Alfred Hitchcock- I migliori 7 film del maestro del brivido

Emma Senofieni

Maggio 10, 2021

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«Qualunque regista americano che affermi di non essere stato influenzato da Alfred Hitchcock è completamente pazzo».

(John Frenkheimer)

Queste sono le parole di John Frenkheimer, acclamato regista di L’uomo di Alcatraz (1962) e Va’ e uccidi (1962). In effetti, è difficile confutare questa affermazione. All’interno dei film diretti dai più grandi cineasti contemporanei, da Martin Scorsese a Quentin Tarantino, da Steven Spielberg a David Lynch, è molto frequente notare l’influenza del maestro del brivido. Nella storia del cinema, pochi furono in grado di eguagliare Alfred Hitchcock nell’arte di narrare una storia sul grande schermo. Il regista inglese era infatti in grado di arrivare al cuore del suo pubblico, riuscendo al contempo ad affrontare temi profondissimi, ancora studiati e analizzati dai critici cinematografici di tutto il mondo.

Si può dire che la maggior parte dei film di Hitchcock non abbia per nulla risentito del trascorrere del tempo; anzi, alcune sue pellicole sono meritatamente considerate tra le più grandi opere che la settima arte abbia mai offerto. È difficile scegliere quali, tra la sua vastissima filmografia, siano le migliori del regista inglese. Eppure, alcuni dei suoi film sono stati determinanti per la storia del genere thriller o più in generale per la cinematografia contemporanea. Quali sono dunque le opere imprescindibili di Alfred Hitchcock?

7. Gli Uccelli (The Birds, 1963)

«Gli uccelli non sono aggressivi, signorina. Sono il simbolo della gentilezza».

(Signora Bundy/Ethel Griffies)

Hitchcock

Melania Daniels (Tippi Hedren) attaccata dagli uccelli

Tratto da un racconto della scrittrice Daphne Du Maurier, a sua volta parzialmente basato su eventi reali, Gli Uccelli fu un’opera rivoluzionaria per il cinema horror. All’inizio, il film appare una semplice e sofisticata commedia: la ricca Melania Daniels (l’esordiente Tippi Hedren) si invaghisce dell’avvocato Mitchell Brenner (Rod Taylor) e decide così di regalare una coppia di Inseparabili alla sua sorellina Cathy (Veronica Cartwright). La donna si reca quindi a Bodega Bay, luogo in cui Mitchell trascorre i fine settimana con la sorella e la madre (Jessica Tandy). In breve tempo, gli uccelli del luogo cominciano a comportarsi in modo strano e imprevedibile, attaccando violentemente gli abitanti di Bodega Bay.

Perché gli uccelli attaccano gli uomini? È proprio a questa prevedibile domanda che Alfred Hitchcock si rifiuta coraggiosamente di rispondere. Moltissime sono state le interpretazioni date a Gli Uccelli. In particolare, spicca la visione apocalittica, che vede la natura ribellarsi contro gli esseri umani, dopo millenni di soprusi; oppure è affascinante la visione psicologica, che identifica nell’attacco dei volatili un simbolo dei complessi rapporti tra i personaggi della storia. Non dando una spiegazione ai terrificanti eventi narrati, il regista riesce così a trasmettere allo spettatore un senso di angoscia che cresce man mano che il film prosegue.

Servendosi sia di veri uccelli addomesticati sia di volatili meccanici, Hitchcock portò sullo schermo uno dei primi (e più riusciti) disaster movie della storia del cinema, genere che vide il suo successo internazionale solo dieci anni dopo. Si può infatti affermare che fu proprio Gli Uccelli l’ultimo vero capolavoro del regista inglese; una pellicola che, a distanza di quasi ottant’anni, riesce ancora a farci venire i brividi.

6. Intrigo Internazionale (North By Northwest, 1959)

«Io sono un pubblicista, non una spia. Ho una ditta, una segretaria, una madre, qualche parente e diversi baristi che contano su di me e non intendo deluderli facendomi un pochino ammazzare».

(Roger Thornhill/Cary Grant)

Hitchcock

Roger Thornihill (Cary Grant) viene inseguito da un aeroplano

Nei suoi film, Alfred Hitchcock amava spesso coinvolgere personaggi ordinari in grandi misteri e intrighi. Lo ha fatto con Il club dei 39 (1935) o con L’uomo che sapeva troppo (1956), ma si può certo affermare che la pellicola in cui il regista affronta questo tema con maggiore maestria sia Intrigo Internazionale. Il brillante pubblicitario Roger Thornhill (Cary Grant) viene improvvisamente rapito da alcuni uomini. Per un assurdo scambio di persona, questi hanno infatti scambiato Thornhill per George Kaplan, un misterioso agente del controspionaggio. Dato che la polizia non crede alla sua versione, Roger, armato solo di audacia e ironia, viene così personalmente coinvolto in una pericolosa serie di intrighi politici.

