A Classic Horror Story – Alle origini

Alessio Briguglio

Luglio 14, 2021

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Il 14 luglio 2021 vede l’approdo su Netflix dell’horror made in Italy A Classic Horror Story. Alla regia Paolo Strippoli assieme a Roberto De Feo, ritornato dietro la macchina da presa dopo il successo di The NestUn’occasione che offre la sponda per sondare il sostrato esoterico e pagano del folk horror, tornato sulla cresta dell’onda grazie anche al relativamente recente successo ottenuto da Midsommer The Flower of Evil.

Un classico.

Le premesse sembrano tutt’altro che originali: cinque carpooler stanno viaggiando a bordo di un camper per raggiungere una destinazione comune. Cala la notte e per evitare la carcassa di un animale si schiantano contro un albero. Quando riprendono i sensi si ritrovano in mezzo al nulla. La strada che stavano percorrendo è scomparsa, davanti a loro un bosco fitto, con una casa di legno in mezzo a quella che sembra essere l’unica radura. Non siamo, però, nel Texas post-Vietnam di Non aprite quella porta, ma nella Calabria contemporanea.

Una classica storia d’orrore, appunto, che giocando con le suggestioni tipiche del genere, trasporta lo spettatore, finalmente, sul nostro territorio, rendendolo il teatro perfetto di una parabola orrorifica. Ancora più interessante, in questo senso, la scelta dei villain: Osso, Mastrosso e Carcagnosso, i cavalieri spagnoli rinchiusi a Favignana, leggendari e mistici fondatori della malavita italiana, ma qui declinati in maniera decisamente più pop.

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Osso, Mastrosso e Carcagnosso nella rappresentazione horror folk di “A Classic Horror Story”

A prescindere dal risultato finale dell’opera, l’approccio non può che essere tra i più interessanti. La narrazione dell’origine tricefala di “Mafia, Camorra e ‘Ndrangheta” è l’esempio lampante della disperata, nonché forzata, ricerca da parte delle realtà criminali meridionali di una benedizione dalle tinte esoteriche che definisca il legame con il territorio da terrorizzare, e con la tradizione cavalleresca-sacrale.

Soprattutto, se connessa al denso e pecioso manto di superstizione di cui è imbevuta la vita liturgica meridionale. Un setting già di per se perfetto per un soggetto horror.

Nella Spagna dei primi del ‘400 imperversa la “Garduña”. Un’organizzazione clandestina che giustifica le proprie azioni con onore, religiosità, coraggio e purezza. Valori, questi, propri degli ordini cavallereschi medievali, protagonisti tanto d’imprese storiche quanto di gesta epiche arturiane. Tra gli affiliati spiccavano proprio Osso, Mastrosso e Carcagnosso, tre fratelli uomini d’armi di pari valore e abilità.

Per anni agirono, tra i ranghi della neonata setta, nella più completa impunità, accomodando richieste di giudici, governanti, amministratori e uomini di Chiesa. Il potere e il prestigio dei tre cresceva come un fiume in piena e sembrava non incontrare argine di sorta. Osso, Mastrosso e Carcagnosso avevano, però, una sorella bellissima e tacitamente desiderata da tutti, una bellezza tale da attirare le attenzioni della corte, in particolare di un uomo amico del Re in persona.

L’attrazione, non corrisposta dalla donna si tramuta in violenza. Un’offesa per l’intera famiglia che tre uomini d’onore non possono ignorare e che, al contrario, hanno il perverso obbligo morale di lavare nel sangue, letteralmente. La vicinanza alla corona spagnola non salvò infatti lo stupratore dalla furia dei fratelli, degna delle stesse Erinni.

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I tre fratelli nella rappresentazione “classica” da cui prende ispirazione “A Classic Horror Story”

La vicenda trova, così, la sua macabra conclusione, con un rituale dagli echi di una giustizia selvaggia e tribale, stranamente non ancora adattata sul grande, o piccolo, schermo. L’offesa di sangue viene lavata nel sangue sgorgato dal corpo del colpevole in cui la donna è obbligata a immergersi. Un rituale barbaro, finalizzato a risarcire la vittima del sangue versato, del dolore patito, con il sangue e la sofferenza dell’uomo che si era macchiato del crimine.

L’atto perpetrato dai fratelli non può, però, essere ignorato dalle autorità del tempo e i tre, riconosciuti colpevoli di omicidio, vengono spediti nel penitenziario di Favignana all’interno della fortezza di Santa Caterina, a largo delle coste siciliane: l’Alcatraz aragonese. I fratelli investirono la condanna a trent’anni di reclusione, elaborando codici di condotta, formule segrete esoteriche, riti di affiliazione e iniziatici. Una prolifica e delirante produzione letteraria che viene raccolta in mitici manuali, mai esistiti, a cui tuttavia le organizzazioni criminali si ispireranno per legittimare e consacrare nel mito i propri usi e costumi.

