I migliori film del 2019

Andrea Vailati

Dicembre 30, 2019

Resta Aggiornato

Il 2019 è stato un anno di piccole rivoluzioni: un Oriente quanto mai nel pieno di una dialettica creativa, neocapitalista, in una salsa narrativo-poetica mai vista prima; un Occidente che riscopre l’Horror e rompe alcune tradizioni del canone novecentesco; i grandi maestri che lasciano un importante testamento, fiabesco, essenziale.
Ecco la nostra classifica dei migliori film, tra cui un’uscita in Italia:

10) Suspiria – Luca Guadagnino

Film
“Suspiria”

Susie Bannion (Dakota Johnson) diventa fin dal suo improvviso arrivo, la prima ballerina della compagnia di ballo Markos Tanz.
La location usata come set per gli interni, ma anche per gli esterni della scuola, non si trova nella capitale tedesca, ma in Italia. Esattamente sopra Varese, Guadagnino ha trasformato l’ormai abbandonato Grand Hotel Campo dei Fiori nell’Accademia di danza berlinese. La Scuola in realtà nasconde un oscuro segreto: un covo, una congrega di streghe seguaci di Helena Markos.

Il regista italiano più apprezzato all’estero in questo film rilegge la magia e il potere delle donne in
chiave femminista, portando sullo schermo non un semplice horror, ma un sublime e accattivante dark fantasy, accompagnato dalle note di un’ipnotica colonna sonora firmata da Thom Yorke.

9) Vice – Adam McKay

“Vice”

Dopo aver criticato pesantemente Wall Street e il mondo della finanza con l’acclamato La
grande scommessa
, Adam McKay questa volta si rivolge alla politica. Lo fa con un film
potente, sorretto da una grandissima interpretazione di Christian Bale nel ruolo di Dick
Cheney. L’intero cast si rivela però estremamente in forma, con i vari Carell, Rockwell, e la
sempre magnifica Amy Adams ad avere i loro singoli momenti di gloria. La pellicola è un
attacco diretto non solo all’amministrazione Bush, mostrato come un incompetente tenuto sotto scacco da un abilissimo manipolatore, ma all’intero presidenzialismo americano.

McKay mette in mostra quelle che sono le potenziali falle di un sistema attraverso la ricorrente teoria dell’esecutivo unitario, tanto amata dal protagonista del film.

Viene mostrato come in America sia possibile un accentramento eccessivo dei poteri in mano a un solo uomo. E non è detto che questo sia il presidente: in caso di un inquilino debole dello Studio ovale, potrebbe essere qualcun altro.

McKay però non gira un documentario e non rinuncia al suo stile, caratterizzato da una pesante ironia e da un montaggio imprevedibile, capace di mantenere alto il ritmo della pellicola e renderla unica nel suo genere, confezionando uno dei migliori prodotti cinematografici del 2019.

8) Midsommar – Ari Aster

film
“Midsommar”

Il film di Ari Aster è la perfetta sublimazione dei discorsi sull’horror d’autore cominciati qualche anno fa in concomitanza del successo di It Follows e The Babadook.

Ora quel percorso sembra arrivato a maturazione anche grazie a Midsommar, secondo lungometraggio dopo il fortunato Hereditary.

Rispetto al suo predecessore, il nuovo film di Aster mantiene un linguaggio più personale, adottando un’estetica complessa che prende a piene mani dal cinema autoriale per plasmare un’opera appartenente a un genere tradizionalmente popolare come l’horror. Il ritmo lento e la perfezione simmetrica delle inquadrature contribuiscono alla creazione di un tono freddo e straniante che prepara lo spettatore alle brutali rivelazioni del finale.

Midsommar è un lavoro coraggioso e necessario, il cui stile si pone come punto d’arrivo e di
partenza allo stesso tempo, per rafforzare la posizione di quei registi che, negli ultimi anni, hanno preferito lavorare sulla tensione psicologica piuttosto che sul Jumpscare. Un’opera che trascende i confini del genere e che viene alla luce dunque come uno dei migliori film
dell’anno.

7) The House That Jack Built – Lars Von Trier

The House That Jack Built

Un anti-manifesto artistico. Non un’opera d’arte. L’ultimo film di Von Trier è la sua testimonianza, il suo manuale, la sua confessione. Egli ha visto la Bellezza Incantata, ma non è riuscito a non tagliare la gamba di una rana. Egli vede l’arte del grande Orrore, dell’impotenza umana, del delirio ossessivo di individuale grandezza. La Casa di Jack è la ragione per cui Von Trier sa di averci salvato dalla sua follia attraverso il cinema.

