Nietzsche è il filosofo che più di tutti ha sconvolto il pensiero dell’uomo moderno. Le sue teorie, espresse con uno stile vibrante e poetico allo stesso tempo, affascinano chiunque vi si approcci. Nietzsche ha ispirato numerosi pensatori, filosofi e, naturalmente, artisti. Nell’arduo compito di stilare una lista di alcuni degli innumerevoli film ispirati alla sua filosofia, è bene prima fare alcune precisazioni. La prima è che sarà presente solamente un film per regista, in modo tale da lasciare spazio a più visioni e interpretazioni. La seconda precisazione è che questo articolo non è da intendersi come una “classifica”, in quanto probabilmente non esiste un film “più nietzschiano” di un altro, ma anche perché la classifica è di per sé un costrutto artificiale che segue uno schema, e probabilmente lo stesso Nietzsche non avrebbe approvato niente di tutto ciò.
Quarto potere – Il paradigma dell’oltreuomo
Il capolavoro di Orson Welles è un’opera la cui grandezza non è da relegare solamente al discorso tecnico. Anzi, Quarto potere tocca temi delicati come nessun altro prima di esso: la stampa come mezzo per esercitare il potere, l’innocenza perduta in nome di esso, l’ambizione smodata che porta alla solitudine, rivelandosi, nietzschianamente parlando, un film di stampo essenzialmente prospettico.
Parlando di solitudine, sarebbe molto interessante soffermarsi proprio sulla figura di Charles Foster Kane, che per molti versi incarna l’idea di oltreuomo espressa da Nietzsche, ma in forma degenerata. Lui è un uomo i cui giochi d’infanzia sono stati bruscamente interrotti, sostituiti con l’algida realtà imprenditoriale del suo tutore. Attraverso gli insegnamenti di quest’ultimo, il giovane rampollo manifesta al massimo la proprio volontà di potenza e, cercando di divenire ciò che non è, diventa capo di un giornale, riscuotendo sempre maggior successo, fino ad aspirare alla carica di presidente degli Stati Uniti.
Dove può essere rintracciato, nella figura di Charles Foster Kane, il paradigma necessario affinché possa essere considerato un oltreuomo? Nel suo successo? Nella sua scalata al potere? No. Il successo e la bramosia di Kane sono solo delle conseguenze di ciò che realmente lo identifica come oltreuomo, ovvero la consapevolezza. Charles Foster Kane è, infatti, perfettamente consapevole del fatto che la sua esistenza abbia avuto come unico punto di convergenza se stesso.
Charles Foster Kane: «Se non fossi stato molto ricco, forse sarei potuto diventare un grand’uomo».
Lui sa che la sua è una figura moralmente molto discutibile, e ciononostante va avanti, facendosi portatore di quel nichilismo, di cui parlava Nietzsche, che contraddistingue un oltreuomo. Inoltre, Kane ha come ricordo più caro “Rosebound”, l’ultima parola prima di morire, la sua slitta, simbolo dell’innocenza della sua infanzia, e noi tutti sappiamo che il bambino è una figura fondamentale nella mitologia nietzschiana. Attraverso quel dolce ricordo, Kane è rimasto in potenza un fanciullo per tutta la vita, come se quell’altro percorso, quell’altra realtà in cui poteva divenire ciò che è, lo avesse accompagnato per tutta la vita; e Nietzsche ci spiega che sono in pochi a riuscirci.
Nodo alla gola – Una corda e la trasvalutazione dei valori
«L’uomo è una corda, tesa tra il bruto e il superuomo, una corda tesa su di una voragine».
(Friedrich Nietzsche, “Così parlò Zarathustra”)
Ed è proprio Rope (corda) il titolo del capolavoro di Alfred Hitchcock che attinge a piene mani dal pensiero del filosofo. La corda è lo strumento del delitto utilizzato, l’accessorio che giustifica il MacGuffin della storia, ed è il mezzo attraverso il quale un bruto può elevarsi allo stato di superuomo.
Hitchcock in questo caso fa molto di più che giocare con il simbolismo; mette direttamente nella bocca di Brandon, uno dei due assassini, i concetti espressi da Nietzsche.
Brandon: «I pochi sono quegli uomini che, per superiorità intellettuale e culturale, si elevano al di sopra dei concetti morali tradizionali. Bene e male, giusto e ingiusto sono stati inventati per l’uomo ordinario, per l’essere primitivo che ne ha bisogno».
