Un quaderno è il punto di partenza di storie diverse, tratteggiate dalla penna del Dio della Morte Ryuk e da quella del rapper romano Rancore. L’inchiostro taglia le pagine bianche di un racconto che prende forma dalla noia divina, in un caso, e dalla curiosità umana, nell’altro. Nome dopo nome, rima dopo rima, il quaderno si arricchisce – o si priva – del senso morale che connette libero arbitrio e responsabilità individuale.
Con Eden, premiata come miglior testo a Sanremo, Rancore dipinge in rima la storia dell’umanità, elevando la mela biblica da simbolo del peccato originale a simbolo del libero arbitrio. La mela-simbolo viene continuamente bramata dallo shinigami di Death Note, amante di quel falso frutto. Sembra che Ryuk, cibandosi di una mela dopo l’altra, divori anche la stessa possibilità di scelta – nella fattispecie quella di Light Yagami, il protagonista.
Se già nella storia di Adamo ed Eva raccontata nella Genesi striscia il dubbio di un libero arbitrio fittizio, condizionato dal serpente tentatore, in quella di Ryuk e Light un simile dubbio si fa più flebile, non sibila al nostro udito. Il Dio della Morte, con il quaderno, dona a Light un nuovo libero arbitrio, per mezzo del quale non solo egli è in grado di scegliere tra il bene e il male, ma anche di decidere cosa siano.
Light: «Creerò un nuovo mondo, un mondo popolato solo da gente buona e onesta. Un mondo del quale io sarò il Dio assoluto!».
Immagine di Ryuk, presente anche nel videoclip della canzone di Rancore [collage di foto al muro].
Fagocitare la capacità di decidere dell’uomo, assaporandone il dolce succo, e riportarlo a una condizione simil-divina, dalla quale è impossibile rendersi conto del nesso causa-effetto all’interno della dimensione morale, luogo dell’umanità, non del divino. Ecco il disegno di Ryuk, celato per tutta la storia dal gioco intellettuale fra Light ed Elle: togliere all’uomo il senso morale, di modo che non possa più connettere libero arbitrio e responsabilità individuale.
Se la mela di Rancore riflette il libero arbitrio, quella che nutre l’ingordigia di Ryuk ne rivela l’assenza, eclissandola dietro il falso mito del nuovo potere umano troppo umano: il quaderno della morte.
L’uomo, dopo aver goduto del frutto dell’albero della conoscenza, assapora ora il gusto di poter creare un nuovo spazio morale in cui dissolvere i concetti di bene e male.
Conoscere il bene e il male e poter scegliere fra questi – fondamento del libero arbitrio – non è più così interessante, se si può decidere di dare un nuovo corpo semantico ai due valori-madre di ogni sistema etico. Dall’intersezione fra scelta e responsabilità ha origine non più tanto il senso morale, quanto la condanna al relativismo ontologico: si è sempre onnipotenti rispetto a qualcosa o qualcuno e, specularmente, abitiamo in una condizione di minorità rispetto ad altro.
«Se ogni scelta crea ciò che siamo/
Che faremo della mela attaccata al ramo?».
(Rancore)
Scelta dopo scelta non si crea solo se stessi: è la stessa umanità a modificarsi, quasi come fosse un macrorganismo biologico e noi soltanto sue cellule. Ecco allora che la mela si presta a essere il fil rouge con il quale Rancore ripercorre il progresso scientifico e tecnologico, passando per Isaac Newton e Alan Turing, giungendo a Steve Jobs. In tal senso, la risposta alla domanda che si pone il rapper potrebbe essere quella che vede l’uomo continuare a cogliere il frutto proibito, esattamente perché è nella sua natura oltrepassare il limite imposto dalla propria condizione di esistenza.
Copertina di Eden.
Il figlio dell’uomo di René Magritte è immagine letterale, metaforica e iconica di Eden. «L’uomo [che] è dipinto nella tela [e il cui] volto è coperto da una mela» è il simbolo di questa tendenza umana al superamento di quel limite. Sia il pittore belga che Rancore lasciano intendere che tra il visibile e l’apparentemente-visibile si celi la brama dell’umanità: cercare ciò che è nascosto, o proibito.
Ecco che l’uomo, rincorrendo la conoscenza, inciampa sul male, condannando se stesso a sapere cosa sia – o deciderlo, nel caso di Light – e, contemporaneamente, a commetterlo. A onor del vero, l’equazione socratica descritta dall’intellettualismo etico, secondo la quale la conoscenza del bene è sufficiente alla sua attuazione, poiché in ciò si realizza la felicità dell’uomo, era già stata sovvertita da Friedrich Nietzsche nel Crepuscolo degli idoli.
