Gli sguardi introspettivi di Parigi, 13Arr.

Giulia Pilon

Maggio 18, 2022

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È difficile immaginare che un film come Parigi, 13Arr. (Les Olympiades) rechi con sé la firma di un regista come Jaques Audiard. Lo stesso autore di drammi come Dheepan – Una nuova vita (2015), Il Profeta (2009), Tutti i battiti del mio cuore (2005), Sulle mie labbra (2001).

Eppure, Jaques Audiard sorprende per l’audacia con cui si lancia in un’avventura sentimentale e intimista come questa sua ultima pellicola. Un film che pullula di tinte indie e di sguardi introspettivi, che rilasciano un dolce sapore di vicinanza.

Parigi, 13Arr., dunque, è distante per tematiche e stile ai lavori precedenti di Audiard.

Presentato in concorso alla 74esima edizione del Festival di Cannes, è una storia molto semplice, lineare, che si presenta fin dall’inizio nella sua limpidezza narrativa. Tre personaggi, tre storie, destini incrociati. Tre percorsi (più uno, quello di Amber, comprimaria) di (ri)scoperta personale interconnessi tra di loro. Uno sguardo a una generazione di mezzo, in qualche modo limbica, alle sue autorappresentazioni, alle sue espressioni, alle sue caratterizzazioni.

Emilie, Camille e Nora fluttuano sulle loro stesse vite, prede di istinti inconsulti compiono scelte, incespicano, tentando dunque di cercarsi, di trovare il loro vero Io.

Tutto ruota attorno a les Olympiades, appunto, un quartiere di Parigi.

Ecco, Parigi.

parigi, 13Arr.
Gli attori sul set con il regista Jaques Audiard

Audiard sceglie solo tre delle miriadi di storie che la città accoglie nel suo grembo materno, suggerendoci proprio questo con la macchina da presa che inquadra per bene il circostante. Quella di Emilie, Camille e Nora sono prototipi di personaggi, adatti all’immedesimazione poiché estremamente comuni, ma non per questo banali.

La natura del film rispecchia quella del suo originale, il fumetto (di Adrian Tomine), dalla forte tendenza episodica. D’altronde, fumetto e cinema comunicano con (quasi) lo stesso tipo di linguaggio l’immagine, e per questo la macchina da presa, qui, si fa carico dell’espressione di significati. Dalla scelta dell’inquadratura al montaggio, tutto concorre alla creazione di un affresco di amore moderno, raccontato attraverso la storia di tre ragazzi.

Il bandolo della matassa, allora, non risiede nella narrazione in sé, una storia stupefacente o sorprendente, bensì nel personaggio, nel suo evolversi, nel suo prendere vita.

Per questo motivo Parigi 13Arr. rassomiglia un po’ a un Bildungsroman, che costruisce i suoi abitanti pian piano.

Audiard abbraccia uno stile intimista e introspettivo – unica giustificazione, forse, per il bianco e nero – volto a sondare il giovane animo di Nora, Camille ed Emilie.

In tutti e tre si ravvede un tema fondamentale, quello della crescita e dell’amore. Il regista tenta di raccontarci le forme che l’eros può assumere ritraendo tre ragazzi in una fase liminale della loro vita. Tutti e tre, infatti, presentano una certa tendenza a rimanere ancorati a un’idea di sé che in qualche modo inizia a non coincidere più con ciò che li circonda. Emilie dovrebbe abbandonare l’appartamento della nonna inferma e trovare un focus di vita. Camille dovrebbe slegarsi dal mito di machismo che si costringe a portare avanti e costruire dei rapporti più saldi con le donne. Nora dovrebbe elaborare dei traumi passati, lasciarsi andare a una vita più sua, che le appartenga maggiormente.  

Insomma, tutti sembrano in qualche modo sospesi in uno status limbico tra passato, presente e futuro. «Che cosa ho fatto della mia vita, che cosa sto facendo, e che cosa farò?».

Nora e Camille in un frame del film

Tutti i protagonisti esperiscono qualcosa di inaspettato che dovrebbe assurgere a svolta e detonatore di cambiamento ma che finisce per creare soltanto un effetto domino. Emilie si innamora del suo nuovo coinquilino, Camille, che incontra Nora e se ne innamora, che incontra Amber e se ne innamora. Ma, in qualche modo, nessuno di loro si accorge della portata di tale svolta, negando la possibilità di evoluzione e, conseguentemente, anche una parte di sé.

Lo sguardo di Audiard, in tutto questo, si pone come sonda scandagliatrice di qualcosa di latente e recondito. Tra le tre vite di giovani, che scorrono parallele e alternate, si respira un costante erotismo e sensualità. Gli sguardi, le carezze, i movimenti, tutto riporta al sesso. Complice forse la mano di Cèline Sciamma, reduce dal suo lodato Ritratto di una giovane in fiamme e il nuovo Petite Maman, che riesce a trasmettere un senso occulto di eros con pochi gesti.

Camille: «Perché sei così insicura di te?».

Nora: «Sei carino. Sei gentile. Sei dolce».

Camille: «Non hai risposto alla mia domanda».

Nora: «Grazie, soltanto grazie».

La riflessione, dunque, è incentrata sul microcosmo giovanile, e la facilità con cui esso si perde tentando di cercarsi ovunque. Emblematico in questo senso il personaggio di Nora, che prova a inserirsi in diversi contesti, puntualmente però cadendone preda, e perdendo il senso stesso della ricerca. Così come Emilie, costantemente persa nella sua stravaganza. Camille, pertanto, a livello attanziale, rappresenta il punto di congiunzione tra le due, il crocevia grazie al quale riescono a bloccarsi e, insieme, sbloccarsi. Smuoversi dalle loro convinzioni.

parigi, 13Arr.
Camille ed Emilie in un frame del film

Parigi 13Arr., allora, si presenta come un affresco moderno e contemporaneo d’amore.

Che riesce sì a farsi percepire vicino, ma resta comunque incerto, quasi incompleto, lasciando lo spettatore con l’amaro in bocca. Per quasi due ore restiamo vicini a questi personaggi, li seguiamo nel loro percorso di (ri)scoperta, finendo poi col chiederci «sì, ma quindi?», un quesito dal sapore irrisoluto.

Forse Audiard si è sopravvalutato, forse no. Forse, Parigi 13Arr. è soltanto un modo per sperimentare l’introspezione, interpretare un mondo contemporaneo saturo di sfumature, dettagli, complicatezze nelle relazioni umane. Ciò che rimane è comunque un coraggioso – e dolce – slancio dalle tinte intimiste, che tenta di penetrare l’archetipo a cui i protagonisti dei personaggi fanno riferimento, senza però riuscirci fino in fondo. 

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