Come si giunge all’antieroismo?
Dal primo momento in cui l’uomo ha iniziato a imbastire miti e racconti da tramandare ai posteri, appare la figura dell’eroe come ideale da seguire.
Colui che, riprendendo la civiltà classica, era sovente un semidio o in casi eccezionali un uomo comune, con caratteristiche (coraggio, intelligenza…) superiori alla norma. Dunque non molto dissimili, avvicinando sacro e profano, dai supereroi della Marvel o DC.
Ma, nella storia della letteratura e del teatro anche le figure anti-eroiche hanno lunga tradizione. Hanno camminato al fianco degli eroi nel tempo essendo però protagonisti anomali o tragici, sconfitti, che falliscono nelle loro imprese. Esempi come Edipo, Medea, Amleto, MacBeth, i personaggi di Beckett o Pirandello per il teatro, il Don Chisciotte o le figure descritte da Joyce, Proust, Svevo per la letteratura: l’antieroe è sempre stato presente.
Ma nessuno immergendosi nelle loro opere sognava di essere al loro posto.
Fino ad oggi.
Cos’è cambiato?
L’avvento del cinema non può essere considerato l’unico fattore per questo cambiamento di gusti perché anche le prime pellicole hanno i propri antieroi, come i soggetti trasposti da Charlie Chaplin, ma nessuno ancora voleva vestire all’epoca i panni del cercatore d’oro.
Il cinema è l’arte che affermerà l’avvento di una nuova cultura dominante sulla società globale. Hollywood è la nuova Atene e la nazione culturalmente egemone al 2018 d.C. sono gli States. Se prima tutte le forme d’arte derivavano dalla fucina della civiltà classica, trasmettendo la memoria dell’eroismo e mantenendo nei secoli viva la supremazia della cultura greco-romana del vecchio continente sulle altre, oggi il baricentro culturale si è spostato a ovest. Lo switch da eroe ad antieroe da parte degli USA può essere spiegato usufruendo delle teorie Jorge Luis Borges, forse il principale intellettuale argentino dello scorso secolo.
Egli sosteneva che gli statunitensi non hanno un’epica di cui possano o vogliano parlare, poiché la loro storia affonda le radici nei fatti sanguinosi tra i pionieri e i c.d. nativi americani. Dunque distolgono lo sguardo dal loro passato, pur tentando di rivalutarlo con l’epopea Western di film “alla John Wayne”, ma desiderano scinderlo e mostrare così la loro storia più recente. Hanno bisogno di colmare questa lacuna, la mancanza di un’epica da passare di generazione in generazione ed è allora che il personaggio di un film, di un fumetto o un grande sportivo, iniziano ad avere i contorni di eroi epici. La loro epica diventa contemporanea, l’ultima parte della loro esistenza.
Ma essendo questa derivante dalla realtà quotidiana, da un mondo quasi privo di atti di eroismo, raccontano storie di antieroi, in cui tutti ci riconosciamo, i cui difetti sono in noi, nella nostra società. L’eroe classico è obsoleto, inadeguato nella sua perfezione al nostro tempo, solo l’antieroe si adegua perché il difettoso nasce in ogni epoca.
Per sempre incontreremo uno Zeno, probabilmente non incontreremo mai più un Ettore.
Per questo ci affezioniamo più all’antieroe, ormai l’unico protagonista di film, serie tv e fumetti. Data la sua diffusione ho ritenuto di dover mostrare tre tipi di antieroe di successo. Due derivati dalla variopinta carta stampata dei comics a stelle e strisce, Deadpool creato da Fabian Nicieza (testi) e Rob Liefeld (disegni) edito dalla Marvel, Rorschach creato da Alan Moore per la DC; e uno nostrano invece scaturito dalla mente di Nicola Guaglianone e Menotti e tradotto su pellicola dall’ottimo Gabriele Mainetti, il protagonista del film “Lo chiamavano Jeeg Robot” Enzo Ceccotti alias Jeeg Robot.
Tre elementi di un diverso antieroismo, ma estremamente di successo in questo mondo popolato ormai solo di antieroi.