Anziché, come spesso accadeva, raccontare la vicenda attraverso le gesta di eroi e spie, Hitchcock decide di scegliere come protagonista un uomo comune. Gli spettatori possono così immedesimarsi più facilmente nelle disavventure di Roger Thronhill, un semplice pubblicitario trovatosi suo malgrado immischiato tra uomini politici, spie e assassini senza scrupoli. Il tutto attraverso una narrazione sì serrata e ricca di tensione, ma al contempo arricchita dallo stile  leggero, a tratti umoristico, della brillante sceneggiatura di Hernest Lehman.

Da menzionare senza dubbio la celeberrima sequenza dell’attacco aereo in un’area deserta e soleggiata. Un vero e proprio (riuscitissimo) esperimento di suspence che, come lo stesso film, merita senz’altro un posto nella storia del cinema.

 

5. Rebecca- La prima moglie (Rebecca, 1940)

«Non credete che i morti tornino a visitare i vivi?»

(Signora Danvers/Judith Anderson)

Hitchcock

La nuova signora De Winter (Joan Fontaine) subisce le violenze psicologiche della signora Danvers (Judith Anderson)

La filmografia di Alfred Hitchcock può essere divisa in due parti: le pellicole appartenenti al “periodo inglese” e quelle del “periodo americano”. Rebecca- La prima moglie è il film che segnò l’esordio del regista inglese nel mondo di Hollywood.

Basato sull’omonimo best seller di Daphne Du Maurier, il film narra la storia di una timida dama di compagnia (Joan Fontaine) e del suo incontro con il ricco vedovo Maxime De Winter (Laurence Olivier). Rebecca, la moglie di Maxime, era infatti morta annegata qualche tempo prima, lasciando l’uomo particolarmente scosso dall’evento.  I due si innamorano e si sposano, andando a vivere a Manderley, la splendida tenuta di Maxime. Il loro rapporto è però presto messo a dura prova dalla costante presenza del ricordo di Rebecca, la cui anima sembra non essersi mai andata da Manderley. In particolare, il fantasma della donna è  una vera e propria ossessione per la signora Danvers (una magnetica Judith Anderson), la fredda e misteriosa governante della tenuta e uno dei più sinistri personaggi della filmografia hitchockiana.

Rebecca- La prima moglie è stato efficacemente definito dai critici un “giallo fiabesco”. Una sorta di Cenerentola in versione gotica, in cui l’eroina senza nome vede la propria favola trasformarsi in un soffocante incubo. Sebbene infatti il personaggio di Rebecca non si veda mai sullo schermo, esso è ossessivamente presente per tutto il film. In contrasto con l’insicura e ingenua protagonista, Rebecca viene ricordata come una donna perfetta, quasi ultraterrena, la cui morte è circondata da un inquietante alone di mistero.

Vincitore del premio Oscar come miglior film (premio che andò al produttore David O. Selznick, non a Hitchock), Rebecca- la prima moglie fece conoscere l’inimitabile stile del regista inglese al grande pubblico, divenendo una delle sue opere più amate.

4. Notorious- L’amante perduta (Notorious, 1946)

«Mia moglie è una spia americana».

(Alexander Sebastian/Claude Rains) 

Hitchcock

A Rio De Janeiro, Alicia (Ingrid Bergman) e Devlin (Cary Grant) si innamorano

Gli eventi della Seconda Guerra Mondiale influenzarono molto il cinema classico. Uno dei massimi esempi è costituito da Notorious- l’amante perduta, uscito nei cinema statunitensi solo un anno dopo la fine del conflitto.

Alicia Huberman (Ingrid Bergman), figlia di una spia tedesca, viene reclutata dall’agente T.R. Devlin (Cary Grant) per conto del Governo statunitense, per partecipare ad una missione a Rio De Janeiro. Giunti in Brasile, Alicia e Devlin presto si innamorano. Il loro passionale rapporto viene però ostacolato dalla natura della missione.  Compito di Alicia è infatti avvicinarsi ad Alexander Sebastian (Claude Rains), vecchio amico di suo padre, perché sospettato di far parte di un pericoloso gruppo filonazista.

