Il padrino parte I e II – Un confronto necessario
Esistono film di eterna bellezza, sospesi nel tempo così da non potersi sgualcire. Si compongono in intrecci artistici di un’armonia ineguagliabile, e tra musica, immagine e narrazione dipingono un mosaico perfetto.
Esiste però un solo film che ha saputo ripetere il miracolo cinematografico anche in un secondo capitolo. Stiamo parlando de Il padrino.
Quando si tratta di comparare i film con i loro sequel, il risultato tende quasi sempre verso la stessa critica: è quasi universale che l’opera prima si affermi come punta della piramide, lasciando un giudizio subordinante nei confronti dei film successivi. Ma non è così semplice se parliamo del capolavoro di Francis Ford Coppola.
Da sempre, infatti, è accesa una grande diatriba su quale capitolo trionfi sull’altro, escludendo il terzo a prescindere. È una sfida di millimetri. D’altronde due capolavori come si possono confrontare?
Oggi proveremo a strutturare un confronto su vari punti, non dando una vera risposta, perché non esiste l’oggettività assoluta, ma schiarendoci un po’ le idee.
L’impatto narrativo, tematico ed estetico
Alcune scene diventano leggendarie, superano la bellezza storica; sono scene che definiamo epiche.
Non ci sono dubbi che in questo Il padrino parte I risulti ineguagliabile. La sua prima scena si intreccia con l’inizio di una storia che si addentrerà nella cultura mondiale, condizionando nel bene e nel male il concetto di mafia italoamericana.
Ne Il padrino parte I si narra una vicenda originale: è il racconto di un mondo realmente esistito nell’America del Novecento, che subito però assume, come è proprio dei gangster movie, un tono profondamente affascinante. Lo sguardo cinematografico si dipinge di colori caldi e di ritratti che oscillano tra una sapiente tenebrosità e un dirompente scenario folkloristico, come il matrimonio all’italiana per citarne uno.
Quello che ci viene raccontato è un momento decisivo per la storia della famiglia Corleone, perché, minata da nemici sempre più pericolosi, osserva il suo castello diventare sempre più fragile. Il vecchio mondo sta mutando, il commercio si modernizza, la solidità conquistata dal Padrino inizia a vacillare e il momento in cui Don Vito dovrà scegliere il suo successore è sempre più vicino.
La narrazione dunque è quasi ambientata in un mondo parallelo rispetto a quello ordinario americano. Lo spettatore si immerge in una climax ascendente piuttosto lineare, in uno scontro tra violenza e valori, crudeltà e onore. Se da una parte vediamo il cinismo di Don Corleone, come nell’episodio del cavallo, dall’altra vediamo la sua vecchiaia, che non allenta la saggezza, ma a tratti ammorbidisce il cuore. Il contesto, in ogni caso, si mostra in tutta la sua freddezza.
Dunque lo sviluppo narrativo è piuttosto semplice e lineare, pur riempiendosi di una sceneggiatura potentissima, sia nella caratterizzazione e nell’evoluzione dei personaggi sia nei temi meravigliosamente variopinti. Viene toccata ogni corda, dal semplice concetto di famiglia, ad esempio quella formata da Michael Corleone con Kay Adams, alla famiglia Corleone come lavoro e onore, in un’estetica più ritrattistica che storico psicologica.
Il padrino parte II è tutta un’altra storia.
La narrazione si mostra più complessa, sviluppandosi nell’intreccio di due linee temporali: quella di Michael adulto, ormai capo famiglia, e quella che racconta le origini di Don Vito, dall’infanzia all’ascesa.
Se quindi la linearità del primo capitolo lo rende più fluido e ci permette di captare ogni affresco cinematografico che lo compone, il secondo ha un ritmo più contorto, sviluppandosi in una sorta di struttura a doppia elica meravigliosamente contrapposta. Da una parte c’è il declino di uomo che perde se stesso in nome del suo ruolo, dall’altra l’ascesa luminosa di un altro uomo capace di essere “giusto” nella famiglia e nell’onore.
Forse alla prima visione la vittoria è assicurata al primo capitolo, ma, concedendo un altro sguardo al secondo film, possiamo notare una maggiore profondità psicoanalitica, un carattere molto più introspettivo. Ciò riempie in qualche modo lo scenario ritratto nel primo film, aggiungendone uno spessore esistenziale ben più radicato.
Tempi e ritmi sono più lunghi, ma più profondi. La contestualizzazione storica è maggiore, i personaggi sono più umani. La parabola, questa volta, è discendente verso un mondo che, nonostante l’enorme fascino, è ricco di ombre indissolubili.
Assistiamo per certo al completamento di un’opera, ma, forse, accediamo anche a un esito più alto, un labor limae che raggiunge il suo massimo livello di raffinatezza cinematografica.
I personaggi de Il padrino parte I e parte II
Un altro punto su cui le tonalità de Il padrino parte I e II assumono una spiccata eterogeneità è la caratterizzazione dei personaggi. Abbiamo un affresco ricco di figure assolutamente peculiari, assoggettabili a schemi già visti, però assolutamente vive e dinamiche.
Vito Corleone

