4 – La Bella e la Bestia (La Bella e la Bestia, 1991)
Cos’è il tema centrale de La Bella e la Bestia, se non dolcezza pura allo stato sonoro? E, di fatto, la canzone s’è guadagnata l’Oscar come migliore colonna sonora nel 1992. Le versioni sono tante, anche nella medesima lingua. Abbiamo infatti quella di Angela Lansbury e il duetto Celine Dion/Peabo Bryson in inglese, mentre in italiano la versione di Ida di Marzio e il duetto di Gino Paoli con Amanda Sandrelli.
Tra tutte, è probabilmente quella della nostra doppiatrice di Mrs. Bric ad avere una marcia in più. Le tonalità materne di Ida di Marzio sono una vera coccola per l’anima. Lì v’è tutta l’affettuosità di un osservatore esterno che vede fiorire i suoi pupilli. L’iniziale diffidenza, l’avvicinarsi, il compenetrarsi, l’evolversi sono tutte fasi che vibrano d’empatia nelle corde vocali della di Marzio. Gli occhi non possono che riempirsi di commozione ogni volta. E che dire delle tematiche trattate?
Nella civiltà dell’apparire la bruttezza è un handicap ancora più marcato. Più in generale, le persone non sono abituate all’ascolto e alla cura che Belle offre alla Bestia.
Anziché avvicinarci e dire quel “noi” che tutto fa cambiare, restiamo chiusi nell’Io che ci respinge. La Bella e la Bestia è un brano a dir poco catartico, poiché purga via un passato di sofferenza per lasciare spazio alla felicità dell’accettazione. Ed è, come si diceva all’inizio, infinitamente dolce, perché chiunque abbia vissuto una storia romantica, dall’innamoramento lento e graduale, non può non riconoscersi in quelle parole.
3 – I Colori del Vento (Pocahontas, 1995)
Nel 1996 Pocahontas vinse ben due Oscar come migliore colonna sonora e miglior canzone, più un Golden Globe sempre come migliore canzone.
Il brano in questione è I Colori del Vento, un inno alla comunione con la natura, nonché una denuncia contro il materialismo e l’utilitarismo.
La versione di Manuela Villa ci propone una traduzione fedele del testo dove nulla si perde a livello concettuale. Perché Pocahontas, al netto di una sceneggiatura troppo serrata, propone una storia assai matura. Per oltre quattro secoli l’Occidente si è fatto promotore di civiltà sfruttando la terra oltre ogni possibilità, sradicando culture e imponendo una visione commerciale del mondo. E ora, nel XXI secolo, dopo una pandemia, riscopriamo il valore di quello che diceva Pocahontas.
Cosa ne sappiamo del salto della lince e del canto delle montagne? Che emozioni ci dà il lupo che ulula alla luna blu?
Oggi la ricerca neuropsicologica sta riscoprendo il valore del contatto con la natura come antidoto al logorio della vita post-moderna. La chiamano rewilding and regenerative culture. Perché la tecnologia ha alleviato tante fatiche, ma ci ha imbrigliato in nuove forme di stress. Il sogno positivista si è avverato solo per metà, lasciando un vuoto esistenziale che pochi sanno gestire.
Ridare una spiritualità agli elementi naturali, frequentare i boschi e i loro ritmi lenti, prendersi cura degli animali sono i punti cardine di questa nuova cultura. Parliamo di un vero attaccamento nei confronti dell’ambiente, del recupero di quella connessione originaria che il meccanicismo ha ignorato con conseguenze disastrose.




