Il Filo Nascosto – Calmo, crudele controllo

Enrico Sciacovelli

Febbraio 24, 2018

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Il filo nascosto
Reynolds Jeremiah Woodcock nel film.

Il Filo Nascosto – Calmo, crudele controllo

Abbiamo tutti bisogno di trovare il nostro ordine nella vita, di seguire un codice personale per mantenerci su quella che consideriamo la nostra via. C’è chi non cambia mai l’orario della sveglia, chi segue una dieta ferrea e costante, chi sceglie un percorso morale che definisce la propria esistenza, e c’è persino chi sottolinea col righello.

Reynolds Jeremiah Woodcock è un uomo per il quale il controllo della sua vita è una conditio sine qua non. I suoi mille tic e capricci ammontano a un uomo pari in eleganza e in fermezza.
Cosa succede quindi, nel momento in cui s’inserisce un singolo elemento di disturbo nella sua routine quotidiana? Può un uomo così rigido nelle sue scelte accettare un’innocua, timida ragazza dai capelli rossi nella sua vita, rinunciando a quel controllo così ben difeso?

Diretto e scritto da Paul Thomas Anderson, noto per Il petroliere e per The Master, Il filo nascosto racconta di Reyonlds Woodcock, famoso sarto e stilista nella Londra degli anni Cinquanta, e di Alma, la sua giovane, timida, ma volenterosa nuova assistente. La storia del loro rapporto è raccontata per l’intera durata del film attraverso piccoli episodi di atteggiamenti passivo-aggressivi, dove i momenti di tenerezza sono tanto rari quanto dolci e quelli di freddezza gelidi quanto frequenti.

La trama, per quanto apparentemente semplice nella sua sinossi, rimane complessa nella sua presentazione, nel modo in cui lo sviluppo della pellicola risulta poco prevedibile.

I tanti elementi in gioco lasciano intendere un’aria di repressione e di ostilità che mantiene alta la tensione tra i personaggi e nello spettatore: Reynolds lo chiama veleno, e questo veleno pare uscire fuori dallo schermo e dentro la sala, lasciando il pubblico scomodo nelle poltrone.

Il filo nascosto
Reynolds Jeremiah Woodcock nel film.

Questo piccolo grande gioco di costante tensione è possibile solo grazie alla collaborazione dei due attori principali e del regista. Daniel Day-Lewis, una leggenda nel campo del method acting, si presenta dignitosissimamente in quella che potrebbe essere l’ultima performance della sua carriera: dietro a ogni silenzio, ogni gesto, ogni sguardo, ogni sorriso, ogni smorfia, Reynolds Woodcock nasconde pensieri, dubbi e desideri che pungono la sua mente come spilli.

Va lodata anche la sua partner, la lussemburghese Vicky Krieps nel ruolo di Alma, capace di tenere testa ai capricci di Woodcock con crescente sicurezza, arrivando al punto di uccidere con la dolcezza di un sorriso.

Come già detto, però, le grandi performance della coppia principale sarebbero vane nelle mani di un regista meno esperto, e a questo punto della sua carriera Paul Thomas Anderson è un maestro della sua arte, proprio come lo stilista del film: le inquadrature tendono a restare vicine ai protagonisti, rigide nella loro dedizione.
I movimenti della telecamera sono lenti, calcolati e precisi, come la mano che impugna l’ago e lo affonda nella trama del tessuto.

In una storia riguardo al controllo che esercitiamo su chi ci è caro, Anderson esercita questo controllo della sua telecamera con fermezza e convinzione, senza neanche una scelta lasciata al caso.
Le lodi stilistiche vanno fatte anche per il reparto sonoro, con una colonna sonora da parte di Jonny Greenwood capace di farsi strada nella mente dello spettatore, a metà tra grazia e insidiosità, e infine per il costumista Mark Bridges, di vitale importanza, vista la natura del film.

Una scena del film.

Il Filo Nascosto propone personaggi assolutamente credibili nella loro complessità e nei loro complessi. Alma e Reynolds non si innamorano, ma si piegano all’amore reciproco. Il loro non è un amore romanzato, ma soggiogato, il quale può essere espresso solo dopo una lotta per il controllo, della loro personalità, della loro identità.

Lo spettatore segue questo altalenarsi dell’equilibrio ed è costretto a porsi la stessa domanda che a un certo punto si devono essere posti i protagonisti: quanto sono disposto a rinunciare per amare? Quanto posso abiurarmi, pur di restare nei pensieri di chi amo?

Il miglior cinema dovrebbe fare questo: porre domande importanti, la cui risposta disturba e appesantisce il cuore dello spettatore, e Paul Thomas Anderson trova quel filo nascosto fatto di empatia che lo collega allo spettatore esercitando il tanto agognato controllo delle sue emozioni e della sua mente.
E i brividi corrono lungo la schiena anche a pellicola conclusa.

Leggi anche: Il Petroliere contro Lo Sciacallo – personaggi a confronto

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