Il cigno nero e René Girard – Desiderare se stessi
Thomas: «La storia la conosciamo tutti. Una giovane, dolce e pura, prigioniera nel corpo di un cigno, desidera la libertà, ma solo il vero amore spezzerà l’incantesimo. Il suo sogno sta per realizzarsi grazie a un principe. Ma prima che lui le dichiari il suo amore, la gemella invidiosa, il cigno nero, lo inganna e lo seduce. Devastata, il cigno bianco si getta da un dirupo e si uccide e nella morte ritrova la libertà».
Il lago dei cigni di Tchaikovsky è un’opera che, in fin dei conti, parla del desiderio. Non solo del singolo desiderio di un personaggio, ma dell’intera nozione di desiderio. Attraverso quest’ultimo, i personaggi si evolvono, compiono azioni e assistono alle drammatiche conseguenze delle stesse. Amore, gelosia, libertà, ossessione, inganno. Questi sono i principali strumenti che sono messi in moto da un semplice desiderio. Queste, allo stesso tempo, sono tutte le armi che possono far sì che anche il sogno più vicino possa frantumarsi per sempre.
Il lago dei cigni è tutto ciò. Dunque, se è possibile definire Il lago dei cigni un manifesto del concetto di desiderio, per poterlo portare in scena degnamente è necessario desiderare.
La giovane e fragile Nina (Natalie Portman) è conscia di tutto ciò. Se c’è una persona che ha capito fino in fondo l’essenza del capolavoro di Tchaikovsky, è proprio lei. Nel corso degli anni la sua dedizione è stata totale, tanto da non aver sviluppato nessuna personalità a eccezione dell’algida ballerina rivestita di gelida perfezione. Ma questo non basta. L’esecuzione più corretta non è abbastanza. Serve qualcosa di più. Serve la provocazione, l’innesto del desiderio.
Odette, il cigno bianco, desidera la libertà. Libertà che potrà ottenere solo attraverso l’affascinante principe Siegfried. Odette, il soggetto. Siegfried, il mediatore. La libertà, l’oggetto del desiderio. Un triangolo amoroso. Un triangolo mimetico del desiderio.
René Girard e il triangolo mimetico ne Il lago dei cigni
Il lago dei cigni, come tutte quelle opere che ruotano attorno al desiderio, rispetta il paradigma dettato dall’antropologo francese René Girard: bramare qualcosa o qualcuno fa parte della natura umana. Chiunque, nella sua vita, ha desiderato almeno una volta. Questo atto, il desiderare, non solo è inevitabile, ma anzi definisce un essere umano come tale.
Partendo da questo assunto, Girard si spinge oltre, provando a ragionare sulla natura di questa componente così importante. La conclusione a cui arriva il brillante antropologo è che il desiderio abbia un carattere di tipo mimetico: una condizione necessaria affinché il desiderio si manifesti è la presenza dell’imitazione. Nello specifico, considera l’imitazione di ciò che si desidera essere, di ciò che si ambisce a diventare. [Girard e la sua filosofia possono essere approfonditi qui].
Ne Il lago dei cigni, il cigno nero Odile, figlia del malefico mago Rothbart, seduce Siegfried fingendosi Odette. Lo conquista attraverso un chiaro atto di imitazione. E proprio per colpa di questo inganno, la tragedia finale, la morte della purissima Odette, è inevitabile. Girard infatti sostiene che tutti i mali di questo mondo siano causati dalle rivalità mimetiche: più individui desiderano la stessa cosa e la pretendono solamente per sé.
Il cigno nero e i ruoli del triangolo
Il cigno nero di Darren Aronofsky, avendo al centro proprio Il lago dei cigni, non può esimersi dal rielaborare il concetto di desiderio. Il film è infatti un’opera che vive di suggestive ambivalenze. Nina è Odette, perfetta, dolce, ingenua. Si innamora di Thomas (Vincent Cassel), il suo direttore artistico, il suo principe. Infine abbiamo Lily (Mila Kunis), l’esatta controparte di Nina, che raffigura la più provocante e perversa Odile. Ancora una volta, il triangolo mimetico.