Estinta la pena, i fratelli si abbracceranno per un’ultima volta, giurando sulla Croce che avrebbero impiegato ogni loro facoltà e risorsa per fondare degli ordini nei quali, come in quelli cavallereschi feudali, la fedeltà sarebbe andata al sacro vincolo della “Famiglia” e della “Fede”.  Osso giurò su Gesù, colui che dal cielo tutto crea e disfa; Mastrosso su San Michele Arcangelo, che con la sua spada porta giustizia; e Carcagnosso su San Pietro, colui che detiene le chiavi di ogni porta.

Decidendo di partire ognuno per la propria strada per formare adepti, Mastrosso attraversò lo stretto stabilendosi in Calabria dove fondò la ‘Ndrangheta; Carcagnosso proseguì verso la Campania dove fondò la Camorra, mentre Osso scelse di rimanere in Sicilia dove fondò Cosa Nostra.

Una casetta piccina, piccina in “A classic horror story”

Come si spiega la sopravvivenza di riti e simboli pagani, con l’occhio di oggi, mostruosi e violenti, nella cultura europea monoteista? Come si spiega l’attaccamento atavico al rito di sangue oggi, chiaramente presente e accettato nel cinema horror? Secondo il medievalista Jean Claude Schmitt la chiesa di Roma cercò, fin da subito, di respingere le “superstizioni” perché vedeva in esse:

«La sopravvivenza degli antichi culti, ora divenuti prova dell’ossessiva influenza dei demoni e del diavolo sull’opera di Dio».

(Jean Claude Schmitt)

Ciò nonostante, durante tutto l’Alto Medioevo, sul modo in cui i chierici intesero le superstizioni dei luoghi e dei popoli da evangelizzare, giocarono un ruolo fondamentale le condizioni sociali dell’instaurazione e della diffusione del cristianesimo su quelle genti e in quei luoghi.

Dopo i primi tentativi di opposizione, infatti, l’approccio cattolico virò inglobando e sfruttando parte di questi culti pagani per radicare il proprio potere in luoghi remoti che altri approcci avrebbero lasciato fuori dall’influenza e dal controllo di Roma. A questo si aggiunga che la Chiesa del tempo non condannava il principio dell’efficacia simbolica che agiva nelle pratiche “superstiziose”: in fondo non era proprio l’efficacia del simbolo il fondamento del suo potere sugli uomini?

Non appare, dunque, poi così strano come l’impiego di una superstizione dai tratti pagani e ancestrali venisse impiegata fisiologicamente nei culti locali, senza che la Chiesa condannasse la pratica. Una “commistione di generi” prepotentemente presente in prodotti come il francese I fiumi di porpora, il principe del genere L’Esorcista o il recente universo narrativo di The Conjuring.

La superstizione che sopravvisse nelle campagne, ora come allora, è diventata matrice essenziale del genere horror. Una spiritualità ancestrale mai del tutto cancellata e, anzi, resistita a tutti gli sforzi che la Chiesa effettuava nel tentativo di sradicarla. I pagani andavano convertiti, ma una volta che ciò avveniva i chierici scoprivano che anche in popolazioni evangelizzate il persistente attaccamento alle tradizioni pagane restava morboso e compulsivo. A ben vedere, proprio quel tipo di attaccamento dimostrato dal pubblico al genere horror comprese le sfaccettature più gore, la cui fortuna non è mai tramontata.

Il successo di pubblico di titoli come Il Prescelto, il celebrato The Witch e i già citati Midsommar e The Flower of Evil, dimostrano come questa commistione pagano-cristiana sia ancora in grado di suscitare l’interesse di ampie fette di audience mai sazia. Anche il thriller, non prescinde da tale influenza culturale, che ci si riferisca alle paludi della Louisiana di True Detective, alla comunità di The Village o alle biblioteche dantesche di Seven.

Il paganesimo naturale tipico di culti e sette ha da sempre una forza rappresentativa dirompente

Processioni, altari rurali, miti e credenze restavano centrali. Una combinazione che ha nutrito tutto il genere horror, talvolta solo accennando, altre esplicitamente mostrando, il legame tra serial killer solitari e sette, con una ritualità pagana culminante nel sacrificio umano.

Questi percorsi narrativi folkloristici rappresentano strade tortuose da tenere ben presenti, poiché necessarie per comprendere le motivazioni, quantomeno contraddittorie, del rapporto tra culto cristiano e superstizione. Un rapporto strumentale che ha permesso a quei riti, quelle immagini e quei simboli di sopravvivere sino a diventare prodotti di grande intrattenimento.

A Classic Horror Story può rappresentare l’ultimo tassello di una mitologia pagana, sopravvissuta e forgiata nel folklore, in grado di celebrare le origini pagane e macabre del genere. Un’idea con un impianto culturale decisamente coerente.

Leggi anche: Aster, Eggers, Peele e la rinascita del cinema horror

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