Girard – Menzogna romantica e verità cinematografica
Aristotele sosteneva che l’essere umano è animale con logos. Per Cartesio era, in quanto dubitante, essere pensante. Per una certa teologia era, in quanto non dubitante, essere tendente al divino. Mentre per la modernità e l’evoluzione della ragion liberale, invece, divenne e non smise mai d’essere homo economicus.
Poi qualcosa cambiò. Era il 1882 e, attraverso la parabola del folle uomo, Nietzsche annunciava la morte di Dio, portando a compimento l’evoluzione del sapere occidentale.
«Dietro tutte le dottrine occidentali che si susseguono da due o tre secoli vi è sempre il medesimo principio: Dio è morto, tocca all’uomo prendere il suo posto».
(René Girard, Menzogna romantica e verità romanzesca, 1961)
Dio è morto dunque; ma, sostiene l’antropologo francese Girard, «mentre il cielo si spopola, la sacralità ritorna sulla terra», «tocca all’uomo prendere il suo posto».
E così fu.
Tra l’Ottocento e il Novecento gli dei avevano abbandonato il mondo, il castello delle certezze di carta iniziava a sgretolarsi, mentre la fede nell’assoluto e nell’universale smarriva la sua strada maestra. Eppure, prosegue Girard, «la negazione di Dio non elimina la trascendenza, ma la sposta dall’aldilà al basso», producendone un surrogato e facendo proprio il nichilismo passivo.
Aveva ragione Nietzsche dunque: Dio è morto. Ma aveva ragione anche Guccini, perché Dio è risorto.
Durkheim – sociologo francese che fu grande ispirazione per Girard – paragonò la società a Dio, identificando i termini del sacro e del sociale. Era l’avvento della modernità. Con la fine dell’Ancien Règime dovuto alla Rivoluzione Francese, le strutture gerarchiche plurisecolari dell’Occidente caddero, la legittimità al trono di origine naturale, familiare o divina venne meno, e prese il via la secolarizzazione.
Si era tutti uguali, o almeno lo si sarebbe potuto essere. Doveva essere il paradiso sceso in terra, ma il ruolo che l’inferno avrebbe avuto in questa storia non sembrava essere rilevante. Nel Novecento emerse il concetto di massa, un insieme amorfo di individui schiacciati da interessi, bisogni e pulsioni che Freud definì «anonima e irresponsabile, controllata quasi esclusivamente dall’inconscio».
Per l’antropologo francese, dunque, l’uomo moderno è homo aequalis e, in quanto tale, è anche entità assolutamente desiderante.
Ed è così che, prosegue Girard, «gli uomini sono diventati dei gli uni per gli altri».
Nell’immaginario di Girard il desiderio mimetico è il filo rosso che traccia la via alla storia dell’essere umano, di ogni tempo e di ogni luogo, rappresentandone la struttura esistenziale. L’uomo è animale desiderante, animale che imita.
«In generale due sembrano essere le cause che hanno dato origine all’arte poetica, e tutte e due naturali. Ed infatti in primo luogo l’imitare è connaturato agli uomini fin da bambini, ed in questo l’uomo si differenzia dagli altri animali perché è quello più proclive ad imitare e perché i primi insegnamenti se li procaccia per mezzo dell’imitazione; ed in secondo luogo tutti si rallegrano delle cose imitate».
(Aristotele, Poetica)
Non si tratta di un mero bisogno o stimolo materiale, ma «ogni desiderio è desiderio d’essere», e l’uomo, consapevolmente o meno, imita le opinioni, brama gli stili di vita di altri e desidera i desideri.
Girard parlerà di «desiderio metafisico» come essenza dell’umanità, come condizione fondante di qualsiasi altro desiderio particolare, come intenzione a imitare un modello divinizzato divenuto mediatore di ogni possibile ricerca.
«Solo il desiderio dell’altro può generare il desiderio».
