Morte a Venezia – La marcia funebre della perfezione

Alessandra Savino

Marzo 17, 2023

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Siamo nel 1971, tra La caduta degli dei (1969) e Ludwig (1973), la regia di Luchino Visconti incontra la penna di Thomas Mann. Esce Morte a Venezia, l’Aufhebung della cosiddetta “trilogia tedesca”, il capitolo che sintetizza al meglio la ricerca estetica e la mise en scène del conte di Lonate Pozzolo.

Uno dei padri del neorealismo italiano, tra i cui titoli spiccano Rocco e i suoi fratelli (dove ritorna tra l’altro un’opera di Thomas Mann nella combinazione di Giuseppe e i suoi fratelli e Rocco, nome del poeta Scotellaro) e dal capolavoro Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, ha concentrato poi gran parte della sua produzione su temi già fortemente lampedusiani, come l’ossessione per la bellezza ideale, la crisi dei valori aristocratici e la morte della vecchia nobiltà.

Nel 1971 dalla penna di Thomas Mann esce Morte a Venezia, il film che sintetizza al meglio la ricerca estetica di Luchino Visconti.
La composizione fotografica ricorda i dipinti degli impressionisti Monet, Seurat e Renoir

Morte a Venezia è un racconto allegorico (e allucinatorio quasi) che, sulle note della marcia funebre di Gustav Mahler, esemplifica la morte di quell’apollineo nell’arte che vuole aderire testardamente alla vita. La vita che una razionalità intrinseca certamente ce l’ha, ma incomprensibile e sfuggente all’umano così piccolo e finito, spesso mosso dai preconcetti e distratto dai più biechi istinti.

«Da profondi motivi nasceva il suo amore del mare: bisogno di riposo dopo il duro lavoro dell’artista che, dinanzi all’invadente multiformità delle apparenze, aspira a rifugiarsi in seno all’immensa semplicità; e nello stesso tempo, una tendenza colpevole, affatto opposta al suo compito e appunto perciò piena di seduzione, verso l’inarticolato, l’indeterminato, l’eterno: verso il nulla. Riposare nella perfezione è l’anelito di chi si affatica verso l’eccelso; e non è forse anche il nulla una forma di perfezione?».
-La morte a Venezia, Thomas Mann

Dirk Bogarde è Gustav von Aschenbach, uno scrittore alla ricerca della perfezione stilistica che si impone la più rigida disciplina morale a scapito di un flusso artistico più disordinato e passionale.

Quando decide di trascorrere un soggiorno a Venezia, non sa dire ancora se a muoverlo è una sensazione di ansia mista a premonizione.

Il suo improvviso desiderio di imprevisto, di accantonare la compostezza nella quale ha imbrigliato la sua vita, assume progressivamente i contorni della rovina. Il punto di non ritorno è personificato dal giovinetto polacco Tadzio, interpretato dall’esordiente Björn Andrésen, che incontra al lussuoso Hotel des Bains. La figura agile e longilinea, i capelli biondi e i tratti efebici hanno fatto sì che lo stesso Visconti lo individuasse come una sorta di “angelo mortuario”, trasfigurazione della perdita della ragione a favore del risveglio dei sensi a lungo sopiti.

«Era come se qualcosa fosse fuori di posto, come se il mondo cominciasse a entrare in un alone di sogno, a deformarsi in maniera bizzarra […]. Partire gli sembra impossibile, e altrettanto il tornare indietro […]».
-La morte a Venezia, Thomas Mann

Nel 1971 dalla penna di Thomas Mann esce Morte a Venezia, il film che sintetizza al meglio la ricerca estetica di Luchino Visconti.
La bellezza tragica di Tadzio costituisce la trappola mortale per Von Aschenbach

La scoperta dell’eros, come in Ultimo tango a Parigi, sancisce ancora una volta la condanna definitiva della coscienza verso lo sfacelo più totale.

La mente dello scrittore, che fino a quel momento era stata così lucidamente ancorata alla realtà, inizia ad annebbiarsi, a farsi confusa e febbricitante. Anche il corpo risponde a questo antico richiamo, si scioglie, prendendo però il sopravvento in modo grottesco e parossistico, ormai rassegnato ad essere stato privato della forza e dell’avvenenza beneficiati nella giovane età lontana. La scena del barbiere, in cui ricorre addirittura alla tintura dei capelli e a un vistoso trattamento facciale, è la prova di quanto questa prorompente attrazione omoerotica lo abbia gettato nella più profonda insicurezza.

Notiamo come l’infatuazione di Von Aschenbach per Tadzio procede di pari passo con una Venezia sempre più deserta e diffidente. Infatti, mentre il colera imperversa, aiutato dalla connivenza degli stessi abitanti della laguna, il volto del protagonista si tramuta in una maschera bianca e sudaticcia, letteralmente la personificazione teatrale della morte incombente.

«Fermezza di fronte al destino, grazia nella sofferenza, non vuol dire semplicemente subire: è un’azione attiva, un trionfo positivo».
-La morte a Venezia, Thomas Mann

La morte di Von Aschenbach avviene in serena contemplazione del suo amato, sulla spiaggia soleggiata del Lido di Venezia, avvolta in un alone panico, non dissimile da quello che si vedrà qualche anno più tardi in Picnic a Hanging Rock (Il lungo pomeriggio della morte) dell’australiano Peter Weir.

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