6) Dolor y Gloria – Pedro Almodóvar

“Dolor y Gloria”

C’è qualcosa d’importante che riusciamo subito a comprendere nel’ultima fatica di Pedro
Almodóvar, un dualismo che riguarda una condizione d’artista che lo ha messo a dura prova morale e fisica. Alla soglia dei settant’anni, giunto a un’età di ricordi e retrospettive, non esita a fare i conti col passato: un attore e complice recuperato dopo anni, l’amore di una giovinezza perduta che torna in vita riconoscendosi in un monologo teatrale, la naturale vocazione da bambino per il canto, la madre come figura primigenia del desiderio.

Antonio Banderas è l’alter ego perfetto del regista castigliano, che dal fondo di una piscina
riemerge in un esilio privato, dove i sentimenti sono così forti da ritrovarsi nei colori, al solito vividi e funzionali, o nei flashback d’infanzia che bussano alla porta dell’ispirazione. Salvador Mallo non esita a sfuggire dal pubblico e si abbandona all’eroina per alleviare quella via crucis del corpo restituita in maniera sorprendente dalle animazioni della parte iniziale. L’amata madre cerca un nuovo contatto col figlio nell’ultimo periodo della sua vita e la purezza emotiva di Almodóvar è di quelle esemplari, come nell’uomo un tempo amato che sale a casa per un’ospitata notturna. Dolor y Gloria è una pellicola di crisi e ritrovamenti, blocchi creativi e fede nell’amore che l’esperto regista guida con mano leggera e sapiente fino a concludere l’azione sul vero set, dove Mallo/Almodóvar ritrova il suo luogo ideale per non accontentarsi solamente di vivere.

5) C’era una volta a Hollywood – Quentin Tarantino

film
C’era una volta a Hollywood

Si tratta molto probabilmente del film più ambizioso di quest’anno. In un’epoca, quella
odierna, in cui persino alcuni grandi autori hanno paura di rischiare, Tarantino si lancia a
capofitto in questo affascinante progetto, ambientato nella Hollywood del ’69. I cambiamenti politici, sociali ed etici fanno da sfondo alla storia di Rick (Leonardo DiCaprio), un attore con alle spalle i giorni di gloria, e il suo stuntman Cliff (Brad Pitt). I due cercano di sopravvivere in un’epoca di rivoluzioni, in cui si professa pace e amore, e che terminerà ufficialmente con l’ombra minacciosa di Charles Manson e la sua Family.

C’è grande maturità in questo film, forse ancora di più che negli altri di Tarantino; la riflessione sui tempi che cambiano non è mai banale, non ci sono rimpianti nei confronti di quel periodo, ma solo grande ammirazione. Grazie a questa trama, Tarantino ha la possibilità di sprigionare liberamente il suo amore cinefilo per un’epoca che non tornerà mai più, e lo fa senza essere affatto ridondante, o pretenzioso. Anzi, l’unico aggettivo incontestabile che può essere attribuito a questo film è probabilmente sincero. Ed è stata proprio questa sincerità unita all’immaginazione revisionistica di Tarantino ad averci profondamente commossi.

4) Joker -Todd Phillips

“Joker”

Se dovessimo indicare un personaggio cinematografico che rappresenti questo 2019, non
potremmo che scegliere Joker, il super criminale di Gotham City magistralmente interpretato da Joaquin Phoenix nell’omonima pellicola di Todd Phillips.

La pellicola è uno dei più grandi successi dell’anno in termini di critica e pubblico, non limitandosi a essere un comune Cinecomic, ma toccando argomenti ben più profondi. Uno su tutti, quello della malattia mentale. In Joker Todd Phillip ci guida infatti nei meandri della mente di Arthur Fleck, persona profondamente disturbata che prima ancora di assumere il ruolo di carnefice interpreta quello di vittima.

Il protagonista del film è vittima di una società che non accetta il diverso, che approfitta delle debolezze altrui e in cui ognuno pensa solo a se stesso e al proprio tornaconto senza provare empatia per il prossimo.

In questa società Arthur non trova un proprio posto finché non si connette agli istinti più bassi e vili dei suoi concittadini, lasciando che il suo lato oscuro prenda il sopravvento sulla sua razionalità.
Joker è un gioiellino che ci aiuta a riprendere fiducia per le prossime produzioni DC Comics, e Joaquin Phoenix è uno straordinario interprete, la cui performance rimarrà nella recente storia del cinema.

