Ogni film di Tarantino è popolato da antieroi. Personaggi dalla dubbia moralità che rubano, uccidono e sproloquiano sulla filosofia di Superman prima di iniettare sedativi nel ginocchio. È molto difficile trovare un personaggio totalmente positivo nella filmografia di Tarantino; ma se quel personaggio esiste, sicuramente non è Calvin Candie.
Il personaggio di Mr. Candie, o monsieur Candie, come lui ama farsi chiamare, è la perfetta rappresentazione della pericolosa mediocrità di pensiero che, nel corso della storia, ha causato solamente orrori e disperazione. Eppure, monsieur Candie è una presenza stranamente affascinante all’interno dell’inquadratura. Sentiamo, in un certo qual modo, una viscerale attrazione per lui, per il modo in cui si muove e parla; non perdiamo di vista nessuno dei suoi gesti e spesso, pur condividendo la scena con altri personaggi, richiede il massimo della nostra attenzione. Perché tutto questo? Siamo interessati a lui solamente grazie al carismatico DiCaprio, che lo ha magistralmente portato in scena, oppure c’è ancora qualcosa di più?
L’ossimoro del nome e del colore di Calvin Candie
La prima particolarità di questo personaggio risiede nel nome: Candie. Un nome rassicurante, la cui fonetica rimanda alla parola candy, dolciume. Eppure, il suo comportamento è tutt’altro che dolce; già nella prima scena in cui viene presentato, ordina al suo mandingo di strappare gli occhi all’avversario. L’ossimoro del nome, dunque, è il primo cortocircuito che, consapevolmente o meno, il personaggio ci crea.
Questo elemento prosegue, per estensione, quando viene raggiunta la sua residenza, chiamata appunto Candyland. Oltre a giocare con l’assonanza, il nome di questo posto rimanda a un parco a tema, come può essere Disneyland, e a fortificare il tutto ci sono i colori, così sgargianti e pieni di vita, che si contrappongono a un terribile inferno di umanità soppressa.
Rimanendo in tema colori, è affascinante come il rosso circondi costantemente Calvin Candie. Il suo abito stravagante, i suoi stivali, ma anche gli ambienti, come gli interni di Candyland. Un rosso oscuro che via via diventa sempre più tenebroso, rivelando la malsana natura di Calvin Candie e di quell’inferno in cui lui vive. La sua natura ambivalente viene smascherata. Ai suoi atteggiamenti più infantili e immaturi seguono azioni di una violenza inaudita; lo stesso uomo le cui urla rimandano a un’isterica felicità quando incontra la sorella potrebbero spaccare il cranio di una serva a martellate.
L’ignoranza come sinonimo di malvagità
L’ignoranza: il male che, probabilmente più di tutti, attanaglia l’umanità fin dall’alba dei tempi. È la malattia degli uomini malvagi, ed è la stessa di cui soffre monsieur Candie. Su questo punto Tarantino è immensamente preciso. La cultura nobilita l’uomo e lo rende migliore anche da un punto di vista etico.
Calvin Candie è l’esatta antitesi di King Schultz, che assume le sembianze di un perfetto eroe romantico. Schultz parla più lingue, mentre Candie, nonostante tenga molto al suo appellativo francese “monsieur”, non conosce affatto quella lingua e quella cultura. L’altra clamorosa gaffe di cui si macchia, è quella di aver chiamato uno dei suoi lottatori D’Artagnan, ignorando completamente il fatto che Alexandre Dumas avesse origini africane.
Schultz: «Ora, se Alexandre Dumas fosse stato qui oggi, mi chiedo come l’avrebbe presa…».
Candie: «Dubitate che avrebbe approvato?».
Schultz: «Sì… Dire che avrebbe approvato sarebbe una dubbia affermazione, almeno!».
Candie: «Francese dal cuore tenero…».
Schultz: «Alexandre Dumas è nero».
Questa mancanza di conoscenza si ripercuote anche in altri atteggiamenti. Ad esempio, quando Candie tenta di spiegare, da un punto di vista frenologico, la naturale supremazia etnica dei bianchi nei confronti dei neri.
Calvin Candie: «Nel cranio dell’africano qui, l’area associata alla sottomissione è larga più di qualunque umano e qualunque altra sub-umana tra le specie sul pianeta terra».
Naturalmente, Calvin Candie parla da uomo del suo tempo e lo scopo del suo personaggio è proprio quello di essere portatore della tesi secondo cui ignoranza è sinonimo di malvagità, riprendendo la bellissima teoria di Socrate, secondo cui nessuno commette il male volontariamente. Infatti, spesso si è fatto ricorso a teorie pseudo-scientifiche, molte delle quali smentite addirittura nella stessa epoca in cui andavano di moda, che rimarcavano la presunta superiorità di una determinata etnia, o per meglio dire, razza.
Calvin Candie nella mitologia di Tarantino
Trattandosi di Tarantino e dei suoi film, si può tranquillamente pensare alla mitologia. Parecchi personaggi dei film di Tarantino sono entrati nell’immaginario comune, diventando icone, e quindi mito. In tutto questo, dove si può collocare il personaggio di Calvin Candie?
In questo caso, la risposta è molto semplice, e a suggerirla ci pensa il film stesso. Django Unchained è un’opera molto paradigmatica dal punto di vista “mitologico”, con i suoi archetipi e le sue situazioni; lo stesso King Schultz, in un’importante scena del film, sale in cattedra e ci spiega la leggenda di Sigfrido.
In questa storia, Sigfrido deve superare mille peripezie per salvare la sua amata Brunilde; deve sconfiggere il padre padrone di Brunilde, che l’ha rinchiusa in una torre inaccessibile. Calvin Candie è proprio questo tipo di ostacolo, all’interno della storia. Un tirannico padrone che ha rinchiuso l’amata dell’eroe in una fortezza inespugnabile. Un drago dotato di serpeggiante malvagità che vive in un inferno di fuoco (il rosso, appunto).
Tarantino non ha alcuna simpatia per Candie, e questo è molto palese. Non è Bill, non è Landa (che comunque era un nazista) e non è nessuno degli otto odiosi di The Hateful Eight. È un personaggio anomalo, pericoloso e di cui forse lo stesso Tarantino è spaventato, tanto che ci tiene continuamente a sottolineare il suo status di infimo uomo. E molto probabilmente è proprio questo suo essere un unicum, nella filmografia di Tarantino, a renderlo un personaggio memorabile.