Il discorso di Aragorn – Per Frodo
Prima dell’epico discorso di Aragorn esiste una scena; una scena che un ingenuo ragazzo come me inizialmente non immaginava nemmeno potesse esistere, perché inconsapevole dell’assoluta necessità della versione integrale de Il Signore degli Anelli e del madornale errore nel tagliarla; una scena che sempre quell’ingenuo ragazzo vide per la prima volta in altra forma in quell’opera magistrale che fu Lo svarione degli anelli; una scena che dona un significato infinitamente più profondo alle parole del Re di Gondor.
La Compagnia dell’Anello, formata a Gran Burrone da nove eroi rappresentanti dei popoli liberi della Terra di Mezzo, si disintegra dopo la morte di Boromir, lasciando al coraggioso Frodo e al fido Sam la responsabilità, o la condanna, di proseguire il viaggio verso Mordor per distruggere l’unico Anello.
Nondimeno, gli altri membri della Compagnia, il cui destino è interamente affidato ai due giovani hobbit, faranno di tutto per permettere a Frodo di gettare nel Monte Fato l’Anello del potere e salvare la Terra di Mezzo.
Gandalf, Aragorn, Gimli, Legolas, Pipino e Merry, insieme a tutti gli uomini dell’ovest, decidono di marciare su Mordor, affrontando l’esercito di Sauron che può contare, nonostante le recenti sconfitte, di decine di migliaia di Orchi. L’obiettivo dei restanti membri della Compagnia è creare un diversivo, distrarre l’occhio di Sauron per consentire all’apparentemente impossibile missione di Frodo, di cui più nessuno conosce le tracce, di realizzarsi.
Aragorn: «Possiamo dare a Frodo una possibilità se teniamo fisso l’occhio di Sauron su di noi».
Tuttavia, prima di iniziare una battaglia con certezza di morte e scarse possibilità di successo, i nostri eroi si presentano davanti al nero cancello pretendendo di fronte alla Bocca di Sauron, l’emissario principale dell’oscuro signore di Mordor, che le sue armate si disperdano e che abbandoni queste terre senza farvi ritorno.
In questa scena, il portavoce di Sauron mostra a Gandalf e compagni la cotta di maglia di mithril di Frodo, rivelando l’inconfutabile prova della disperante morte della loro unica speranza. Ormai è finita, la missione della compagnia dell’Anello è fallita, il destino della Terra di Mezzo è segnato e il regno dell’oscuro signore non può che avere inizio.
Quel bagliore di speranza che da sempre si illuminava negli occhi dei nostri eroi sembra essere tragicamente soffocato del tutto. Ma non per il Re di Gondor, non per Aragorn, colui che nella speranza ha da sempre riposto la sua intera forza.
Aragorn: «Io non ci credo! Non ci crederò!».
Con la consapevolezza del significato di questa scena, dunque, il discorso finale di Aragorn acquisisce un valore radicalmente diverso, dalle sfumature tragiche e radicali.
Aragorn, più che non crederci, sceglie di non crederci. E come potrebbe? Lui, il suo popolo e i suoi amici stanno per affrontare morte certa, donando la propria vita in nome di un ideale di giustizia, di un amico, di un mondo buono che, tuttavia, ormai è caduto definitivamente. La loro morte deve avere un significato, la loro esistenza deve essere valsa qualcosa, anche se Frodo è morto e Sauron conquisterà la Terra di Mezzo.
Vale la pena resistere, perché c’è del buono in questo mondo, ed è giusto combattere per questo.
Aragorn: «Restate fermi, restate fermi… Figli di Gondor, di Rohan, fratelli miei! Vedo nei vostri occhi la stessa paura che potrebbe afferrare il mio cuore. Ci sarà un giorno in cui il coraggio degli uomini cederà, in cui abbandoneremo gli amici e spezzeremo ogni legame di fratellanza, ma non è questo il giorno! Ci sarà l’ora dei lupi e degli scudi frantumati quando l’era degli uomini arriverà al crollo, ma non è questo il giorno! Quest’oggi combattiamo… Per tutto ciò che ritenete caro su questa bella Terra, vi invito a resistere! Uomini dell’ovest!».
Nel suo discorso Aragorn invita a resistere, nonostante tutto. Nonostante la loro ormai certa sconfitta, nonostante la vittoria del Male sul Bene, nonostante l’inutilità della scelta di Arwen di sacrificare la propria immortalità per l’amore del Re degli Uomini, nonostante la tragica fine di Frodo. Non resta che affrontare la morte, nonostante tutto, «per Frodo».
Colui che fu Grampasso, seppur sempre incarnato da un’irriducibile esperienza di speranza, è consapevole che sta per incontrare ciò che vi è di più umano: la propria mortalità, ma decide di farlo solo attraverso ciò che vi è di umano, troppo umano: combattendo.
Le sue ultime parole, pronunciate con un lieve solco lungo il viso, come una specie di sorriso, non sono più solo «per Frodo», per creare quel diversivo necessario per completare la missione, ma sono per Frodo, per la Compagnia dell’Anello, per Arwen, per Gondor, per Boromir, per onore, per amicizia, per giustizia, per amore … per tutto ciò che ritiene caro su questa bella Terra.
E alla fine, come tutti sappiamo, Aragorn aveva ragione.
Aragorn: «C’è sempre speranza».