3) La Favorita – Yorgos Lanthimos

“La Favorita”

La Favorita di Yorgos Lanthimos ha ricevuto dieci candidature agli Oscar di quest’anno, dodici per i BAFTA e cinque nomination ai Golden Globe. Olivia Colman grazie alla sua
interpretazione della Regina Anna si è portata a casa il Premio Oscar; autoritaria, fragile,
innocente e vendicativa allo stesso tempo.

Il regista greco porta sullo schermo un’opera storica d’autore in costume dai toni comici-
grotteschi destinati a sfociare nella tragedia. La regia è composta da riprese grandangolari,
panoramiche a schiaffo, inquadrature dal basso verso l’alto e frequenti fisheye, dando un piglio dinamico e intrigante alle immagini a schermo.

Questo film è stato rinominato come un Eva contro Eva, ma ambientato alla Corte della Regina Anna nell’Inghilterra d’inizio Settecento. Le tre donne protagoniste in lotta e amore tra loro mettono in scena un gioco di potere e di gelosie tragicomico con uno sfondo erotico. Oltre alla performance della Colman, Rachel Weisz nei panni di Sarah Churchill ed Emma Stone come Abigail Hill, la cugina caduta in disgrazia, interpretano i loro ruoli con eleganza e intensità, tenendo sempre alta la tensione.

Si tratta di un’opera ben orchestrata, sulla potenza dell’ambizione e della passione e le conseguenze di queste forze sulle persone affette da esse.

2) The Irishman – Martin Scorsese

“The Irishman”

Durante ognuno dei suoi 209 minuti di durata, The Irishman sembra sussurrare una
confessione, uno stato d’animo legato al passare del tempo. Sfruttando la storia di Frank Sheeran, un umile macellaio che entra nella malavita newyorchese fino a influire nei suoi intricati rapporti interni, Scorsese ci introduce in un gangster movie atipico, perché non parla solo dell’ascesa e discesa di un personaggio, ma descrive minuziosamente quanto lo scorrere degli anni possa logorare chiunque, anche qualcuno che è riuscito a ottenere potere e rispetto, a discapito dell’amore della propria famiglia.

Le preoccupazioni del regista si infiltrano sotto la pelle di Frank, Jimmy Hoffa e Russell Bufalino, rispettivamente Robert De Niro, Al Pacino e Joe Pesci, tre mostri sacri del cinema, diretti da un mostro sacro che del gangster movie ha fatto il suo cavallo di battaglia. The Irishman riesce ad assumere i connotati di una lettera a cuore aperto senza perdere lo smalto che ci si aspetta da Scorsese

È l’opera di un uomo che teme la solitudine e la chiusura delle porte, quelle della propria carriera, quelle del cinema della nuova Hollywood, quelle della propria esistenza.

1) Parasite – Bong Joon-ho

film
“Parasite”

A Seoul una famiglia povera, ma profondamente unita, si allea per raggirare un’altra famiglia, ricca e residente in una straordinaria villa, partendo dai documenti falsi del figlio che s’improvvisa insegnante privato. Con espedienti beffardi, l’intero quartetto andrà a lavorare nel lusso riuscendo perfino a sbarazzarsi dell’autista e della governante. Tuttavia, qualcosa di imprevedibile alberga nel sottosuolo della villa e ciò metterà a repentaglio il loro piano grottesco.

Parasite è un’opera che mette a confronto un tentativo d’inserimento sociale a mo’ di commedia satirica, dimostrando con acuta efficacia visiva come si deve riflettere oggi sul contemporaneo.

Un nucleo di disagiati e impazienti di connessioni wi-fi sfrutta l’ingenuità dell’alta borghesia
sudcoreana e rimane vittima dei precedenti parassiti con i quali non hanno fatto i conti. 

L’audacia narrativa di Bong Joon-ho sfocia nel thriller e poi nella tragedia raggelata, dove
alcuni inserti ironici aumentano una tensione magistrale. In particolare brilla il diluvio di
dimensioni bibliche, la cui fatalità porta i poveri protagonisti sull’orlo del baratro.

Con un notevole lavoro attoriale, Parasite è un film destinato a essere ricordato grazie a
una cattiveria che diverte e alla sua brillante metafora universale.

La lotta di classe è questione di cinica truffa e sopravvivenza estrema per un desiderio effimero di ricchezza. Una volta tanto possiamo accodarci all’unanimità verso un cinema che scuote e appassiona con maestria.

Leggi anche: Silenzio in Sala: I migliori film in uscita di Novembre 2019

Correlati
Share This