I tratti della personalità di Don Vito lo rendono il massimo esempio di capo famiglia, sia in campo lavorativo sia in quello affettivo. È il padrino per antonomasia, ovvero saggio, quieto e consapevole. Ha uno sguardo globale, conosce il mondo criminale come una scacchiera, anticipa le mosse, ma allo stesso tempo persegue, imperterrito, i principi e i valori dell’onore e della famiglia.
In Marlon Brando vediamo il sapiente, che segue regole ferree, ad esempio non commerciando droga, e che ha un amore sconsiderato per la sua famiglia, ma scorgiamo anche quell’indecisione e timore, dovuti alla vecchiaia incombente, su chi possa prendere le redini del regno.
Abbiamo dunque, nel primo capitolo, un personaggio alto, statico non per difetto, ma perché già strutturato e compiuto, di cui siamo affascinati dal primo secondo senza bisogno che si sviluppi. Bastano le poche parole della scena iniziale per mostrarci la sua personalità magistralmente.
Nel secondo capitolo, invece, lo vediamo crescere, con un De Niro che incredibilmente tiene testa al grandissimo Brando nell’interpretazione. Egli ci mostra, in primis nell’utilizzo del siciliano nella recitazione, le radici del personaggio, sempre solido nei principi, ma un po’ più irruento.
Vito Corleone è capace di essere leader in cinismo (uccide il boss precedente), ma anche in umanità (perché è fedele alla moglie e giusto con chiunque). È un personaggio, più dinamico e incompiuto, che cresce per arrivare a essere ciò che ci è stato mostrato nel primo film.
Michael Corleone

Michael Corleone è forse il massimo capolavoro della sceneggiatura de Il padrino. La sua evoluzione è profondamente parabolica e contrastante, in un ritratto sfocato di luci e ombre.
Ne Il padrino parte I conosciamo un giovane ragazzo onesto che non vuole entrare nei loschi affari della famiglia. È un soldato innamorato di una splendida fanciulla che risulta quasi stonato nel contesto dei Corleone, ma non è questo il suo destino.
Prima un omicidio, poi la fuga in Sicilia. Così infine sboccia il leader che è in lui: tutta l’ingenuità si corrode, il dolce sguardo diviene cinico, il debole ragazzo sconfigge ogni nemico.
Ne Il padrino parte II il personaggio si presenta in tutta la sua caparbietà, machiavellico e saggio come il padre, ma con sfumature più nere, forse dovute ai tempi, a uno scenario più complesso, oppure a una personalità più debole di quanto si mostri: così attenta, così astuta, eppure così sola.
Questo è il contesto in cui si immerge Michael ne Il padrino parte II, tra comparazioni con il padre tramite flashback e ostilità da fronteggiare interne ed esterne alla sua famiglia.
Scelte difficili, sguardo impenetrabile, è un Al Pacino ispiratissimo che, nel silenzio, si mostra emblema del contrasto esistenziale. Il suo personaggio si afferma nei tempi interpretativi, con grandi pause; si trova sempre sul filo del rasoio tra fascino e odio, forse risultando meno accessibile del primo, ma più ricco e profondo.
Sonny, Tom, Fredo e Connie

