«Riempi loro i crani di dati non combustibili, imbottiscili di “fatti” al punto che non si possano più muovere tanto son pieni, ma sicuri d’essere “veramente bene informati”. Dopo di che avranno la certezza di pensare, la sensazione del movimento, quando in realtà sono fermi come un macigno. E saranno felici, perché fatti di questo genere sono sempre gli stessi. Non dar loro niente di scivoloso e ambiguo come la filosofia o la sociologia affinché possano pescare con questi ami fatti ch’è meglio restino dove si trovano. Con ami simili, pescheranno la malinconia e la tristezza».
(Ray Bradbury, Fahrenheit 451)
Fahrenheit 451, pellicola diretta da François Truffaut nel 1966 e ispirata all’omonimo romanzo fantascientifico di Ray Bradbury (1953), è il primo approccio al colore e a una produzione internazionale del noto cineasta francese il cui nome da sempre è legato al movimento della Nouvelle Vague.
Anni Sessanta. Movimento, contestazione, rivoluzione. Improvvisamente il mondo si infiamma: dalla minaccia atomica al turbinio dei moti giovanili, dalla corsa allo spazio alla lotta per i diritti civili. Si potrebbe dire che non ci sia elemento più rappresentativo del fuoco per raccontare per immagini una decade le cui scintille si sono propagate fino ai giorni nostri come incendi. Incandescenti, inarrestabili.

È proprio in questi anni di fuoco che Truffaut, allontanandosi dal canone del movimento di cui era fondatore, decide di abbandonare un’idea di cinema più intimista e proiettata all’introspezione per rivolgersi al grande pubblico, per utilizzare la propria cinepresa per fare politica, per parlare del mondo con il mondo. Diventa, a tutti gli effetti, un autore al servizio del pubblico. Una presa di posizione netta, che lo distinguerà da tutti gli altri esponenti della Nouvelle Vague.
Fahrenheit 451: una fantapolitica che parla del presente
Il mondo che Truffaut mostra agli spettatori è fatto di contrasti netti che permeano ogni aspetto della pellicola.
Al calore dei lanciafiamme adoperati dai pompieri per ridurre in cenere ogni libro – messo al bando dal potere costituito – si contrappone il gelo degli animi che abitano questo mondo: costretti a ingerire pillole che annientano ogni tipo di sentimento e di slancio vitale.

Al grigiore statico del mondo esterno, adornato da nulla più che da cemento, vediamo un mondo domestico caleidoscopico, nel quale il nuovo focolare è la televisione, unico mezzo con il quale il popolo può interfacciarsi ai “fatti” e alle “informazioni” che un mondo dominato dall’addomesticamento delle coscienze può offrire.
Inquadrature estremamente strette e lunghe carrellate ci fanno immedesimare nel protagonista della vicenda, Guy Montag, diviso tra il dogmatismo della Caserma dei Pompieri e l’irrefrenabile curiosità di aprire e leggere uno dei libri che quotidianamente dà alle fiamme.

Guy Montag: «Il lunedì bruciamo Lucrezio, il martedì Molière, mercoledì Machiavelli, giovedì Goldoni, venerdì Voltaire, il sabato Sartre e la domenica Dante. Li riduciamo in cenere e poi bruciamo le ceneri».
451 gradi Fahrenheit: la temperatura che serve per bruciare la carta stampata. Tutto ciò che serve per disintegrare le coscienze del genere umano, condannandolo alla miseria interiore, a una felicità artificiale, a una serenità inculcata dall’accomodante voce di un’annunciatrice televisiva che entra nelle case di ciascun cittadino, tanto da diventare parte della famiglia che vi abita.
Tutto ciò a cui assiste lo spettatore diventa incredibilmente familiare, come se non si trattasse di una messa in scena. La fantapolitica collide sotto troppi punti di vista con quello che quotidianamente vive lo spettatore. Un déjà-vu raccapricciante dei meccanismi di massificazione a cui l’uomo moderno è continuamente sottoposto. Coscienze sonnecchianti, troppo occupate a produrre, a intrattenersi e a sedarsi per esaminare criticamente la realtà che le circonda.
La rinascita dalle ceneri