Il delitto è infatti giustificato, secondo loro, dall’idea che esistano alcuni uomini superiori ad altri. Quindi, oltre alla filosofia del superuomo, troviamo anche il concetto complementare della trasvalutazione dei valori. L’omicidio è riconosciuto come un atto moralmente sbagliato dalla società, e per diventare superuomo bisogna oltrepassare questo limite, ergendosi al di sopra dei valori tradizionali e abnegando quell’eccesso di apollineo che risiede nel nostro spirito in favore del dionisiaco.
Naturalmente i due assassini hanno completamente travisato la filosofia di Nietzsche, come spiega loro Rupert (James Stewart), il loro professore di filosofia. È stato commesso, in un certo senso, lo stesso errore di interpretazione dei nazisti, che sfruttarono Nietzsche per giustificare la loro follia collettiva. In questo caso, dunque, non ci troviamo affatto al cospetto di superuomini, come nel caso di Quarto potere; tutt’al più siamo dinanzi a degli stolti, che si illudono di aver raggiunto la cima di un monte, quando in realtà stanno sguazzando nella loro miseria.
2001: Odissea nello Spazio – Il crepuscolo del dio artificiale
Che Kubrick, e in particolare questo film, sia stato fortemente ispirato dalla filosofia di Nietzsche lo si può evincere facilmente sin dai titoli di testa, quando il brano Thus Spoke Zarathustra risuona mentre scorgiamo l’alba della nostra esistenza.
In 2001: Odissea nello spazio troviamo vari concetti fondamentali che ci riportano alla filosofia di Nietzsche; emerge in particolare l’eterno ritorno dell’uguale e la caduta degli idoli, la perdita di tutte quelle certezze date per assolute. Per spiegare il concetto dell’eterno ritorno è sufficiente osservare la “struttura circolare” del film. Si apre con la nascita dell’umanità e si chiude con un’altra nascita, quella del “bambino delle stelle”. Proprio con il fotogramma del feto astrale cala il sipario su questa epopea fantascientifica, e il fanciullo, il simbolo per eccellenza dell’assenza di costruzioni morali, rappresenta lo stadio finale di quella che potremmo definire la “teoria evolutiva di Nietzsche”, dove il nostro spirito, da cammello assume le sembianze del leone, e dal leone diventa bambino, come si legge in Così parlò Zarathustra.
Per quanto riguarda la caduta degli idoli, è interessante analizzare la figura di HAL 9000, l’intelligenza artificiale che accompagna Bowman e Poole nel loro viaggio. Lui ha il completo controllo di tutti gli aspetti della navicella spaziale, e un piccolo malfunzionamento potrebbe mettere in grave pericolo l’intero equipaggio. In un primo momento questo scenario è molto lontano, in quanto non si è mai verificato alcun problema in precedenza. Tuttavia, il malfunzionamento si verifica e i due astronauti, che da sempre hanno guardato HAL come un dio artificiale infallibile, sono costretti a fronteggiare il fatto che non sia così. Il dio artificiale, composto da codici e fili, è fallace, anche se lo stesso HAL non vuole rendersene conto, perché stando a contatto con le persone, anche lui è diventato umano. Forse troppo umano, per rimanere nell’ambito citazionistico del nostro filosofo.
«Come? L’uomo è soltanto un errore di Dio? O forse è Dio soltanto un errore dell’uomo?».
(F. Nietzsche,”Il crepuscolo degli idoli”)
Apocalypse Now – Diventare l’abisso
«This is the end, my only friend, the end…».
(The Doors, “The End”)
Come 2001: Odissea nello spazio, anche in questo caso le chiavi di lettura ci vengono fornite dalla musica che apre il film: The End dei Doors. Se si analizza il testo della canzone, lo si unisce con ciò che accade nel film, e infine si associa il tutto alla filosofia di Nietzsche, possiamo vedere in modo abbastanza chiaro un grande disegno che, pur facendo del caos il suo leitmotiv, trova la quadra del cerchio.
Come suggerito dalle dolenti parole cantate da Jim Morrison, in Apocalypse Now siamo al cospetto di una fine; se in 2001: Odissea nello spazio ammiravamo l’alba dell’umanità, qui ne contempliamo il rosso tramonto. Con lo spirito turbato siamo arrivati alla fine del fiume, dove tutti i concetti espressi dalla mente razionale vengono nullificati e ridotti a vuote parole.
