Esterno Notte Parte 2 – Fu tutto così grottesco?
È notte. I brigatisti dormono appollaiati sui divani dell’appartamento di Via Montalcini. Moro (interpretato da Roberto Herlitzka), in pigiama, esce dall’appartamento e si incammina, accompagnato dalle oniriche note di Shine on you crazy diamond. Così Bellocchio concludeva quel capolavoro di Buongiorno notte. Sarebbe potuta finire così la vera storia. Era una possibilità. Ma alla fine Buongiorno notte è un sogno e un sogno rimane.
È giorno. Viene annunciata la notizia del ritrovamento del corpo di Aldo Moro all’interno del bagagliaio di una Renault 4 rossa, in via Caetani, tra la sede del PCI e la sede della DC. Tra la folla si fanno strada le scintillanti macchine dei vari uomini politici. L’inquietudine, generata dalla musica, va crescendo. Tuonano tamburi, archi, coro e addirittura trombe.
Si combinano onirismo, epicità e inquietudine. Per infine sfociare nel violento Dies Ire di Verdi, che prorompe sulla scena mentre passa la carrellata di repertorio dei capi di stato al funerale di Moro.
Se la prima parte di Esterno Notte ci aveva lasciati con una latente inquietudine non solo per i fatti, ma soprattutto per le introspezioni psicologiche, la seconda parte trasuda di grottesco. Il giudizio finale sembra essere: “Fu tutto così grottesco”.
In diverse interviste Bellocchio ha voluto precisare la differenza tra il suo primo lavoro sul caso Moro ed Esterno Notte. Se per Buongiorno notte Bellocchio non mente dicendo che l’adozione del punto di vista interno dei brigatisti, seppur mitigato da una forte componente onirica, si avvicina all’ideologia, per Esterno Notte sente di aver assunto uno sguardo più distaccato, meno ideologico.
Forse per la pluralità dei punti di vista, forse per l’attenzione alle complesse dinamiche psicologiche dei protagonisti del caso Moro o forse, come dice durante un’intervista: «col tempo ho smesso di odiare. Il tempo modifica le percezioni».
Ma Bellocchio sa che qualsiasi ricostruzione, qualsiasi interpretazione, dunque la stessa ricerca delle fonti, non può essere assolutamente imparziale. In queste sei puntate, attraverso questi tragici trecento minuti, bisognava trovare un modo per raccontare una delle pagine più buie della storia italiana senza da una parte «rigirare il coltello in una ferita», come sostiene criticamente Maria Fida Moro, e dall’altra parte rispettando le dinamiche narrative cinematografiche che impongono una sana dose di intrattenimento, sempre tormentata dallo spettro della “spettacolarizzazione”. Insomma, come si dice, la storia va maneggiata coi guanti di velluto.
Ma come accontentare tutti? Bellocchio, dando una sensazione di grottesca rassegnazione attraverso questa seconda parte, ha cercato di ridare al pubblico la sensazione dell’italiano comune che, con un’angoscia sospesa, ha vissuto quei tragici cinquantacinque giorni.
I brigatisti e l’accettazione in Esterno Notte Parte 2
Adriana Faranda: «Tu non vuoi vincere, tu vuoi morire da eroe».
Valerio Morucci: «Noi siamo eroi perdenti. La missione è trasgredire».
La seconda parte della miniserie di Bellocchio sul caso Moro si struttura in tre capitoli come la prima. La prima parte racconta il punto di vista dei brigatisti, in particolare quello di Valerio Morucci (Gabriel Montesi) e Adriana Faranda (Daniela Marra). È venuto meno l’onirismo di Buongiorno notte, ma sono rimaste le tribolazioni psicologiche dei brigatisti protagonisti, soprattutto di Valerio e Adriana.
Quando Valerio sostiene che i brigatisti sono “eroi perdenti” non fa che affermare uno stato di rassegnazione. Mostra senza mezzi termini, discutendo energicamente con Adriana, la lotta ingaggiata dai brigatisti contro la politica, una lotta che continua per inerzia.
