Il regista Brett Morgen, dopo il successo del documentario su Kurt Cobain (Kurt Cobain: Montage of Heck, 2015), si immerge in una delle figure più eclettiche e misteriose del panorama artistico dell’ultimo secolo: David Bowie.
Come far convergere tutte le esperienze artistiche di un uomo mai domo, capace sempre di reinventare sé stesso e tutte le arti da lui esplorate, in un unico prodotto audiovisivo? L’escamotage trovato dal regista, produttore e montatore del documentario è una delle più grandi ispirazioni di Bowie: Friedrich Nietzsche.
«All’inizio del XX secolo Nietzsche proclamò che Dio era morto e che l’uomo lo aveva ucciso. Questo creò nell’uomo l’arroganza di essere lui stesso Dio. Ma in quanto Dio, tutto ciò che sembrava poter produrre era il disastro. Questo portò a una confusione terrificante: se non potevamo prendere il posto di Dio, come potevamo riempire lo spazio che avevamo creato dentro di noi?»
(David Bowie)
L’incipit è incalzante, enfatizzando immediatamente la profondità filosofica del documentario e il forte legame tra la poetica di Bowie e la filosofia di Nietzsche. Spiriti liberi, profeti e amanti del fato, questi due sperimentatori di forme in Bowie: Moonage Daydream si accompagnano in un percorso di vita proprio di una solitudine a due.
Moonage Daydream (2022)
Tra le numerosissime ramificazioni del pensiero del profeta tedesco, il viandante Bowie tentò di incarnare alcune possibilità, rendendo la sua esistenza l’esperimento del proprio pensiero. Una di questa fu il prospettivismo nietzschiano che, prevedendo la negazione di una verità ultima e assoluta, affermava una pluralità di verità costantemente in divenire.
«In quanto la parola “conoscenza” abbia senso, il mondo è conoscibile; ma esso è interpretabile in modi diversi, non ha dietro di sé un senso, ma innumerevoli sensi: “Prospettivismo”» (F. Nietzsche, “La volontà di potenza”)
Questa riflessione rivela ciò che ha spinto David Robert Jones a indossare la maschera di David Bowie, Ziggy Stardust, il Duca Bianco, Aladdin Sane, Il Profeta Cieco o Il Maggiore Tom. In un flirt continuo con culti e filosofie, ricercando risposte e domande sempre nuove, si definiva «un collezionista di personalità ed esperienze»,tanto che, a parole sue,il martedì era buddista mentre il venerdì poteva essere nietzschiano.
Moonage Daydream
Nel corso del documentario scopriamo un Bowie introverso nella sfera privata, immerso in una radicale e volontaria solitudine nella quale si interrogava: “In cosa posso credere in un mondo senza Dio?”.
Bowie non era e non voleva diventare un Dio, bensì – in quanto alieno caduto sulla Terra – è stato un viandante pronto a scrutare nell’abisso, a navigare nel misterioso mare aperto e inesplorato descritto dal filosofo tedesco.
Da attento osservatore della realtà, colse con notevole anticipo l’ansia e la pressione a cui gli umani sono sottoposti nella contemporaneità. Le tematiche di cui David Bowie è stato antesignano sono molteplici, ma una fra tutti è stata la libertà sessuale. Essendo il documentario focalizzato maggiormente sui primi anni ’70, ci viene mostrato l’enorme impatto sulla cultura e il pensiero britannico di Ziggy Stardust, cambiando indelebilmente il decennio nell’Occidente. Si apre la strada alla rivolta punk e si completa quella sessantottina.
Russell Harty: «Queste scarpe con la zeppa che indossi sono da uomo, donna o bisessuale?» David Bowie: «Sono solo scarpe, sciocco!».
(Intervista rilasciata nel 1973)
Ziggy Stardust
Incircoscrivibile all’intero di rigide categorie, David Bowie era sempre alla ricerca di trascendere se stesso, tentando di divenire ciò che è. L’Oltreuomo nietzschiano, infatti, lo affascinava e tentò di esserne l’incarnazione.
«Io vi insegno l’oltreuomo. L’uomo è qualcosa che deve essere superato. Che avete fatto per superarlo? Tutti gli esseri hanno creato qualcosa al di sopra di sé e voi volete essere il riflusso in questa grande marea e retrocedere alla bestia piuttosto che superare l’uomo? Che cos’è per l’uomo la scimmia? Un ghigno o una vergogna dolorosa. E questo appunto ha da essere l’uomo per l’ oltreuomo: un ghigno o una dolorosa vergogna.» (F. Nietzsche, “La volontà di potenza”)
Una trasformazione evidente nei suoi primi album, partendo da The Man Who Sold the World, in cui si presenta vestito con abiti femminili in copertina. I concetti nietzschiani di cui è pervaso l’album (principalmente nel brano The Supermen) mostrano il grave turbamento di Bowie di quel momento. Uno dei pochi momenti di vita privata raccontati nel documentario è la schizofrenia del fratello che, alla vigilia della registrazione dell’album, peggiora definitivamente. È in The Rise and Fall of Ziggy Stardust che la poetica di Nietzsche trova la massima espressione, immergendosi nell’ebbrezza caotica del dionisiaco. Così facendo si eleva sui costumi e i dettami della società, divampando in una libertà euforica, distante anni luce dalla repressione di quegli anni. Marinaio ma anche messia. Bowie non crede in Dio, ma in una forma di energia superiore. Venera sola la vita e tenta di trasmettere la sua innata bellezza.