Arriviamo al colonello Kurtz (Marlon Brando), forse uno dei pochi personaggi della storia del cinema a rispettare quasi del tutto ogni paradigma della filosofia nietzschiana. Lui si è reso conto che in una situazione estrema, come la guerra, ogni architettura mentale, precostituita dalla morale, è completamente inutile. Gli occidentali sono i “buoni”, eppure massacrano donne e bambini col napalm mentre ascoltano Wagner. Gli americani si vantano di avere una morale superiore, eppure incappano in paradossi significativi.
Kurtz: «Noi addestriamo i giovani a scaricare napalm sulla gente, ma i loro comandanti non gli permettono di scrivere “cazzo” sui loro aerei perché è osceno».
Quindi Kurtz è consapevole dei limiti della morale e li supera, arrivando alla trasvalutazione dei valori. Si rende conto che le sue azioni non sono affatto una risposta al male dilagante, anzi semmai ne sono un propulsore; ma è il suo non considerarsi moralmente superiore ad altri, come fanno gli americani, che lo rende di fatto superiore da un punto di vista spirituale. Kurtz ha guardato dentro l’abisso ed è diventato, per chiunque lo incontri, egli stesso l’abisso.
Blade Runner – La ricerca di un dio che non esiste
Tra i tanti rimandi filosofici che costituiscono Blade Runner possiamo trovare anche Nietzsche, e in particolare il concetto fondamentale del “Dio è morto”. Il gruppo di replicanti guidato da Roy Batty (Rutger Hauer) sta cercando disperatamente di raggiungere la Tyrell Corporation, per incontrare il loro creatore. Il signor Tyrell può essere considerato a tutti gli effetti un dio, agli occhi di Roy e dei suoi compagni, in quanto lui può creare la vita e impiantare ricordi. Il motivo che spinge i replicanti a incontrare il loro padre-creatore è dato dal fatto che stanno esaurendo la loro energia vitale e presto moriranno, essendo stati programmati per avere una durata limitata.
Roy, così desideroso di continuare ad assaporare l’esistenza, riesce a incontrare Tyrell, ma l’esito dell’incontro non sarà affatto quello sperato. Tyrell confessa che non c’è nulla da fare per allungare la vita di Roy. Nonostante sia a tutti gli effetti un dio che crea, anche lui deve sottostare entro alcuni limiti (forse perché esiste un dio ancora superiore a lui). Roy, apprendendo questa notizia, contempla l’avvicinarsi della sua fine, non prima però di aver ucciso suo “padre”, quel Dio che si è scoperto, con grande rammarico, non esistere affatto.
«Avete sentito di quel folle uomo che accese una lanterna alla chiara luce del mattino, corse al mercato e si mise a gridare incessantemente: “Cerco Dio! Cerco Dio!”. E poiché proprio là si trovavano raccolti molti di quelli che non credevano in Dio, suscitò grandi risa. […] Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso!».
(F. Nietzsche, “La gaia scienza”)
Matrix – La volontà di potenza come manifesto degli impulsi
Tra le innumerevoli fonti di ispirazione che hanno dato vita a Matrix, c’è anche quella del nostro filosofo. Analizzando la trama e i simboli che compaiono in essa, troviamo un uomo, dormiente e sognante in un mondo fittizio, che si risveglia e cambia drasticamente percezione. Una volta che Neo viene liberato dalle sue catene mentali, si rende conto che tutto ciò che ha sempre creduto essere vero è in realtà falso. Ed è così che il mondo vero finì per diventare favola. Inoltre, la società messa in piedi dalle macchine non solo è illusoria, ma anche crudele e dittatoriale. È una distopia, un mondo fatto di regole che limitano gli impulsi, controllano le menti, e sopprimono qualunque reazione genuinamente umana (il dionisiaco).
E contro questo mondo si è organizzata una ribellione; un gruppo di persone risvegliatesi da quel sogno, che sempre di più aveva assunto le fattezze di un incubo, hanno deciso di opporsi a tutto questo. Neo fa parte di questa schiera di combattenti, e la filosofia nietzschiana si manifesta in lui nella famosa scena delle due pillole. Neo viene informato delle conseguenze nel caso in cui scelga di prendere la pillola rossa, e lui sceglie di prenderla. Si attua la volontà di potenza, l’«io voglio» sovrasta l’«io devo».