Sono entrambi spaventati, magari Adriana più di Valerio o magari semplicemente Valerio è più cosciente del disastro verso cui stanno andando incontro. Da una parte c’è l’allarme (Adriana), dall’altra c’è la rinuncia. Non rinuncia al progetto, rinuncia alla vittoria. A poco a poco lo spettatore comincia ad accettare, con le dovute precauzioni, lo smarrimento dei brigatisti. Non è una questione di empatia, si tratta di una tragica accettazione del corso degli eventi.
Esterno Notte Parte 2 – Eleonora Moro: una difficile speranza
Eleonora Moro: «Dite che è pazzo… Aldo deve morire».
Il secondo punto di vista è quello più triste e nervoso: la famiglia Moro, e in particolare la moglie Eleonora, interpretata da una sempre più magnetica Margherita Buy. Se tra i brigatisti serpeggiava la sensazione che l’operazione Moro sarebbe stata un disastro, ma che era l’unica cosa da fare, Eleonora non vuole pensare al finale.
Cerca di tenere sotto controllo la situazione, allontana la sua famiglia dai media, cercando di intervenire nelle operazioni di salvataggio pur dicendo di “lasciare lavorare la magistratura, che è competente”. Ma più passano i giorni più la speranza si affievolisce. Vorrebbe urlare, ma non lo fa. Non pensa che sarebbe inutile, ma sa che non avrebbe la forza per farlo.
Mentre parla in chiamata con uno dei brigatisti che le sta elencando le condizioni per la liberazione di Moro, lo ringrazia. Non sa come agire, è in preda a un panico che non deve mostrare. Dopo la chiamata va dai suoi figli e dice: “Ho chiesto scusa all’aguzzino di tuo padre”. È confusa, è distrutta, ma soprattutto sente la rassegnazione. E mentre all’interno delle mura domestiche l’aria si fa sempre più disperata, all’esterno le dinamiche politiche cominciano a volgere verso il grottesco.
Esterno Notte Parte 2 – Aldo Moro: un’umana paura
Aldo Moro: «Le chiedo al di là dell’Inferno, del Paradiso, della luce: cosa c’è di folle nel non voler morire?».
Un misto di preoccupazione e sconforto avvolge le ultime parole di Moro. Non vuole essere un eroe né pensa alla possibile evoluzione della sua immagine da vivo o da morto. Senza riserve dice al prete: «Io ho odiato e odio ancora i miei ex compagni di partito».
I pensieri di Moro non vanno più verso il grottesco mondo politico di cui ormai è certo di non poter più fare parte, a prescindere dall’esito del rapimento. Si è spogliato delle vesti di politico, non sente più la responsabilità perché come un cittadino italiano qualunque ha perso fiducia nelle istituzioni. Però è ancora tormentato.
Ha smesso di scrivere appelli per i suoi “odiati” compagni di partito, affinché facciano qualcosa per salvarlo. Ma non può accettare di morire col rimorso. È umanamente spaventato e attaccato alla vita. Non c’è nulla di pazzesco nel non voler morire. Ed è proprio questo suo umano attaccamento alla vita che ci distoglie da tutta quell’esterna grottesca dimensione politica.
È vero che la storia giudicherà i fatti, come scrive anche Moro in una lettera alla famiglia, ma il giudizio non può fermare la morte. E forse è proprio l’incapacità di comprendere la normale paura di un uomo di fronte alla morte, la necessità di una giustificazione da parte di Moro, a completare il grottesco quadro disegnato da Bellocchio.
Alla domanda “fu tutto così grottesco?” sicuramente Bellocchio risponderebbe con un netto: “Sì”. Dunque Esterno Notte non vuole essere una ricostruzione non-ideologica né tantomeno un elogio alla figura di Moro a discapito di tutto il contesto politico. Esterno Notte sembra essere lo sguardo interessato, ma distaccato, di un italiano che c’era e che c’è ancora. Che si è angosciato e si è infuriato. Che ha avuto una speranza che dopo poco tempo si è trasformata in rinuncia. Un italiano che col tempo e la vecchiaia, ha disimparato a odiare, imparando a osservare.