I Racconti di Canterbury – Sacralità e sesso secondo Pasolini

Alessia Di Rella

Aprile 30, 2022

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«Quando ad aprile cadono le dolci piogge
e trafiggono la siccità di marzo fino alla radice, ed ogni
vena è bagnata nel liquore di tanta potenza
che porta i fiori alla vita,
quando anche Zefiro con il suo respiro dolce
espira un’aria in ogni boschetto e brughiera
sui teneri germogli, e il giovane sole
ha passato la sua metà del cammino in Ariete,
ed i piccoli uccelli stan facendo melodia
che dormon via la notte con l’occhio aperto
(così la natura li punge nei loro cuori occupati)
pertanto la gente parte lontano in pellegrinaggio,
e coloro che desiderano ardentemente cercare i fili degli estranei,
di santi lontani, santificati in terre diverse,
e soprattutto, da ogni fine di contea,
in Inghilterra, scendono a Canterbury
per cercare il santo benedetto martire, che rapido
prestò loro il suo aiuto quando eran malati».

(Prologo de I Racconti di Canterbury)


I racconti di Canterbury o The Canterbury Tales di Geoffrey Chaucer (1330-1400), pietra miliare nella
storia della letteratura inglese, costituiscono una raccolta di racconti limitati narrativamente da un prologo – il più celebre della letteratura inglese – e da una ritrattazione nella quale l’autore rinnega tutte le sue opere precedenti e dichiara di volersi occupare unicamente della salvezza della propria anima.

Nel prologo si narra di un gruppo di ventinove pellegrini, al quale si aggiunge il pellegrino-narratore Chaucer, che si riuniscono in una giornata d’aprile presso la Tabard Inn, una locanda nei pressi di Londra, prima di proseguire verso Canterbury, dove pregheranno presso la tomba del Santo martire Thomas Becket.

L’oste della locanda, al fine di scacciare la fatica e la noia del viaggio, propone ai pellegrini di narrare delle storie. Ventiquattro tales differenti per varietà di linguaggio, protagonisti e situazioni che condividono però alla base la stessa idea: la cristiana consapevolezza dell’umana imperfezione.

Mettere in luce i tratti caratteristici del capolavoro di Chaucer diventa fondamentale per comprendere quanto profondamente questi siano stati ribaltati e posti sotto una nuova luce nell’adattamento cinematografico dell’opera a cura di Pier Paolo Pasolini.

Linguaggio come espressione ideologica ne I Racconti di Canterbury

I Racconti di Canterbury
Geoffrey Chaucer interpretato dallo stesso Pier Paolo Pasolini ne I Racconti di Canterbury

«Voglio divertirmi e divertire. Voglio far rivivere un mondo popolare che si sta perdendo completamente e voglio ridare agli spettatori, attraverso le mie colorite ricostruzioni storiche, il gusto dell’immagine. Implicitamente, poi, io credo che questi miei film finiscano con l’essere anche politici, proprio perché vanno controcorrente alla moda, sbagliata e ipocrita, dei film impegnati e politicamente qualunquisti».

(Pier Paolo Pasolini, 1972)

La seconda pellicola della Trilogia della Vita non ha la pretesa né tantomeno l’intenzione di riprodurre accuratamente su pellicola ciò che era contenuto nei tomi dell’opera letteraria. Piuttosto, Pasolini utilizza i racconti di Chaucer – selezionandone solo otto – per esprimere una propria idea sul presente, attraverso una ricostruzione poetica del passato.

La scelta degli otto racconti tra i ventiquattro non è casuale: Pasolini sceglie di narrare storie che alla base abbiano dei forti rimandi alla tradizione dei satirici e osceni fabliaux, mettendo in tal modo da parte tutti quelli di rimando all’elegante e solenne romance.

Laura Betti nel ruolo della Comare di Bath

A differenza di Chaucer, il quale eleva o abbassa il linguaggio adottato a seconda della posizione sociale che rivestono i protagonisti del racconto, Pasolini tende a mantenere un registro prettamente popolare, talvolta scurrile, indipendentemente dal soggetto al centro della scena. Tale scelta fa naturalmente risaltare la bassezza morale e la prepotenza dei ceti socialmente più elevati, riconoscibili soltanto per le loro vesti variopinte ed eccessivamente appariscenti (a cura del costumista Danilo Donati).

Ulteriore conseguenza dell’utilizzo di un linguaggio basso, strettamente legato alla strada, è quello di mettere in luce quel mondo che non è stato ancora colonizzato dal predominio della classe borghese, dal suo linguaggio, dal suo perbenismo e dalla sua dittatura ideologica. Nella versione originale della pellicola, girata nel Regno Unito, possiamo notare le diverse varietà dialettali del luogo – dal cockney londinese allo scozzese – associate a volti “di vita”. Nella versione italiana della pellicola l’autore ha scelto di far doppiare il film in accento bergamasco da attori non professionisti.

Il corpo come espressione ideologica

Anche in questo film, infatti, fatta eccezione per alcuni collaboratori fedelissimi del regista – Franco Citti nel ruolo del Diavolo e Ninetto Davoli nei panni di Perkin – e di Josephine Chaplin, figlia del leggendario Charlie, la maggior parte del cast è stato scelto girovagando per le strade inglesi.

I Racconti di Canterbury con Ninetto Davoli
Ninetto Davoli nel ruolo di Perkin il Buffone

Elemento predominante, nonché tema centrale della pellicola è la sessualità in tutte le sue sfaccettature. Dall’amore adulterino a quello omosessuale, dalla ninfomania alla violenza sessuale, lo spettatore è perennemente messo di fronte al corpo nudo. Un corpo nudo che, per Pasolini, parla. La nudità e il sesso ci raccontano di una terra non ancora calpestata dall’avanzare dell’ideologia piccolo-borghese.