«La piena irresponsabilità dell’uomo per il suo agire e per il suo essere è la goccia più amara che chi persegue la conoscenza deve inghiottire».
(F. Nietzsche, “Umano, troppo umano”)
Matrix come altri innumerevoli film distopici è una battaglia volta alla conquista del libero arbitrio. Tutte le soluzioni chiave che si manifestano nell’intera trilogia, come le profezie, si compiono grazie alle scelte. E il tema dello spirito libero era molto caro a Nietzsche, oltre che a essere un requisito fondamentale per l’elevazione dell’uomo. Tuttavia, nello Zarathustra, all’«io voglio» l’«io sono», ma questa è tutta un’altra storia.
Memento – L’eterno ritorno tra due cerchi concentrici
Con Memento tocchiamo ancora una volta uno dei temi più famosi del pensiero di Nietzsche, ovvero l’eterno ritorno dell’uguale. Questo è un film che ha come nucleo centrale la manipolazione del tempo. La memoria a breve termine di cui soffre il protagonista diventa l’efficace MacGuffin che porta avanti non solo la storia, ma l’intero concetto del film.
Leonard (Guy Pearce) è alla ricerca disperata dell’assassino della moglie. Il suo processo di analisi delle prove raccolte è però ostacolato dalla sua malattia. Ogni quindici minuti i suoi ricordi svaniscono e Leonard dovrà ingegnarsi affinché il suo lavoro non si resetti ogni quarto d’ora. Il suo mondo è quindi un eterno presente, dal quale potrebbe svincolarsi solamente dopo aver scoperto l’identità dell’assassino. La spasmodica ricerca è diventata, per Leonard, la raison d’être, l’unica ancora della mente per restare ormeggiati nei porti del reale.
Tuttavia quando termina la storia, che ci viene mostrato all’inizio del film, Leonard perde la sua raison d’être, e realizza che rimarrà per sempre condannato a vivere in questo eterno ritorno senza alcuna modifica. Ecco perché Leonard, dinanzi alla prospettiva di un’esistenza svuotata, concepisce il desiderio del “non ricordare”. Leonard sceglie di vivere nell’oblio dell’eterno ritorno. L’assassino di sua moglie non dovrà mai essere scoperto, e la sua ricerca dovrà continuare per sempre.
Ma anche in questo caso Leonard è intrappolato in un eterno ritorno. Non possiamo escludere che Leonard ripercorrerà gli stessi passi che ha percorso in precedenza, arrivando di nuovo alla soluzione del mistero e formulando ancora la sua conclusione del “dimenticare”. L’esistenza di Leonard è condannata a vagare a ridosso di “due eterni ritorni”, come se fossero due cerchi concentrici posti l’uno dentro l’altro.
Eternal Sunshine of the Spotless Mind – Tra memoria e oblio
Anche in questo caso si parte dalla fine di una storia, che diventa automaticamente l’inizio di un’altra. Joel (Jim Carrey) e Clementine (Kate Winslet) si incontrano in modo fortuito, si conoscono, si scoprono attratti l’uno dall’altra. Quante persone hanno incontrato l’anima gemella in questo modo. Eppure, Joel e Clementine non sono una coppia normale. Loro due si erano già incontrati prima. Si erano già conosciuti e si erano già innamorati. Erano già stati insieme, avevano già condiviso momenti da favola, danzando e ridendo tra il vento di un’idilliaca felicità. E, infine, avevano condiviso anche quei momenti che spesso non si ha piacere nel ricordare. Per alcune coppie sono proprio le situazioni difficili a rafforzare un rapporto, ma per Joel e Clementine non è stato così. Dopo la fine della loro storia entrambi decidono di eliminare i loro ricordi grazie a innovativi metodi scientifici.
Ancora il ricordo, dunque. Il ricordo che ferisce con il suo irraggiungibile stato di evento passato e irripetibile. La memoria che condanna lo spirito a uno sguardo nostalgico verso uno ieri lontano, distraendolo da quel presente che è così fondamentale vivere.
«L’uomo si meraviglia di se stesso, di non poter imparare a dimenticare e di rimanere attaccato al passato. Allora l’uomo dice: “Mi ricordo” e invidia l’animale che dimentica immediatamente e che vede davvero ogni attimo morire, sprofondare nella nebbia e nella notte, estinguersi per sempre».
