scenario soggettivo comprende fino in fondo, un’illimitata potenza emotiva che converge con lo stupore dell’arte cinematografica, e forse solo C’era una volta in America per me significa questo».
Perdonatemi per l’utilizzo di una sorta di discorso diretto per così dire, ma volevo provare a mostrarvi l’idea con forza e incisione, ora parliamo di C’era una volta in America.
Perché proprio questo film?
Ogni film ci vuole raccontare qualcosa e i migliori, come precedentemente detto, eccellono nel farlo. C’era una volta in America sceglie di raccontarci la vita stessa, senza simboli o pretese intellettuali.
Sceglie di raccontarci un’intera vita, le sue fasi, le sue emozioni, i suoi amori, i suoi fallimenti, attraverso gli occhi di un gruppo di bambini che scelgono la vita gangster. Attraverso gli occhi di Noodles, occhi di uomo innamorato di una poesia d’amore che sfugge alla realtà, di un amico che sceglie la menzogna, di un amico che non può accettarla; e in questo non trova eguali narrativi.
C’era una volta in America è un film gangster, ma non come solitamente inteso; si comprende dal titolo stesso, è una fiaba, una splendida fiaba in un mondo oramai passato nonostante sia così vicino, con meravigliose melodie a dettarne la poesia.
Una splendida regia, parliamo del grande Sergio Leone, che offusca il reale e il fiabesco, senza uscire dal mondo degli uomini, inseguendo e rimanendo ancorato alle passioni, alle sofferenze e alle ipocrisie che per sempre connotato l’incompletezza dell’essere umano. La bellissima fotografia fatta di colori soffusi e sospesi, spesso più legati alle emozioni che allo sviluppo narrativo in sé, così come l’aedo Morricone, che qui più che mai ci traghetta nei sorrisi e nelle lacrime più pure.
C’era una volta in America sa mostrarci una storia con semplicità, tanti volti di un Novecento complesso, l’amicizia e l’amore come nemici-amici, il romanticismo della giovinezza ricca di ideali e la corruzione della maturità vittima del potere.
Qui eccelle, racconta un’intera generazione in un perenne intreccio di tempi, scopriamo parallelamente due storie che sembrano non poter accumunarsi, ma che fanno parte della stessa triste fiaba, scopriamo quante emozioni diverse riesca a vivere un uomo in una così breve esistenza, scopriamo tanti personaggi e le loro evoluzioni e, infine, vediamo il fallimento umano, la cinica realtà che surclassa la poesia.