Definito da François Truffaut “la quintessenza di Hitchcock”, Notorious- l’amante perduta è uno dei film più appassionanti del regista; una spy story che rasenta la perfezione, unendo abilmente romanticismo e suspence. Non è un caso che le due scene più famose del film rispecchino proprio questi due elementi. Fece all’epoca scandalo la lunga scena d’amore tra le due star Ingrid Bergman e Cary Grant, la cui chimica sullo schermo è evidente ancora oggi. Fu poi prova del talento del regista la scena della ricerca della bottiglia contenente uranio da parte di Alicia e Devlin durante il ricevimento tenuto da Sebastian. Una vera e propria lezione di suspence, girata da Hitchcock con una maestria ineguagliabile.

Contraddistinto da una modernità impressionante, Notorious- l’amante perduta è un capolavoro sul doloroso conflitto tra amore e dovere, sentimenti individuali e obblighi morali, ambientato in uno dei periodi più terribili della storia umana.

3. Psyco (Psycho, 1960)

«Il miglior amico di un ragazzo è la propria madre».

(Norman Bates/Anthony Perkins)

Hitchcock

Gli ultimi istanti di vita di Marion Crane (Janet Leigh)

Alcune sequenze cinematografiche sono impossibili da dimenticare. Scene talmente innovative da essere costantemente oggetto di menzione o imitazione, anche a distanza di tantissimi anni. Chi non conosce la celeberrima scena della doccia di Psyco? La brevissima (sono solo quarantacinque secondi) sequenza che vede venir brutalmente uccisa la protagonista sconvolse il pubblico dell’epoca, non abituato a una rappresentazione così esplicita della violenza.

Ma Psyco non è entrato nella storia del cinema solo grazie a questa famosissima scena. Ambientato a Phoenix, il film vede come protagonista la giovane e insoddisfatta impiegata Marion Crane (Janet Leigh). Innamorata di Sam Loomis (John Gavin), con cui condivide una relazione clandestina, Marion ruba quarantamila dollari che doveva depositare in banca per conto di un cliente. Nel suo viaggio in auto, la donna viene sorpresa da un temporale; decide così di trascorrere la notte presso il Bates Motel. Lì, Marion conosce Norman Bates (un indimenticabile Anthony Perkins), il gentile proprietario. Norman vive nella casa accanto al motel con la madre malata, completamente isolato dal mondo. Di sera, Marion fa un bagno prima di andare a dormire. Inaspettatamente, la giovane viene uccisa a coltellate sotto la doccia, presumibilmente dalla madre di Norman.

La scelta di Hitchcock di uccidere la protagonista solo dopo un terzo del film costituì una novità assoluta per il cinema. Complice il fatto che Marion fosse interpretata da una star di Hollywood, il pubblico fu completamente spiazzato da questa drastica deviazione dai canoni narrativi dell’epoca. Un’uscita di scena inaspettata e brutale, che ci mostra come il cinema americano stesse mutando, spogliandosi lentamente dei toni patinati che lo avevano caratterizzato fino ad allora.

Dopo l’uscita di scena di Marion, il regista sceglie di concentrare il film sull’enigmatico Norman Bates, considerato uno dei migliori villain di sempre. Parzialmente ispirato ad un reale serial killer di nome Ed Gein, Norman è l’incarnazione di un Male complesso, che vede la sua origine nelle radici più profonde della psiche.

Attraverso uno stile registico quasi maniacale, oggetto di innumerevoli omaggi e imitazioni, con Psyco Alfred Hitchcock ribaltò definitivamente le regole del thriller.

2. La finestra sul cortile (Rear Window, 1954)

«Oh Signore… Siamo diventati una razza di guardoni!»

(Stella/Thelma Ritter)

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Jeffries (James Stewart) spia il suo vicino dal comportamento sospetto (Raymond Burr)

Alfred Hitchcock amava indagare nei lati nascosti della natura umana. Probabilmente è con La finestra sul cortile che il regista riuscì con maggior efficacia a portare sullo schermo le più sottili sfumature psicologiche dei suoi personaggi.

