“Ho sentito una barzelletta… Un uomo va dal dottore, gli dice che è depresso, che la vita gli sembra dura e crudele, gli dice che si sente solo in un mondo minaccioso… Il dottore dice: «La cura è semplice, il grande clown, Pagliacci, è in città! Lo vada a vedere, la dovrebbe tirar su!». L’uomo scoppia in lacrime: «Ma dottore… Pagliacci sono io!». Buona questa. Tutti ridono. Rullo di tamburi. Sipario.”
(Rorschach)
Sono passati tantissimi decenni dalla nascita del fumetto supereroistico; si pensi che uno dei capisaldi di questa forma d’arte è stato Superman, che apparve per la prima volta nelle edicole americane alla fine degli anni ’30.
Con il passare del tempo e delle epoche, i vari personaggi ed i vari supereroi hanno subìto notevoli cambiamenti, e non solo per quanto riguarda lo stile grafico dei disegni, ma anche e soprattutto in merito alla propria psicologia e al proprio rapporto con la società. Naturalmente tutti questi cambiamenti sono presenti anche nel cinefumetto, che, dalla sua nascita ad oggi, ha subito non poche mutazioni.
In una società come quella in cui viviamo oggi, dettata dal consumismo imperante, dalla interconnessione onnipresente, da continui esperimenti sociali, tutti le persone del mondo sono diventate un “tutto e nessuno”.
Ragionando a posteriori, è abbastanza comprensibile che siano stati prodotti pellicole come la trilogia de Il cavaliere oscuro di Christopher Nolan; dopotutto, il personaggio del Joker di Heath Ledger altro non è che il perfetto figlio della nostra società portato all’eccesso.
Quando si parla di queste pellicole, però, si pone spesso particolare attenzione verso il villain di turno, come in questo caso il Joker o Bane, dimenticandosi spesso della figura che è in realtà al centro di tutto: il supereroe.
Dobbiamo però essere obbiettivi; la cupezza che ha caratterizzato e che continua a caratterizzare le opere con al centro il supereroe non è venuta fuori solamente nell’ultimo periodo.
Sul finire degli anni ’80, infatti, Alan Moore e Dave Gibbons sconvolgono il mondo della cultura pop con Watchmen, l’opera che, forse meglio di qualunque altra, mostra la decadenza della figura dell’eroe con tutti i suoi ideali.
Pochi anni dopo, sempre Alan Moore, con The Killing Joke, riuscirà a prendere un personaggio iconico e leggendario come Batman e, tramite la descrizione della follia del Joker, renderlo molto avvicinabile alla figura della sua stessa antitesi.
Non è un caso che Tim Burton, da grande ammiratore delle opere di Moore, abbia inserito questi discorsi nel suo dittico su Batman. In particolare, nel suo Batman – Il ritorno, Burton non si schiera da nessuna parte; abbiamo il Pinguino, un essere deforme con il complesso di inferiorità che cerca il riscatto del suo isolamento, Catwoman, morta e risorta in una bellissima oscurità alla ricerca di un posto nel mondo, ed infine abbiamo lui: Batman stesso.
Il cavaliere di Gotham non è assai diverso dai suoi antagonisti, secondo Tim Burton. Si tratta di un essere umano che ha sofferto, proprio come il Pinguino e Catwoman, un uomo che ha deciso arbitrariamente di far pagare a qualcuno un riscatto da pagare.
Il Batman di Tim Burton è nient’altro che un freak, convinto come tutti gli altri di essere nel giusto, mentre Bruce Wayne, il suo alter ego, non ha la forza di andare avanti e, con il passare del tempo, è proprio lui a diventare la maschera.
Si arriva poi agli anni nostri; qualche anno prima che Il cavaliere oscuro invadesse il nostro immaginario, anche il recente premio Oscar Guillermo del Toro disse la sua su questo argomento. Il suo dittico di Hellboy, infatti, parla proprio di questo.
Hellboy, infondo, non è altro che un essere demoniaco che cerca di evitare di perdere le persone a lui care, ed è disposto a tutto pur di proteggerle; tuttavia è un personaggio che non può scappare dalla sua stessa natura, una natura che lo obbliga alla distruzione di ciò che gli sta intorno. E’ molto esplicativo, infatti, la parte finale di Hellboy II – The Golden Army, dove la morte in persona preannuncia l’apocalisse proprio a causa di Hellboy.
E poi si arriva alla celebre trilogia di Christopher Nolan; Batman, da sempre un personaggio che offre infiniti spunti di riflessione sulla sua figura, viene riletta in chiave abbastanza insolita; è sempre più disilluso nel corso della trilogia; spesso sembra non credere neanche più in quello che fa.
I veri eroi, quelli senza maschera, come Harvey Dent vengono risucchiati nell’infinito vortice dell’oscurità, vortice in cui, probabilmente, il cavaliere oscuro è precipitato già da tempo.
Di chi possiamo fidarci quando anche gli eroi cadono? L’Anti-Cinecomic è questo: un ritratto spesso disilluso nei confronti di figure ritenute inattaccabili. Noi, in quanto esseri umani, ma anche in quanto società, abbiamo sempre bisogno di punti di riferimento; nel corso della nostra storia ci sono sempre stati racconti formativi, come quelli di Esopo, e personaggi della mitologia che hanno cercato di insegnarci qualcosa, come l’astuto Ulisse; oggi abbiamo la nostra mitologia, una mitologia moderna, composta da personaggi mitici che sono appunto i supereroi.
Ma cosa succede quando anche questi personaggi, perfetti e dalla moralità più alta della nostra, perdono la via della luce? Come possiamo andare avanti quando anche i migliori di noi si arrendono all’oscurità che pervade il mondo?
Questi e tanti altri titoli, come i recenti lavori della Warner/DC, hanno provato ad ipotizzare questo scenario. In molti casi, com’è prevedibile, c’è la perdita di fiducia da parte della gente e i monumenti dei nostri idoli vengono imbrattati con scritte quali False God, come nel caso del controverso Batman v Superman.
In altri casi troviamo le persone che reagiscono in prima persona, non arrendendosi alla discesa delle tenebre, come quando ne Il cavaliere oscuro criminali e civili decidono di non essere soggiogati dai perfidi giochi del male, dimostrandosi, forse, superiori allo stesso crociato di Gotham.
E’ una fase molto interessante di questo filone cinematografico, che sta ottenendo numerosi riscontri sia di critica che di pubblico; come il recente Logan, in cui si spinge molto sull’atmosfera annichilita e disillusa, all’interno della quale un ex-supereroe, sconfitto soprattutto dalla vita, arranca, vivendo giorno per giorno, senza alcuna speranza sul fatto che la sua esistenza sia servita davvero a qualcosa.
Chi etichetta questo filone più esistenzialista del cinefumetto come una semplice moda ignora, forse, che alla base di tutto questo ci siamo anche noi, la nostra società e le nostre idee… e se queste opere hanno ottenuto grandi riscontri sia da parte della critica che da parte del pubblico un motivo ci sarà.
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