Il fuoco non può bruciare per sempre. Prima o poi diventa cenere. Ed è dalla cenere che, come una fenice, rinasce la coscienza critica di Montag. Emblematica è la sua prima lettura: il primo capitolo di David Copperfield, romanzo di Charles Dickens. Osserviamo il protagonista in primissimo piano che cerca, con qualche incertezza, di immergersi nelle prime righe del libro. Legge con attenzione: l’indice posto su ciascuna parola. David, il protagonista dickensiano, racconta al lettore della sua nascita. In un connubio perfetto tra narrativa visiva e uditiva assistiamo a quella che è la nascita di un nuovo Montag. Un uomo lettore. Un uomo curioso, che supera le Colonne d’Ercole del dogma.
Da questo momento cinema e letteratura si legano indissolubilmente. Lo spettatore scopre, parola dopo parola, libro dopo libro, la vastità dell’umano pensiero messo su carta. Una valanga di titoli piombano sullo schermo: Don Chisciotte, Lolita, I fratelli Karamazov, La Repubblica di Platone, Alice nel Paese delle Meraviglie, Il Principe di Machiavelli. Persino una copia dei Cahiers du cinéma – così cari al regista in quanto manifesto della Nouvelle Vague e parte della sua stessa produzione da critico cinematografico.
La suspence e il dubbio

La colonna sonora di Bernard Herrmann trascina lo spettatore negli antri più reconditi della nuova vita di Montag, fatta di segreti da tener ben nascosti agli occhi del mondo esterno. Non si può che rimanere col fiato sospeso. D’altronde Truffaut aveva appreso la tecnica della suspence dal suo massimo esponente: Sir Alfred Hitchcock.
Dopo una prolifica intervista al cineasta britannico, Truffaut gli rese omaggio proprio in questa pellicola per mezzo del suo compositore di fiducia. La stima nei confronti del maestro del brivido fu tale da spingere Truffaut a scrivere un libro su ciò che era emerso dall’intervista: nacque così Il cinema secondo Hitchcock, ancora oggi considerato la massima summa teorica della sua poetica. Una vera e propria pietra miliare della critica cinematografica.
Dietro ogni libro c’è un uomo.
La collezionista di libri: «Voglio morire come ho vissuto».
Cosa fare dunque ? Rinunciare alla libertà o agli agi del mondo massificato ? Per la donna che i Pompieri scopriranno essere una delle più grandi collezioniste di libri non c’è dubbio: una vita senza libertà non vale la pena di essere vissuta. In una delle scene più strazianti di Fahrenheit 451 osserviamo la donna bruciare viva insieme ai suoi libri. Una Giovanna D’Arco che non si piega al potere costituito, che muore per le proprie idee in barba alla società e alle sue censure.
Montag non brillerà dello stesso coraggio, ma non rimarrà fermo a guardare, imbalsamato da una società statica. Scapperà via trovando una piccola comunità di resistenza: diventerà un Uomo-Libro, un uomo nella cui memoria risiede un libro imparato a memoria. Così che nemmeno le fiamme della tirannide possano trovarlo.
Gli Uomini-Libri sono consapevoli di essere a presidio dell’umana conoscenza e sperano, un giorno, quando il ciclo storico della tirannide culturale sarà terminato, che la loro storia venga ascoltata.
Uomini-Libri, Uomini-Liberi. La resistenza. La parte giusta della Storia, quella che preserva tutte le storie, perché dietro a ogni storia c’è un uomo. E ogni singolo uomo va rispettato e ricordato. Ascoltando la sua voce o le sue parole, in nome del più alto valore di tutti: la dignità.