Sonny, colui che avrebbe dovuto prendere le redini della famiglia, è un elemento che contraddistingue Il padrino parte I.
James Caan rappresenta infatti al meglio la figura del gangster più istintivo, valoroso, ma irruento che manca nella seconda parte. Potremmo forse definirlo il gangster più “puro”, poiché è capace d’agire, ma non tanto di riflettere, poiché è mosso dalle pulsioni più primordiali; è aggressivo, ma non strategico. Dunque ci ricorda, purtroppo infine subendola, anche la faccia più crudele e sanguinosa della criminalità.
Tom è un personaggio davvero sui generis. Nel primo film il “consigliere” è un pezzo di marmo inamovibile, la cui voce però è rispettata, fra tutti, da Don Vito, il quale ne comprende come nessun altro la freddezza intellettiva, a tal punto da affidargli ruoli determinanti in qualità di portavoce della famiglia.
Robert Duvall impersona dunque un personaggio in principio alquanto statico, perché consiglia, ma interviene poco e, di fondo, segue un profilo ben definito. Tom risulta però davvero ben scolpito, pur essendo un personaggio secondario, con un alone di mistero e rispetto, che rientra meravigliosamente nello scenario ritrattistico che Coppola dipinge della mafia.
Nel secondo film ecco spuntarne l’umanità: è più debole, fatto di carne; è un uomo e non una caricatura. Il suo rapporto con Michael è assai altalenante, così da risultare un’ottima finestra sulla sinusoide esistenziale del giovane padrino.
Egli però è integerrimo, compiendosi infine come forse la figura più coerente dell’intera saga, subordinata, eppure degna di rispetto, nonostante sia sicuramente più dinamica, ma anche più incompleta, nel secondo film.
Fredo è il fratello maggiore, però quasi non meritevole del cognome che porta.
Eterno secondo, destinato a vedere gli altri fiorire e lui appassire, rimane silenziosamente in un angolo. Nel primo film ha poco spazio, eseguendo un ruolo molto di contorno, ma nel secondo esplode, permettendo a John Cazale di svolgere una performance davvero notevole.
Rappresenta il fratello che tradisce il suo stesso sangue: imperdonabile, eppure forse giustificabile dall’essere sempre succube di un giudizio ghettizzante, sempre in ombra e ridicolizzato. La sua fine è la fine della famiglia stessa.

Connie è il prodotto dell’oscurità dei Corleone, di cui Michael si mostra il massimo emblema.
In principio è una ragazza angelica, sorridente e ingenua. Poi il suo animo viene contaminato dalla violenza: sta con un marito crudele cui spetta una morte crudele, non riesce a fare a meno dell’alcol, è incapace di vivere nella sregolatezza. Michael la opprime, ma in fondo si sente responsabile; ha fatto ciò che era giusto, ma le conseguenze sono un limbo di ombre, nevrosi e rabbia.
Abbiamo qui un altro esempio in cui i due film testimoniano un percorso di crescita e distruzione, raccontano prima la luce e poi il buio, dove il buio è molto più profondo.
Clemenza e Frankie


La fedeltà, i tempi d’oro e il tradimento, i nodi che vengono al pettine sono i temi de Il padrino parte II.
Clemenza è il più caro dei compagni di Don Vito, così come lo sarà di Michael; è colui con cui tutto iniziò, la cui lealtà è inconfutabile.
Frankie è l’altra faccia della medaglia, ancora una volta l’elemento che rafforza la parabola distruttiva del secondo capitolo; è la figura disposta a tradire la famiglia, poiché quei valori non hanno più quel suono di comandamento. La famiglia non si trova più al primo posto. Occorre l’arrivo del fratello siciliano al processo per impedirgli di testimoniare, lasciandoci un amaro in bocca, vedendo la “fiaba dei Corleone” sempre più decadere.
Abbiamo dunque due diversi ritratti. Nonostante l’uno sia continuativo dell’altro, sono dipinti con colori differenti, o meglio complementari.
Il padrino parte I è ineguagliabile nella sua linearità, anche se è più nella storia (a parte per Don Vito e Sonny) che vediamo grande cinema, in una trama a tratti decontestualizzata storicamente, perché si approccia a un contesto quasi sospeso in due epoche.
Il padrino parte II si addentra nei risvolti esistenziali di un mondo destinato all’oscurità, delineando uno sguardo introspettivo meno ritmato, ma assai più profondo. Le parabole divengono discendenti, il dinamismo si intreccia alla decadenza, in un film di contrasti, tra passato e presente, solitudine e grandezza.