Deadpool – Il super-antieroe

Deadpool disegna il suo prossimo attacco pochi secondi prima di eseguirlo
Immagino la sorpresa, in alcuni casi forse lo sdegno, dello spettatore, non particolarmente fan dei comics, che incuriosito dal nuovo film targato Marvel è andato a vedere il film di Deadpool o andrà quest’anno a vedere il sequel. Lo associava forse a uno Spiderman per questioni di outfit o agli X-Men per via dei poteri. Wade Winston Wilson (le sue iniziali da alter ego sono quelle dello stesso web e non è un caso) è l’outsider per eccellenza la cui parabola è passata da teenager disadattato a piccolo criminale e mercenario senza causa, mosso solamente dal denaro, che un giorno scopre di avere un cancro terminale.
Gli viene offerta la possibilità di entrare nel progetto Arma X, dove viene sottoposto a una sperimentazione che mira a riprodurre il fattore rigenerante del mutante Wolverine in altri soggetti. Non accetta per servire ideali del bene comune ma per salvarsi la vita.
La “cura” lo devasterà irrimediabilmente nel fisico e nella mente, perché il fattore rigenerante si legherà alle cellule tumorali, diventando Deadpool. Sospeso fra una cupa violenza e allegra follia, logorroico, cinefilo, disinteressato, supera ogni dicotomia tra il bene e il male: è il primo “super” a rompere la 4° dimensione.
Deadpool è conscio di essere protagonista di un fumetto o di un film da cui il costante dialogo col lettore/spettatore che abbatte la «quarta parete» della finzione: un super-antieroe meta-testo/schermo. Inoltre Deadpool è il primo personaggio a essere dichiaratamente pansessuale, cosa che traspare più nei fumetti che nel film, nonostante le sue compagne, e questo aspetto ha fatto guadagnare al film il “vietato ai minori” in alcuni degli States, oltre ovviamente allo splatter e al linguaggio “colorito”.
Queste caratteristiche, nella fase di debutto più da villain che da antieroe, saranno superate. La spinta iniziale della sua attività è innegabilmente l’odio cieco verso l’uomo che ha reso possibile la sua mutazione, sfigurandolo, tuttavia non si può certo definire Deadpool un personaggio cattivo: l’amore, l’amicizia a la solidarietà diverranno tematiche presenti ed importati nei filoni che lo vedono insieme alla X-force o nelle Civil War. Perché ha tanto successo? Certamente per la già citata adesione alla realtà, ma Deadpool è il superlativo assoluto di un concetto di ribaltamento.
Ossessionato dalla pop-culture, canzoni, mode, celebrity, fast-food, con un debole specifico per le sitcom minori: è il personaggio aggiunto di Big Bang Theory, un vessillo della cultura nerd degli anni novanta e duemila. Emerge dal canonico filone supereroico e inaugura una nuova era, in cui non è il nerd a cercar di assomigliare al supereroe, ma è il supereroe a trasformarsi nel nerd, la cui morale è intrisa di “politicamente scorretto”
Rorschach – Il giustiziere deviato

“Prima ero Kovacs che fingeva di essere Rorschach!”
Rorschach è, a mio modesto parere, un personaggio capolavoro nel capolavoro che è Watchmen. Ne è il punto di forza non solo per il look e la maschera, ma per tutta la struttura del personaggio. Alan Moore (inchino) ha, infatti, dato una fortissima caratterizzazione a Rorschach/Walter Kovacs: introverso fino quasi all’autismo, integralista, sociopatico ma estremamente acuto.
È un vigilante privo di poteri, che s’inventa il suo alter ego dopo aver assistito ad un brutale omicidio. L’aspetto più seducente risiede nella maschera di un tessuto speciale, inventato dal Dr. Manhattan, due lembi che al loro interno celano un liquido nero viscoso che si dispone in maniera differente a seconda dell’espressione di Kovacs, ricordando appunto il test di Rorschach. Non serve solo a celere la sua identità ma anche a reprimere metaforicamente la sua frastagliata psiche, disturbata sin dall’infanzia a causa della madre prostituta e maltrattatrice del piccolo Walter, tormentato dalla gang di quartiere e affidato durante l’adolescenza ad un istituto.
Il risultato di queste sofferenze non si manifesta durante il tirocinio della sua carriera da giustiziere, speculare all’attività di “colleghi” come Batman o Spiderman, attento a non uccidere o ad utilizzare un’eccessiva violenza, in coppia con altri eroi di Watchmen come Gufo Notturno. Sarà l’ennesimo orribile crimine a far scaturire il decisivo split della personalità, Rorschach da quel momento cesserà di essere Walter Kovacs. Diverrà paranoico e allo stesso tempo lucido, violento, con un complicato (non) rapporto col sesso femminile ma, soprattutto, ossessionato e disgustato dal degrado della società che lo circonda, chiuso ancora di più con sé stesso tanto da scrivere un diario rivolto a nessuno.