(F. Nietzsche, “Considerazioni inattuali”)
Tuttavia, i ricordi sono anche specchi di noi stessi. Spesso ricordiamo gli avvenimenti come ci suggerisce la nostra mente, senza badare al fatto che le cose potrebbero anche non essere andate così. I ricordi ci definiscono e, volendo credere a una visione deterministica della vita, alcune anime sono destinate a unirsi per sempre. Ecco perché Joel e Clementine decidono di riprovare, praticando quella dolce arresa al sentimento. Decidono di cercare un’armonia tra memoria e oblio, concentrandosi sull’eterno presente, con la speranza di scoprire che anche la felicità può avere le fattezze dell’eternità. Consapevoli che la loro storia finirà, consapevoli dell’arrivo ma smemorati del viaggio, Joel e Clementine decidono di riprovarci, decidono di essere nel divenire, di amare il proprio destino. O, come direbbe Nietzsche, amor fati.
Il petroliere – La coscienza sottomessa all’istinto
Nel capolavoro firmato di Paul Thomas Anderson troviamo concetti, già espressi in precedenza da altri film, estremizzati nel personaggio di Daniel Plainview (Daniel Day-Lewis). Lui rappresenta l’archetipo dell’imprenditore, compra una terra e si arricchisce con il petrolio. Lentamente però il suo interesse per il mondo che lo circonda, e per le persone che lo abitano, svanisce e Daniel viene inghiottito da quell’abisso oscuro, magistralmente simboleggiato dai pozzi petroliferi.
Se però il personaggio di Charles Foster Kane (anche lui un capitalista) vive la sua solitudine come una condanna, come un danno collaterale dovuto alla sua ambizione, Daniel Plainview non si pone questo problema. Anzi, lui è contento del suo isolamento e fa di tutto per allontanare chi gli è rimasto vicino.
Daniel Plainview: «Alcune volte io guardo le persone e non ci trovo niente di attraente. Voglio guadagnare così tanto da poter stare lontano da tutti».
Lui rappresenta l’eterno individualista, che con i suoi mezzi si oppone ai suoi avversari. La sua condizione e il suo desiderio lo caratterizzano come essere al di là del bene e del male. La piena consapevolezza delle sue azioni, il superamento delle barriere morali, la sua completa devozione al dionisiaco, rendono Daniel il superuomo perfetto, lo stesso preannunciato da Zarathustra.
«Al nostro istinto più forte, al tiranno che è in noi, non si sottomette solo la nostra ragionevolezza, ma anche la nostra coscienza».
(F. Nietzsche, “Al di là del bene e del male”)
Antichrist – La natura e la chiesa malvagia
In questo caso la presenza di Nietzsche è implicita già nel titolo, che richiama il celebre saggio scritto dal filosofo (L’Anticristo). Lars von Trier fonde in questo film le parole di Nietzsche con le sue ossessioni e le sue fragilità. Antichrist è infatti il primo film della “trilogia della depressione”, in cui il maestro danese ha riversato, in modo catartico, tutte le sue paure.
In un modo quasi panteistico, Lars von Trier rievoca la morte di Dio con la morte di tutto ciò che attornia i personaggi. «La natura è la chiesa di Satana» è un concetto fortissimo che viene espresso dalla protagonista (Charlotte Gainsburg), portandosi sulle spalle il peso di un lutto. E in questo aspetto possiamo trovare un ponte ideologico con il pensiero nietzschiano. Nietzsche accusava la chiesa di corruzione, soprattutto spirituale.
«La chiesa cristiana non ha lasciato intatto niente nel suo pervertimento, ha fatto di ogni valore un non-valore, di ogni verità una menzogna, di ogni onestà un’abiezione dell’anima».
(F. Nietzsche, “L’Anticristo”)
Lars von Trier vede la natura, cioè il mondo, come una chiesa priva di ogni conforto, quindi malvagia. In tutto questo troviamo il nichilismo della coppia, soprattutto di lei, che causerà atti di violenza, di morte e, forse, di rinascita. Dunque, troviamo ancora una volta “l’eterno ritorno”, anche da un punto di vista formale; sia il prologo che l’epilogo del film sono in bianco e nero, scanditi entrambi dalla dolente Lascia ch’io pianga di Hendel. E in entrambi i casi si gioca con i dualismi di amore/morte e odio/vita.