Esistono film che trascendono la classificazione in un genere, The Grandmaster è uno di questi. E’ un film sulle arti marziali, è un film romantico, è un film drammatico, è un insieme di generi in perenne contrasto, ma in constante equilibrio. Si alternano nello scorrere della pellicola in una dialettica invisibile, come scorrono le limpide acque di un fiume.
Diretto da Wong Kar-wai e interpretato da Tony Leung e Zhang Ziyi, The Grandmaster (2013) ripercorre alcune vicende della vita di Yip Man, maestro di arti marziali, nello specifico Wing Chun, e mentore di Bruce Lee. Tali vicende sono state parzialmente romanzate dal regista, ma con il solo scopo di favorire la poetica e le suggestioni della storia narrata. Si tratta, infatti, di un film evocativo, che lavora sui gesti e sugli sguardi, sulle immagini e sulle sensazioni.
L’anima di questa pellicola risiede nei principi stessi delle arti marziali, che possono applicarsi ai sentimenti e al carattere di una persona. Kung Fu, due parole traducibili con “duro lavoro”: non è un stile di lotta, ma uno stile di vita, e ne permea qualsiasi aspetto. Si tratta di raggiungere un equilibrio, sia fisico sia mentale, placare le torbide acque del nostro animo per raggiungere una sempre maggiore consapevolezza di sé. I principi della filosofia orientale sono i medesimi e si applicano a tutta la realtà naturale; il maestro Wong Kar-Wai ci accompagna in un viaggio fatto di amore e violenza, di conflitto e di crescita, un viaggio fatto di dualismi complementari tra cui vi è armonia e unione.
Nel film un combattimento è fondamentale, quello tra Yip Man e Gong Er; un confronto fisico e psicologico. Durante questa lotta, però, succede l’impensabile: si innamorano l’uno dell’altra. Si può pensare ai due come all’incarnazione stessa di Yin e Yang, due forze contrapposte che si abbracciano, si conoscono nel corpo e nello spirito e, per questo, si amano. E questo amore è nato nella danza di un conflitto, nei sinuosi movimenti dell’arte marziale, nella pacifica violenza degli animi.
I combattenti si scontrano, si respingono e si afferrano, ascoltano con sensibilità i movimenti dell’avversario e li seguono o li avversano; si avvicinano e si allontanano, come fanno i guerrieri e come fanno gli amanti.
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Un tema molto caro a Wong Kar-Wai è la distanza. Come nel film, le vicissitudini del fato possono separare due persone, nello spazio e nel tempo. E il tempo non risparmia nessuno; scorre, fugge via e non permette a persona alcuna di recuperarlo. E’ così che nascono i rimpianti.
Sostenere che nella vita non si hanno rimpianti è ingannare sé stessi. Che noia sarebbe la vita senza rimpianti.
-Gong Er
The Grandmaster riesce a cogliere ogni aspetto essenziale della vita di un uomo e di una donna, è un film romantico, ma al contempo amaro; la vulnerabilità degli esseri umani e la complessità dei loro rapporti vengono messe a nudo, vengono dipinte in scenari in cui vi è un elemento onnipresente: l’acqua. E’ nella pioggia incessante, nella candida neve e, infine, nelle lacrime amare della rassegnazione. Nessun’arte è più alta del cielo, nessun dono più solido della terra, niente dura per sempre.
Tutto questo si inserisce nei principi della filosofia e negli aspetti più poetici della cultura orientale, in cui un concetto cardine è quello della ciclicità. Ogni inizio ha una sua fine, ma ad ogni fine segue un nuovo inizio; alla vita segue la morte, cui segue altra vita. In questo consiste l’equilibrio. Un rapporto tra due persone, e i sentimenti che lo costituiscono, sono soggetti agli stessi principi.
Wong Kar-Wai mette in scena tutto questo con una struggente consapevolezza, con uno sguardo di chi sa cosa vuol dire perdere, ma sa di dover andare avanti.
Il regista, come accennato, gioca molto sullo sguardo dei personaggi, inquadrati quasi sempre in primo piano, così che risalti la pienezza o la vuotezza degli occhi, tutto ciò che serve ad un maestro del cinema per trasmettere una sensazione potente.
Inoltre, parliamo di un film che affronta complesse dinamiche familiari. Il fratello di Gong Er uccide il loro padre, e lei si costringe ad affrontarlo per avere vendetta. Una vendetta che non le restituirà il genitore, ma senza la quale non riuscirebbe a trovare pace altrimenti. Concepire la pace nell’odio vendicativo è difficile, ma, proprio mostrando queste complesse sfaccettature dell’anima, The Grandmaster riesce come film straordinariamente umano e lacrimevole.
In conclusione, The Grandmaster è un film cui non manca nulla; senza troppe presunzioni potremmo definirlo un film sulla vita. Nella poesia dei suoi dialoghi non vuole impartire un insegnamento preciso o dare una ragione all’esistenza, vuole solo disprezzarla e celebrarla, allo stesso tempo; nel bianco e nel nero, nel bene e nel male, è una pellicola che va vissuta. Fu proprio Bruce Lee a dire che un vero artista marziale non vive per, semplicemente vive.
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