Nella storia dell’umanità, la concezione della morte ha sempre avuto un peso specifico non indifferente. Attraverso i più disparati rami della conoscenza, a partire dall’arte fino ad arrivare alla scienza, l’uomo si è sempre interrogato su questo importante e definitivo fenomeno: la morte. La cessazione dell’esistenza.
Cosa accade quando qualcuno muore? E, soprattutto, che cosa accade dopo? Tra le innumerevoli opere che hanno al centro questo tema così atavico per l’uomo, spicca, per la sua cristallina lucidità di analisi, Death Parade.
L’opera in questione è un anime del 2015, prodotto dalla Madhouse (lo stesso studio che produsse Death Note), che ha come set principale una sorta di limbo, arredato come un elegante bar, in cui i defunti arrivano esattamente dopo il decesso, al fine di essere giudicati da un’entità al di sopra delle parti. Dall’esito di questo giudizio, l’anima del defunto potrebbe reincarnarsi, dando vita così a un nuovo processo vitale, o cadere nell’oblio più anonimo.
Il punto di vista attraverso cui vengono narrate le vicende è quello di Chiyuki, una ragazza appena arrivata in questo limbo senza alcun ricordo. Il giudizio in merito alla sua anima non può essere espresso dal giudice-barman del limbo di nome Decim, se prima lei non recupera i ricordi.
Che cosa differenzia Death Parade da altre opere? Sicuramente il set in cui si ambienta la storia. O ancora, le modalità in cui questo giudizio viene emesso; poiché le anime dei defunti vengono messe sotto pressione da situazioni estreme, in cui si mostrano i pregi e i difetti di quella persona che una volta era in vita. Ma non è solo questo.
La grandezza di un’opera come Death Parade è da rintracciare soprattutto in un’importante rivoluzione che compie. La psicotanatologia, che è alla base dell’opera, è quella branchia della psichiatria che aiuta le persone a elaborare un lutto significativo.
In Death Parade avviene però un cambiamento radicale: non è una persona vicina al defunto a dover elaborare il lutto, ma il defunto stesso.
Ed è attraverso questa elaborazione che avviene il vero giudizio di un’anima, perché proprio durante questo processo emergono tutte quelle contraddizioni, etiche e filosofiche, di un essere umano. Contraddizioni meravigliose, in alcuni casi, e terribili, in altri.
Il progetto di immortalità secondo Ernest Becker
Un testo fondamentale per comprendere appieno cosa ci sia dietro la filosofia di Death Parade è probabilmente Il rifiuto della morte (1973) dell’antropologo americano Ernest Becker.
Quest’opera afferma che ogni essere umano nel mondo è architetto di un meccanismo di difesa chiamato “progetto di immortalità”. Ovvero, nessuno mette mai realmente in conto che, da un giorno all’altro, la propria vita potrebbe cessare. E, secondo Becker, tutti i principali problemi, soprattutto psicologici, dell’essere umano derivano proprio dalla drammatica scoperta della finitezza della propria esistenza. Partendo dall’opera di Backer, è possibile trovare una fantastica limpidezza nell’indagine spirituale che Death Parade propone.
Oltre all’opera di Becker, è importante citare, prima di procedere, uno degli approcci più utilizzati nella psicotanatologia: il cosiddetto modello a cinque fasi, elaborato dalla psichiatra svizzera Elizabeth K. Ross nel suo libro La morte e il morire (1969). Le fasi di questo modello sono: negazione, rabbia, contrattazione, depressione e accettazione. Attraverso questi stati, avviene l’elaborazione del lutto. Elaborazione che in questo caso, come è stato già scritto, dovrà essere messa in atto dal defunto.
Una persona, in Death Parade, muore per una qualsiasi causa e raggiunge il Quindecim, il bar che funge da limbo momentaneo per l’anima del deceduto.
Chi arriva al Quindecim ignora di essere morto e infatti chiunque all’inizio non sa come sia giunto lì. Dopo aver messo a proprio agio le anime arrivate, il giudice pone loro una sfida (solitamente si tratta di un gioco comune, come le freccette, il biliardo, le carte) e proprio durante questa partita, il defunto passa attraverso le cinque fasi.
In un primo momento la negazione: il deceduto lentamente comincia a ricordare gli ultimi istanti della sua vita. Il progetto di immortalità backeriana comincia debolmente a essere messo in discussione. Da ciò si passa alla rabbia: il defunto rivive la propria morte. La suggestione si fa più forte, l’immortalità viene contraddetta e nessuno accetta di buon grado questa situazione.
Tuttavia, c’è ancora un barlume di speranza. La terza fase: la contrattazione, il patteggiamento con le proprie paure. Forse è tutto uno scherzo assurdo, un gioco di cattivo gusto di cui si riderà una volta scoperto il trucco, ma, purtroppo, non è così. E, dunque, la depressione: il progetto di immortalità si è sgretolato in cocci che non possono essere riuniti.