«Un uomo ben riuscito, un «felice», non può che fare certe azioni e si guarda istintivamente da altre azioni, e l’ordine che fisiologicamente rappresenta egli lo trasferisce all’interno dei suoi rapporti con gli uomini e con le cose. In una formula: la sua virtù è conseguenza della sua felicità».
(Friedrich Nietzsche)
Invertendo l’implicazione virtù→felicità, Nietzsche aveva dunque già mostrato l’inganno della morale, sintomo primario della decadenza. Si tratta allora di comprendere pienamente la relazione cosmologica che unisce il bene e il male, la cui natura è ora slegata da ogni aspetto morale in senso stretto.
Rancore e Ryuk
Uscendo dalla dimensione umana, si potrebbe pensare al bene e al male, rispettivamente, come all’ordine e al caos.
In ambito scientifico, si parla di entropia in relazione all’inevitabilità per un sistema fisico di veder crescere il proprio stato di disordine. Qualunque sistema – prendiamo l’universo, caso limite – tende dunque verso stati di massimo disordine e la probabilità che questi si realizzino è molto elevata. Banalmente, con un mazzo di quaranta carte ordinato per seme e numero, a ogni mischiata dello stesso, c’è una possibilità (infinitesimale) che torni nell’ordine iniziale e innumerevoli altre che non lo faccia, aumentando anzi il disordine.
Una riflessione che sposti l’attenzione dalla morale alla cosmologia è in grado di favorire la maturazione di una nuova idea del male, inteso ora come forza caotica. Ogni scelta, in tal senso, non sarebbe più buona o cattiva, giusta o sbagliata, ma semplicemente un mezzo per fare un passo in avanti verso il caos oppure un passo indietro verso l’ordine.
La possibilità di creare il caos con le proprie scelte è tuttavia nettamente superiore a quella di attenuarlo, o comunque di favorire l’ordine.
Interessante che a un’entropia morale così immaginata corrisponda un destino biologico, quello dell’uomo, che si definisce, scelta dopo scelta, come riduzione progressiva di ogni altra possibilità. La scelta determinerebbe quindi un aumento del caos morale e, contemporaneamente, un restringimento del dominio contingente dell’agente. In relazione all’esaurimento sistematico delle possibilità, scrive il filosofo tedesco Eugen Fink ne Il gioco come simbolo del mondo:
«Siamo il prodotto dei nostri atti e delle nostre omissioni precedenti; abbiamo fatto varie scelte e quindi abbiamo perso innumerevoli possibilità. […] Ogni azione che compiamo seriamente ci rende più determinati e contemporaneamente meno aperti al possibile. Noi stessi ci determiniamo continuamente, compiamo l’irrevocabile. Quanto è maggiore la realtà determinata che acquistiamo nella nostra attiva autorealizzazione, tanto più esigue si fanno le nostre possibilità».
(Eugen Fink)
Anche districando il testo di Rancore, dove metafore e allegorie regnano da sovrane, emerge il richiamo a una condizione unitaria, punto di potenzialità massimo dal quale distillare attualità plurali. La diade mondo ultraterreno e mondo terreno, già traslata videoludicamente sul binomio realtà-realtà simulata, anche attraverso il videoclip di Eden, ripercorre la strada del contingente.
«Come prima quando tutto era unito/
Mentre ora cammino in questo mondo proibito».
(Rancore)
Passeggiare tra lande desolate, sopra la cenere di una morale anacronistica, alla ricerca di un “vero” senso etico in grado di connettere il libero arbitrio con la responsabilità individuale. Oppure starsene sulla cima di una torre a scrutare il gioco morale dell’umanità, ancora alle prese con la costruzione delle categorie di giusto e sbagliato. Rancore e Ryuk sembrano adottare strategie differenti, spinti tuttavia dal desiderio di comprendere l’importanza delle scelte per l’uomo.
Death Note si apre con la caduta del quaderno della morte di Ryuk nel mondo umano, con le 56 regole di utilizzo. La canzone di Rancore si chiude con l’unica «regola […] nel regno umano: non guardare mai giù se precipitiamo».
Lo shinigami inizia così a tessere la sua tela per sottrarre il senso morale all’uomo – e quindi il libero arbitrio –, mentre il rapper romano chiude la sua storia invitando a non lasciarsi sopraffare da una scelta errata, rinunciando alla possibilità di compiere altre scelte. La chiusura di un cerchio, di due storie, quelle di Ryuk e di Rancore, che in realtà sono un’unica storia.
Il libero arbitrio fornisce sia al senso morale che alla responsabilità umana il più grande dono: quello di poter aggiustare la propria scelta con un’altra. Sia le scelte (individuali) che i valori morali (collettivi) possono dunque essere aggiustati ed evolversi in base all’esperienza. Non è pertanto il senso morale a connettere libero arbitrio e responsabilità individuale, ma piuttosto il libero arbitrio, coadiuvato dall’esperienza, a connettere e aggiustare gli altri due livelli.