«In un momento di profonda crisi culturale (gli ultimi anni Sessanta), che ha fatto (e fa) addirittura pensare alla fine della cultura – che infatti si è ridotta, in concreto, allo scontro, a suo modo grandioso, di due sottoculture: quella della borghesia e quella della contestazione ad essa – mi è sembrato che la sola realtà preservata fosse quella del corpo».

(Pier Paolo Pasolini, 1973)

Ecco allora che i due autori, Chaucer e Pasolini, si incontrano: l’uno aspira al sacro, l’altro lo riconosce nel più umano degli istinti. La sacralità dei corpi che si uniscono. Per Pasolini è questa la forza della sua pellicola. Come egli stesso affermerà «i rapporti sessuali mi sono fonte di ispirazione anche proprio di per se stessi, perché in essi vedo un fascino impareggiabile e la loro importanza nella vita mi pare così alta, assoluta, da valer la pena di dedicarci ben altro che un film».

Josephine Chaplin nel ruolo di May, protagonista del racconto del Mercante

L’atto sessuale è un bene da preservare dagli attacchi dei benpensanti e dai critici che – continua il regista – « rimuovendo dai miei film il sesso, hanno rimosso il loro contenuto, e li hanno trovati dunque vuoti, non comprendendo che l’ideologia c’era, eccome, ed era proprio lì, nel cazzo enorme sullo schermo, sopra le loro teste che non volevano capire».

I contrasti tra Chaucer e Pasolini

L’incipit de I Racconti di Canterbury

I Racconti di Canterbury prende le distanze, fin dai primi minuti, dall’opera originale, contrapponendo all’incipit di Chaucer – inno alla rinascita e alla vita – un canto popolare napoletano, non certo sconosciuto ai più attenti cultori del cinema pasoliniano: Fenesta ‘ca lucive – già intonata in Accattone e ne Il Decameron – narra della prematura e improvvisa scomparsa di una fanciulla. Cantata da uno dei pellegrini, costituisce il prologo pasoliniano ai racconti. Alla vita decantata da Chaucer si contrappone la morte in tutta la sua potenza e crudeltà.

I personaggi de I Racconti di Canterbury

Gli strati della società presenti nei racconti e nel gruppo di pellegrini di cui Chaucer canta sono appartenenti a tre classi sociali: cavalieri, parroci e contadini. Chaucer tralascia di rappresentare le punte estreme dello spettro sociale del suo tempo. Non un nobile, ma un cavaliere. Non uno schiavo, ma un libero lavoratore della terra. In tal modo è come se ammettesse che il ceto di mezzo, proto-borghese, al quale egli stesso apparteneva, fosse il più dinamico e vivace del suo tempo.

Pasolini non muta i tratti sociali dei personaggi chauceriani, ma ne esaspera le caratteristiche, fino a farli diventare, agli occhi dello spettatore, macchiettistici esponenti della nobiltà o contadini sottomessi.

L’epilogo de I Racconti di Canterbury

Come accennato in precedenza, l’opera di Chaucer si chiude per mezzo di una ritrattazione nella quale rinnega tutte le sue opere precedenti, dichiarando di volersi occupare unicamente della salvezza della sua anima. Secondo Chaucer, è venuta a mancare la prospettiva di salvezza eterna in un viaggio orizzontale che attraversa l’imperfezione della materia. Non gli resta dunque che il viaggio spirituale e verticale verso Dio.

Di ben altra natura può definirsi l’epilogo dei racconti pasoliniani, narrati per il puro piacere di raccontare, come marcherà su carta lo stesso Chauser-Pasolini.

Epilogo de I racconti di Canterbury

L’Abiura dalla Trilogia della Vita

Scritta il 15 giugno 1975 e successivamente pubblicata sul “Corriere della Sera”, Abiura dalla «Trilogia della Vita» non è altro che l’estrema e inevitabile conseguenza delle vicende socio-politiche e delle persecuzioni giudiziarie che si sono presentate all’autore nel corso dei tre anni che separano questo scritto dall’uscita del film.

Nella prima lettera luterana, Pier Paolo Pasolini dichiara di voler abiurare dalla Trilogia della Vita, benché non si penta di averla fatta. Cosa lo spinge a tal gesto ? Il totale rovesciamento dei costumi dell’Italia della metà degli anni ’70.

Come spiega lo stesso Pasolini: «la lotta progressista per la democratizzazione espressiva e per la liberalizzazione sessuale è stata brutalmente superata e vanificata dalla decisione del potere consumistico di concedere una vasta (quanto falsa) tolleranza. […] Anche la “realtà” dei corpi innocenti è stata violata, manipolata, manomessa dal potere consumistico: anzi, tale violenza sui corpi è diventato il dato più macroscopico della nuova epoca umana […], le vite sessuali private (come la mia) hanno subito il trauma sia della falsa tolleranza che della degradazione corporea, e ciò che nelle fantasie sessuali era dolore e gioia, è divenuto suicida delusione, informe accidia».

La sacralità del corpo è venuta meno. Il presente che ha portato a tale degenerazione ha distrutto anche il passato: perchè quegli stessi corpi e quello stesso sesso che ora sono degenerati, degradati, mercificati e svalutati, lo erano già prima, in potenza.

Abiura dalla Trilogia dalla Vita è un requiem che nessun Dio può udire. È un mea culpa senza pentimento. È la dichiarazione di resa incondizionata, di adattamento alla degradazione, di accettazione dell’inaccettabile.

L’ultima terra incontaminata è stata conquistata dal potere e dalla sua cultura. Pasolini alza bandiera bianca. Non gli resta altro che Salò.

Leggi anche: Pier Paolo Pasolini e la censura

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