A New York, il fotoreporter L. B. Jeffries (James Stewart) è bloccato in casa con una gamba rotta, in seguito a un incidente avvenuto sul lavoro. Non sapendo come ingannare il tempo, inizia ad osservare le attività dei suoi vicini, dalla sua finestra che affaccia su un cortile in comune. Paradossalmente, Jeffries preferisce cimentarsi in questo discutibile passatempo piuttosto che dedicare le sue attenzioni alla bellissima fidanzata Lisa (Grace Kelly). Il vicinato oggetto del suo voyeurismo comprende persone di ogni genere: da una bellissima ballerina a un pianista in crisi creativa, da una donna molto sola a una coppia di sposi in perenne litigio. È proprio quest’ultima ad attirare le attenzioni di Jeffries, soprattutto quando la donna scompare nel nulla e l’uomo (Raymond Burr) inizia a comportarsi in modo sospetto.

Con La finestra sul cortile Hitchcock offre allo spettatore un affascinante affresco sulla natura umana. Il vicinato, realizzato attraverso una curatissima scenografia, forma un insieme di piccole storie da cui, proprio come Jeffries, noi siamo immediatamente attratti. «Siamo tutti dei voyeur», dichiarò il regista durante il suo lungo e celebre colloquio con François Truffaut. In un certo senso, il pubblico si trova nella stessa condizione del protagonista, osservando con grande interesse i personaggi del film. Difatti Jeffries è interessato ai suoi vicini esattamente come lo spettatore è interessato a Jeffries e alla sua tormentata vita sentimentale.

Partendo da un’originale trama mystery, Hitchcock realizza così un’incredibile opera metacinematografica. Forse è proprio con La finestra sul cortile che il regista manifesta uno dei suoi più grandi pregi: saper intrattenere il suo pubblico, ma senza rinunciare all’analisi di profonde tematiche.

1. La donna che visse due volte (Vertigo, 1958)

«Se mi lascio trasformare come vuole, se faccio quello che dice, riuscirà ad amarmi?»

(Judy Barton/Kim Novak) 

Hitchcock

Madeleine (Kim Novak) osserva incantata un ritratto della bisnonna Carlotta

Al podio di questa classifica, una delle opere più significative dell”intera storia del cinema. Per quanto possa sembrare assurdo, Vertigo (preferiamo non utilizzare la storpiatura italiana del titolo) non fu apprezzato all’epoca in cui uscì. Alla fine degli anni 50, il cinema statunitense aveva ancora delle regole che pochissimi osavano infrangere. Hitchcock fu tra questi, portando sullo schermo una storia ben lungi dall’essere convenzionale.

John Ferguson (James Stewart), detto “Scottie”, è un ex poliziotto che soffre di vertigini in seguito ad un traumatico incidente sul lavoro. Un giorno, l’uomo viene contattato da Galvin Elster (Tom Helmore), un suo vecchio compagno di università. Elster assume Scottie per seguire sua moglie Madeleine (Kim Novak), che negli ultimi tempi ha strani comportamenti. Madeleine è infatti ossessionata dalla sua bisnonna Carlotta Valdes, morta suicida a soli ventisei anni. Dato che sua moglie ha la stessa età, Elster teme per la sua vita. Scettico, Scottie accetta l’incarico, iniziando a seguire Madeleine. Presto, l’uomo rimane incantato dalla bellezza e dalla personalità della donna, finendo per innamorarsene. Purtroppo però, le cose si riveleranno molto più complesse di ciò che appaiono, intrappolando Scottie in un vortice di ossessioni e sofferenze.

Vertigo presenta una storia d’amore molto atipica rispetto agli standard hollywoodiani. L’amore di Scottie per Madeleine si rivela infatti non solo impossibile, ma una forma di possesso profondamente autodistruttiva. Hitchcock non si limita a portare sullo schermo un thriller contorto e appassionante, ma delinea alla perfezione tutte le sofferenze, inflitte a sé e agli altri, che comporta un’ossessione per qualcosa che si cerca disperatamente di ottenere. In Vertigo non c’è spazio per gli eroi, tanto amati del cinema classico. Per il pubblico fu destabilizzante vedere James Stewart, storico “volto buono” di Hollywood, nei panni di un uomo che, oscillando tra l’essere una  vittima e un carnefice, è completamente soggiogato dalla sua ossessione. Un’ossessione rappresentata da Hitchcock attraverso colori, immagini e simboli: si pensi alla ricorrente immagine della spirale o alla presenza del verde, il colore che simboleggia la morte.

Vertigo è probabilmente il film più intimo che Alfred Hitchcock abbia mai realizzato. Una sincera rappresentazione degli impulsi più irrazionali che possono invadere la mente umana, realizzata ignorando le rigide convenzioni narrative dell’epoca. Vertigo fu ampiamente rivalutato anni dopo, tanto che, nel 2012, un sondaggio del British Film Institute lo ha nominato il miglior film di tutti i tempi.

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