Tuttavia Il cigno nero sviluppa qualcosa di molto più intrigante del semplice creare affascinanti ambiguità tra un’opera e i personaggi che la mettono in scena. Man mano che la storia prosegue, avvengono rivoluzioni che sconvolgono gli schemi prestabiliti e che rendono il film di Aronofsky un’opera di ossessionante fascino. L’oggetto del desiderio di Nina è Thomas. Lui la sprona, con metodi spesso discutibili, a dare il meglio. Lei acconsente per amore.
Thomas: «Questa volta sono io che ho sedotto te. Deve essere il contrario».
Gradualmente, con l’arrivo di Lily e con la competizione mimetica che si instaura con lei, qualcosa cambia. Nina diventa ossessionata dalla sua antitesi. Comincia a notare la sua presenza ovunque. Tenta in ogni modo di compiacerla. Fantastica sui rapporti carnali che le piacerebbe avere con lei. In altre parole, la desidera. La desidera e, quindi, la imita. Lily diventa dunque l’oggetto del desiderio e Thomas comincia a perdere la sua influenza sulla fragile psicologia di Nina.
Lily: «Cosa ne dici se danzassi il cigno nero per te?».
Questo sovvertimento si sposa perfettamente con le dinamiche narrative presenti nel film. Nina deve interpretare, come da tradizione, sia il cigno bianco sia quello nero. Ma se ha dimostrato di essere una perfetta Odette, lo stesso non si può dire della sua interpretazione di Odile. Deve avvenire una metamorfosi. Le piume devono veder cambiare il proprio colore. Nina deve farsi desiderare e, per arrivare a questo, lei stessa deve imparare a desiderare correttamente.
Attraverso il desiderio lei imita. Imita l’unica persona che può donarle ciò che le manca: Lily. Imita i suoi atteggiamenti, la sua sfacciataggine. Ne assorbe quasi i tratti fisionomici, per far sì che la metamorfosi finale, quella da sedotta a seduttrice, avvenga nella perfezione più assoluta.
Superare Girard, desiderare se stessi
L’ultimo stadio di questo triangolo mimetico dai ruoli sfuggenti è quello in cui Nina, avendo vestito con così seducente e perversa perfezione le vesti e la psicologia del cigno nero, diventa lei stessa oggetto del desiderio. Colei che è desiderata dagli altri, ma anche da se stessa.
Vi è quindi una potente sovversione delle teorie di Girard. Dopo essere diventata Odile, in quei brevi attimi che la separano dalla rovina, Nina non desidera altro che rimanere se stessa. Compie e nullifica allo stesso tempo il concetto di desiderio. Lei è diventata ciò che ha imitato. Ha raggiunto ciò che ha sempre desiderato: la perfezione. È riuscita a rompere gli specchi della mente per fuggire per sempre dalle gabbie psicologiche sviluppate nel corso degli anni. Ha assassinato quella personalità gentile e traumatizzata, costruita dalla gente che le stava intorno.
Nina, da sempre così insicura delle sue capacità, muore in un abisso di oscuro narcisismo. Contempla la sua nuova forma e compie un ultimo eterno atto di desiderio, prima che la dissolvenza di luce congeli per sempre il momento.
Non c’è nient’altro da desiderare oltre questo. Cosa si può volere di più della perfezione? Il triangolo mimetico si rompe. Il teorema perde la sua validità. Il paradigma cessa la sua declinazione. L’umanità, infine, collassa. Perché se è vero, come afferma Girard, che il desiderio definisce l’essere umano, la sua assenza ne sancisce la fine.
Nina conclude così il suo percorso. Commossa dallo stadio sovrumano appena raggiunto e pronta per l’oblio di luce che l’attende, ha ottenuto la libertà, la stessa desiderata da Odette. Una libertà che sa di morte. Un sacrificio che conclude un rito violento. Una violenza che ha le stesse sembianze del sacro.