«Ho un mix di filosofie, ma il tutto è veramente minimale. Amo veramente tanto la vita» (David Bowie)
La maggior parte del documentario si concentra su questi anni, con video di repertorio restaurati dei suoi live. Probabilmente il momento migliore dell’opera, convergendo la sua figura, la sua musica e il suo pensiero durante la fase di Ziggy.
«La mia è affascinazione per un linguaggio artistico che si occupa di frammenti e caos. Alla fine, se devo trovare in tutto quello che ho fatto una linea è questa, riflettere il caos, tentare di “organizzarlo”» (David Bowie)
Dopo aver compiuto una profonda lacerazione nel proprio tempo e nei confronti del paradigma dominante della società civile, affermando e incarnando alcune delle intuizioni nietzschiane, lo spirito libero David Bowie dovette ricercare un equilibrio all’ebbrezza dionisiaca che aveva fatto emergere.
Ecco il Duca Bianco, definito da Seabrook, in Bowie: la trilogia berlinese, «un aspirante romantico privo di emozioni: il Sinatra nietzschiano».
Duca Bianco
Definizione forte, che ben si presta a una delle fasi più oscure e contestate della vita dell’artista. La figura di Ziggy lo ha svuotato, ma come un’ombra lo insegue. Si rifugia nelle droghe e in un viaggio autodistruttivo negli Stati Uniti. La confusione e il caos divampano. Un saluto romano dopo un concerto e aver definito Hitler la prima rockstar della storia lo pongono sulla gogna mediatica. Bowie è irriconoscibile, sia nella musica prodotta, che nelle interviste, quanto nei concerti. Non c’è più nessuna band di supporto ad aprire i concerti,bensì Un chien andalou, film surrealista del 1929 di Luis Buñuel e Salvador Dalì, in cui la celebre scena dell’occhio tagliato in due allude al dilavamento interiore dell’artista, diviso tra il passato (Ziggy) e il presente.
Un Chien Andalou (1929) di Luis Buñuel e Salvador Dalì
Nonostante in questi anni vengano incisi alcuni dei suoi album più celebri (Aladdin Sane e Young American, per esempio), una certa degenerazione nichilista permea l’arte di Bowie. Consapevole e angosciato dalla mancanza di senso della vita, ormai smarrito in un vortice inesorabile di droghe e alcol, si nasconde dietro la maschera del Duca Bianco annullandosi del tutto. Bowie non è più artista; è divenuto egli stesso opera d’arte.
Peccato che di tutto questo nel documentario ci siano solo riferimenti, spesso da leggere tra le righe e quasi impossibili da comprendere non conoscendo alla perfezione la biografia dell’artista. A differenza del documentario su Cobain, qui c’è solo Bowie che condivide le sue riflessioni sulla vita e sul mondo. Una serie di citazioni e stralci da varie interviste per immergere lo spettatore ancor più a fondo nella psiche dell’artista. Peccato che il lato artistico e quello più intimamente umano vengano messi in secondo piano. Figure fondamentali della sua vita, quali Iggy Pop, Andy Warhol e Lou Reed non vengono citate, a differenza di Brian Eno, nel breve segmento sul periodo berlinese.
Uno dei limiti dell’opera è aver mostrato superficialmente il Bowie post Ziggy. Un solo passaggio sull’esperienza americana, troppo velocemente stroncata. Mentre il suo contatto con il mondo orientale e il progetto finale di Blackstar vengono citati solo attraverso immagini e video. Nessun riferimento su come Bowie riuscì ad abbracciare la morte nell’elaborazione dell’opera. Sono solo onnipresenti i video girati per Blackstar, riproposti in tutta l’opera, tanto da diventare anacronistici e ridondanti. Stesso discorso per alcuni interventi, che riprendono tematiche già esposte in precedenza, come se un demone avesse sussurrato l’eterno ritorno.
Blackstar di David Bowie
Il classico biopic o documentario ricco di interviste ad amici e collaboratori pronti a adularlo non avrebbe reso giustizia allo spessore artistico di Bowie. Un fil rouge preciso il film non lo ha, caratteristica che ben si addice alla vita tutto fuorché lineare di Bowie. Morgen tenta di rappresentare in un’esperienza audio-visiva il caos tanto amato da David, ma lo spettatore viene così tempestato da immagini, video, musiche e parole troppo spesso scollegate fra loro.
«È stato un processo intuitivo, in cui alcuni spezzoni di film si sono composti quasi per caso, per una strana combinazione di eventi. E ho deciso di mantenerli così, seguendo la filosofia di David secondo cui non esistono errori, ma solo fortunate coincidenze. Quando ho chiamato un montatore professionista per vedere il film quasi finito, mi ha detto che non ne comprendeva il senso. Non c’è una vera continuità, lo riconosco»
(Brett Morgen)
Lo riconosce in parte anche lo stesso regista. Difficoltà a trovare un senso, mancanza di continuità e caso. Se inizialmente affascina, al termine la pellicola lascia un senso di incompiutezza. Una macedonia psichedelica bella da vedere, ma con un sapore progressivamente meno appagante.
Ma tutto questo a David Bowie e Friedrich Nietzsche non sarebbe dispiaciuto affatto.
«La preoccupazione del XX secolo è come trovare un nuovo Dio. Io penso che stiamo attraversando l’era del caos, e il caos ha significato nelle nostre vite. Il caos e la frammentazione è qualcosa con cui sono sempre stato a mio agio. Ho sempre pensato che non ci sia un’unica verità nella vita. Viviamo provando a creare un senso a un interminabile vortice di frammenti, ma il reale universo non è nient’altro che piccole e infestanti verità in un caos insensato» (David Bowie)
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