La sua folle visione integralista della realtà lo pone al di sopra di tutto, infallibile custode della giustizia e per questo autorizzato ad esserne il boia. Tanto matto quanto freddo e intellettualmente superiore agli avversari, la sua personalità degenerata non ha intaccato la sua capacità di ragionamento: risponde ai test psichiatrici nel modo in cui l’esaminatore si aspetterebbe da una persona sana (sottoposto proprio al test di Rorschach) anzi, come il Joker, conduce al crollo psicologico lo stesso psichiatra quando infine gli racconta con sincerità gli episodi aberranti a cui ha assistito e di cui è stato protagonista.
Tuttavia Rorschach avendo caratteristiche feroci non cede mai alla malvagità, il dogma bene-male è radicato fin troppo, il fine per lui rende giustificati i mezzi anche se sfociano in crimini. Potrebbe trovare un qualche fondamento nella filosofia politica derivante da Machiavelli, che riteneva che per l’attuazione del bene comune fosse possibile, e spesso necessario, il sacrificio del singolo il quale non era dotato di significativa importanza sociale, questo è Rorshasch.
Intercalato nel contesto storico degli anni ’70 oberati, familiare in quello spauracchio della Guerra Fredda ma in un mondo dove i supereroi sono messi al bando, Il Giustiziere Deviato è ammaliante con il suo linguaggio minimal e allo stesso tempo elevato: nonostante il modus operandi è il giustiziere più vicino ad una umana condizione e per questo fa breccia nei cuori di chi venera i tomi di Alan Moore.
Enzo Ceccotti alias Jeeg Robot – L’anti-hero de no’ altri
Tor Bella Monaca, periferia est di Roma, un crogiuolo di esistenze oscillano tra la quotidiana lotta per la sopravvivenza e la speranza del riscatto.
Enzo Ceccotti, un piccolo criminale in un mondo senza redenzione, si barcamena in attesa di un futuro non futuro, tirando a campare, guardando porno e mangiando i suoi adorati Danette gusto vaniglia. Tor Bella non è il Queens di Spiderman, non è Brooklyn di Capitan America, somiglia più ad Hell’s Kitchen del Daredevil: infatti, come il supereroe dalla vista perduta, Enzo incappa casualmente in qualcosa più grande di lui: un incidente che lo dota di superpoteri.
Chi a questo punto prevede l’ordinaria metamorfosi in eroe pieno di valore e sentimenti rimarrà deluso, Enzo non è destinato a diventare uno splendido cigno, la triste realtà di borgata, il manipolo di amici che ha perso inghiottiti dalla violenza periferica: il dolore lo zavorra, lo separa. E quando capirà il dono che ha ricevuto lo sfrutterà nell’unica maniera che conosce: rubando. Se non fosse per Alessia, vicina di casa psicotica, non ci sarebbe via di fuga per Enzo.
Il rifugiarsi di Alessia nei cartoni giapponesi, in Jeeg Robot appunto, la porta a far combaciare l’eroe Hiroshi Shiba in Enzo e così facendo lo riconnette emotivamente al mondo, trasmettendoli la speranza, il vero potere che serve al protagonista per evadere da quel grigiore quotidiano. Ovviamente ci vorrà anche un villain per trasfigurare Enzo in Jeeg: lo Zingaro (immaginate il Joker di Brian Azzarello con un tocco del primo Renato Zero) è perfetto per porre Enzo di fronte alla scelta di come utilizzare i suoi superpoteri, insinua il dubbio morale, la dicotomia giusto/sbagliato.
Ma forse l’antagonista vero, vicino a battere Jeeg, non era neanche lo Zingaro ma era il mondo intero intorno a Enzo, coniugato su regole feroci, anzi, sulla ragione del più spregiudicato, un mondo folle che rende quasi inutili i suoi poteri, se non fosse “soccorso” dall’amata Alessia. Enzo arriva dentro a tutti, è perfettamente credibile, l’ambiente intorno è l’incarnazione della realtà, i superpoteri non sorprendono più di tanto, la storia sembra quasi plausibile, qualsiasi spettatore è attratto da lui. Coattamente antieroico dimostra i passi avanti fatti dal cinema italiano, essendo la prova vivente di quanto abili siamo a cimentarci con qualunque settore cinematografico.