Il Re Leone, capolavoro della Disney del 1994, è un film che segue un filone tematico ben preciso, quello del destino. Un concetto, questo, dalle definizioni sfuggenti e imprecise. Una presenza-assenza che perseguita. Un fantasma che ricalca concetti. Il destino, si può dire, è un po’ come il passato. Non si può fuggire da esso, nonostante gli sforzi, nonostante ciò che di spiacevole accade e a cui non c’è rimedio.
Infatti, anche nel caso in cui si riuscisse a scappare dal destino per qualche fortuita circostanza, esso si ripresenterebbe comunque, prima o poi. Così come quel passato che non è possibile dimenticare. Tutto ciò avviene al cospetto del futuro, che attende solamente di essere realizzato. Questo flusso ininterrotto ha tanti nomi, ma quello più attinente è forse quello usato dai grandi Re del passato, che osservano l’esistenza scorrere dall’alto delle stelle: il cerchio della vita. Il Re Leone non è nient’altro che un inno a tutto questo.
Il vento del destino ne Il re leone
Simba, l’iconico protagonista, è l’esemplificazione vivente del fatalismo, tema che si respira in tutta l’opera; lui è il figlio di Mufasa ed è quindi destinato a regnare. Non c’è alcuna possibilità di evitare che ciò avvenga a meno che non si palesi, in questi intrecci già prestabiliti, una figura machiavellica pronta a inficiare ogni costrutto.
Scar, il malvagio zio di Simba, farà leva sulla sua formidabile astuzia per ottenere quel trono negatogli fin dal principio. Il destino, a questo punto, è stato cambiato contro ogni previsione. Una modifica dovuta alle uniche forze che possono opporsi al fato: la premeditazione, l’agire, la scelta. Soprattutto quest’ultima ha sempre avuto un ruolo determinante.
Scar sceglie di non accettare il suo destino di reietto e ottiene ciò che desidera non scendendo a compromessi. Simba, in modo analogo, amareggiato e disilluso, abbraccia la filosofia dell’Hakuna Matata, ovvero la scelta consapevole della non-scelta.
Interrompendo la storia esattamente in questo punto, l’intera apologia del destino di cui l’opera si fa portatrice perderebbe di senso. Anzi, si assisterebbe a una vicenda che narra l’opposto. Il destino non è una forza insormontabile e può essere facilmente arginato. Lo stesso concetto della scelta è un espediente narrativo sopravvalutato.
Eppure, una volta giunti a un momento di stallo, in cui malvagità e nichilismo sembrano aver trionfato, ecco che qualcosa si mette in moto. Il vento del destino comincia a soffiare più forte che mai, riaccendendo speranze che sembravano svanite da tempo.
Una folata di vento fa capire a Rafiki, figura sciamanica, che il legittimo erede al trono è vivo; e sarà non a caso proprio Rafiki a far desistere il giovane leone dalla sua indecisione [in questo articolo potete approfondire il ruolo di Rafiki]. Simba sceglie infatti di abbandonare le comode spiagge emotive dell’Hakuna Matata e di tornare a riscuotere ciò che il destino ha in serbo per lui.
Laddove il tema del film è proprio l’impossibilità di scappare dal proprio fato, anche “forzature” narrative del genere, come il vento che soffia, assumono nuovi significati. Gli espedienti che fanno sì che la trama avanzi diventano veri e propri manifesti di poetica, che ribadiscono con affascinante incisività il topos principale.
William Shakespeare e il ruolo del destino
Verrebbe da chiedersi: perché mai si è deciso di seguire questa strada? Perché si è scelto, in fase di realizzazione, di incentrare l’intera opera su questo tema? La risposta è facilmente rintracciabile nell’origine di tutto, nella figura di ispirazione che ha silenziosamente guidato la creatività dei realizzatori: William Shakespeare.
Non è un mistero infatti che l’intreccio principale abbia più di una affinità con Amleto. Uno zio usurpatore, un giovane erede tormentato, il fantasma del padre. Le analogie sono presenti anche nella caratterizzazione filosofica e psicologica dei personaggi. Il principe di Danimarca è turbato da ossimoriche riflessioni, da paradossi che cercano disperatamente una risoluzione. Il suo animo oscilla costantemente negli sterminati spazi dell’indecisione. Anche lui è posto di fronte a una scelta che condizionerà la sua esistenza, e quella di tanti altri.
«Essere o non essere, questo è il dilemma:
se sia più nobile nella mente soffrire
i colpi di fionda e i dardi dell’oltraggiosa fortuna
o prendere le armi contro un mare di affanni
e, contrastandoli, porre loro fine».
(William Shakespeare, Amleto)
Simba, prima di incontrare il fantasma dell’amato padre, ristagna in questo limbo emotivo. Un altro lecito quesito è: quando si effettua una scelta, il destino che ruolo ha? Un’opera come Il Re Leone non può esimersi dal rispondere a ciò, dato che anche lo stesso Shakespeare effettua delle considerazioni nette e precise.
L’intera narrativa del Bardo è infatti soggiogata dalla presenza di un destino inevitabile, in cui anche le scelte dei personaggi fanno parte di un “piano” più grande. Amleto è un’opera che profuma di morte fin dalle prime battute e non lascia intravedere alcuna possibilità alternativa.
In Macbeth e Giulio Cesare il fato assume addirittura una dimensione fisica attraverso la presenza di oracoli che preannunciano ogni cosa. Macbeth si confronta con le tre streghe, che profetizzano sia la sua violenta ascesa al trono che la sua fine. Ed è proprio nel disperato tentativo di impedire che la sua fine giunga che Macbeth sancisce la sua rovina. Sono infatti state le sue stesse azioni e le sue scelte a mettere in moto le meccaniche del destino.
Giulio Cesare, invece, riceve ben due avvertimenti della sua morte. La prima volta da un indovino cieco, che lo mette in guardia dalle Idi di Marzo. La seconda volta, poche ore prima della congiura, dalla sua amata moglie Calpurnia, che afferma di aver sognato la statua del marito grondare sangue. Il dittatore romano non si lascia però intimidire, neanche dalle timorose parole della moglie. In questo modo anche lui elabora una scelta, quella di non preoccuparsi di tali “farneticazioni”. Anche in questo caso, però, la sua scelta è stata la miccia che ha avverato la profezia.
Il messaggio di Shakespeare è dunque abbastanza chiaro. Il destino non è un austero dittatore che controlla le menti di chi è assoggettato a esso, ma è l’esatto opposto: sono le scelte e le azioni dei soggetti che, consapevoli o no, mettono in moto ogni meccanismo. Ne Il Re Leone si attua esattamente questa logica.
«Non è nelle stelle che è conservato il nostro destino, ma in noi stessi».
(W. Shakespeare, Giulio Cesare)
Macbeth e Giulio Cesare, così come Amleto, hanno sete di potere. Congiure, despoti e sovrani spodestati. Il Re Leone, con tutte le dovute differenze, è quindi figlio anche di opere all’apparenza così distanti, ed è proprio ciò che caratterizza la maturità semantica del film. Le inquietudini e i ragionamenti shakespeariani vengono declinati in un contesto, l’animazione, totalmente nuovo rispetto al teatro del Seicento. Il concetto del destino, così caro al Bardo, si ripresenta con rinvigorita potenza, la stessa di un vento incessante che soffia e che rimette in moto gli ingranaggi che si erano inceppati.