Il dolce inganno di questo meccanismo di difesa è stato svelato. Si è rotto l’incantesimo. Il defunto realizza con rassegnata disperazione che è morto.
L’ultima fase e il Memento mori di Death Parade
Manca ancora una fase, l’accettazione. Questa è la fase più difficile in assoluto, perché non tutti sono in grado di accettare la fine della propria esistenza. Proprio durante quest’ultimo passaggio il giudice riesce a valutare l’anima. Alcune anime, quelle più virtuose, riescono ad accettare finalmente non solo la propria condizione di non-immortalità, ma anche la condizione di non-vita. Altre, invece, rimangono intrappolate nelle fasi precedenti, magari a causa di un atteggiamento troppo avido nei confronti di un qualcosa, il vivere in questo caso, che è stato sempre dato per scontato.
In Death Parade vengono giudicate anime molto diverse tra loro. Persone normali, con i loro drammi quotidiani, che sono morti all’improvviso, magari per colpa di un incidente; assassini, esseri carichi d’odio che hanno sempre vissuto al disopra dell’etica; suicidi, i più fragili di tutti, coloro che alla pratica dell’esistenza hanno preferito un’altra via.
Questo è l’universo sfaccettato di Death Parade. Un cosmo di esseri (non) viventi che riflettono su loro stessi. Il Memento Mori è il nome che Decim, nella penultima puntata, dà all’ultimo drink che serve a Chiyuki. Il mantra della locuzione latina diventa certezza e la filosofia è la stessa dell’accettazione.
Decim: «Memento Mori. Significa “ricordati che devi morire”. […] Non ci si deve dimenticare che un giorno si morirà ed è per questo motivo che bisogna vivere nel presente: è questo il messaggio racchiuso in quelle parole».
Ma con l’accettazione si palesa anche una malinconica nota di pentimento, il pentimento di non aver fatto abbastanza per qualcuno a cui si tiene, il dispiacersi di non aver pronunciato delle ultime parole. Un addio, un arrivederci, il rammarico di un ultimo sorriso negato per sempre.
Death Parade e la lontananza dal pessimo
Al contrario di quello che si possa pensare, Death Parade non è un’opera pessimistica. Soprattutto se per “pessimismo” si intende quello filosofico, quello che parte dall’assunto che la vita sia priva di significato. Anzi, in Death Parade è il contrario.
Il metodo di giudizio viene messo più volte in discussione, perché i giudici, essendo delle creature immortali, non hanno alcun sentimento. L’empatia verso le anime da giudicare è bandita, tuttavia, in alcuni casi è l’unico strumento valido per stabilire le sorti di un’anima.
Lo capisce Decim, che gradualmente comincia ad abbandonare il suo stato di arbitro catatonico, avvicinandosi sempre di più a ciò che definisce un essere umano come tale: i sentimenti. Sperimenta per la prima volta nella sua eterna esistenza gli stati d’animo: comincia a dubitare, esprime riflessioni, empatizza con Chiyuki, sia nella gioia che nella tristezza e scopre la pietas, quel sentimento di amore che lo rende estremamente simile a quelle anime che si accinge a giudicare.
Decim: «Io non credo che la vita degli esseri umani sia solo un preludio alla morte; è la morte a essere una conseguenza dell’aver vissuto. […] Secondo me la vita un senso ce l’ha e lo stesso vale per il giudizio. Il giudizio deve essere svolto avvicinandosi tanto alla vita quanto alla morte; può essere svolto soltanto avvicinandosi agli esseri umani e, di conseguenza, alle emozioni umane»
Attraverso la scoperta dei sentimenti, Decim si rende conto di quanto sia preziosa la vita umana. Soprattutto perché realizza che la sua è una non-vita, poiché non morirà mai. Ecco perché si avvicina in questo modo alle emozioni. Per provare ad avere una parvenza di quella umanità che invidia così tanto. Un’umanità che, purtroppo, spesso non sembra essere così riconoscente nei confronti di questo privilegio.
Spesso l’esistenza viene lasciata trascorrere come se nulla fosse, con le persone prigioniere del proprio progetto di immortalità. Ma Death Parade ci insegna che è proprio una volta abbattuta questa costruzione mentale che si comincia a vivere davvero. Si è consapevoli che ogni azione e gesto potrebbe essere l’ultimo e quindi non si lascia nulla di trattenuto. Nessuna parola gentile sarà mai di troppo, nessun bacio e nessuna carezza saranno mai risparmiati. Neanche un semplice saluto sarà mai abbastanza caloroso e nessun sorriso sarà mai negato qualcuno.