(R. Girard, Menzogna romantica e verità romanzesca, 1961)
Attraverso un’analisi comparata dei grandi romanzieri quali Cervantes, Stendhal, Flaubert, Dostoevskij e Proust, Girard individua una legge universale del comportamento umano, che implica una perenne uscita del soggetto dal Sé e un totale abbandono nell’Altro, una costituzione dell’identità attraverso l’alterità, poiché «i nostri desideri non diventano veramente convincenti fino a che non sono riflessi da quelli degli altri». La struttura del desiderio, dunque, è triangolare, intrecciando i destini del soggetto, dell’oggetto e del mediatore; quest’ultimo la vera fonte di attrazione in gioco che contagia i desideri altrui, mascherati sotto forma di oggetti.
«L’oggetto è solo un mezzo per raggiungere il mediatore. È l’essere di questo mediatore che il desiderio mira».
(R. Girard, Menzogna romantica e verità romanzesca, 1961)
I modelli possono essere di diversi tipi: genitori, figure carismatiche, la persona amata, cantanti, guide spirituali, politici. Tuttavia, ci sono delle differenze sostanziali. La mediazione può essere esterna quando il modello di riferimento è totalmente distante dal soggetto desiderante; dunque, quando il modello è un personaggio di fantasia – come il grande cavaliere errante Amadigi di Gaula e la sua ambizione di gloria per Don Chisciotte -, o quando è socialmente irraggiungibile – come Maradona per il Fabietto di È stata la mano di Dio e dunque per il giovane Paolino Sorrentino, oppure come il fedele Sancio Panza nei confronti del cavaliere Don Chisciotte.
In questa relazione vissuta positivamente e senza conflitti, il soggetto desidera l’oggetto desiderato dal mediatore, desidera il suo desiderio e desidera il mediatore stesso.
Tuttavia, quando il mediatore è reale ed è sullo stesso piano esistenziale e sociale del soggetto desiderante, si parla di mediazione interna: come due amiche, due colleghi di lavoro o due sorelle. Non essendoci separazione tra i mondi dei due personaggi, e se l’oggetto in questione non è condivisibile, il mediatore muta forma divenendo un autentico rivale, e il soggetto diventa a sua volta mediatore del mediatore. E così inizia il conflitto.
«La tendenza mimetica fa del desiderio la copia di un altro desiderio e sfocia necessariamente nella rivalità».
(R. Girard, La violenza e il sacro, 1990)
Individuando atteggiamenti di rivalità tramutatisi in odio e poi in violenza, i moderni romanzieri intravidero tracce di desiderio metafisico nella gelosia, nell’invidia, nell’amore, nella vanità e in tutti i rapporti sociali viziati che stavano divenendo parte integrante della modernità.
È dunque conflittuale la relazione che si viene a creare tra Francis e Marie de Gli amori immaginari, due grandi amici che si innamorano della stessa persona.
«È inevitabile che in un dato momento, anche i migliori amici del mondo incrocino sul loro cammino un oggetto che non possono o desiderano dividere».
(R. Girard, Shakespeare: Il fuoco dell’invidia, 1990)
Così come è conflittuale il rapporto tra le cugine Lady Marlborough e Abigail Hill nel contendersi l’amore e il potere della regina Anna ne La favorita; oppure le amiche Vicky e Cristina che a Barcellona incontrano il pittore Juan Antonio. Ma anche il conflitto interiore creatosi nella personalità del narratore di Fight Club nei confronti di Marla, oppure quello della Mima di Perfect Blue rispetto alla sua manager Rumi.
Per Girard, dopo che Dio è morto e risorto con sembianze umane, l’essere umano moderno è l’homo aequalis. Tutti gli uomini sono uguali, desideranti e invidiosi. Oltre a essere affetti da una costante e apparentemente positiva mediazione esterna con i personaggi famosi idealizzati e divinizzati, le persone, con il fittizio abbattimento novecentesco delle classi sociali, si ritrovano a essere tutte sullo stesso piano, pronte a desiderare il medesimo, in tensione reciproca, in un’eterna dialettica e trasformazione di amicizia e rivalità, di amore e violenza, pronte a sacrificare la vita per realizzare il desiderio del desiderio del desiderio del desiderio di qualcuno.