In nome del popolo italiano – Giustizia precaria in una società cannibalesca

Alessandra Cinà

Aprile 11, 2023

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Colpirne uno per educarne cento: ecco la frase chiave che racchiude la morale e l’etica de In nome del popolo italiano. Dino Risi ci racconta, con una schiettezza quasi crudele, della mala giustizia in Italia, terribile piaga che continua ad ammorbare il nostro paese: le cose, infatti, non sono cambiate affatto.

Iniziamo dal principio.

Nel film si contraffacciano due personalità agli antipodi: il giudice Bonifazi e l’imprenditore Santenocito, ai quali danno vita, rispettivamente, Ugo Tognazzi e Vittorio Gassman, a otto anni da I mostri e unici nell’interpretare determinati personaggi archetipici.

Il giudice Bonifazi è integerrimo e cerca sempre di applicare le normative e le leggi in nome del popolo italiano. Santenocito invece è un impresario che si è arricchito grazie ad affari loschi e alle sue illustri conoscenze del mondo politico e non solo.

In nome del popolo italiano ci propone il ritratto di un paese in cui per sopravvivere è necessario perdere etica e senso della giustizia.
In nome del popolo italiano: Santenocito viene portato in procura

I due si incontrano quando Bonifazi indaga sull’omicidio di una giovane escort di alto bordo che veniva ingaggiata da Santenocito per abbindolare potenziali investitori. Inizia così una guerra ideologica tra i due.

Bonifazi, di fatto, odia l’imprenditore perché rappresenta tutto quello che lui cerca di contrastare.

Santenocito è subdolo e non si fa scrupolo a danneggiare l’ambiente per fare spazio alla sua fabbrica di plastica e ai suoi progetti edilizi. Santenocito però si giustifica dichiarando che è colpa della società, è la società che lo costringe a comportarsi in maniera meschina.
Uno dei tanti problemi, infatti, è il malfunzionamento della società: o si diventa lupi o si è destinati a soccombere e ad essere sbranati. Non si può contare nemmeno sullo stato che non tutela i cittadini ma si limita ad abbandonarli a sé stessi.

Risi materializza questo fallimento della società, facendo sgretolare il palazzo di giustizia che, secondo alcuni, è crollato sotto il peso delle troppe cause accumulate. Anche negli anni ’70 i processi giudiziari erano lenti, cosi come oggi, a distanza di più di 50 anni. Santenocito, ad esempio, non colpevolizza le giovani escort che si vendono, ma la società. Quelle ragazze dovevano sopravvivere e se l’unico modo per farlo era svendersi allora non avevano fatto nulla di deprecabile.

In In nome del popolo italiano è il caso di Tiziana, la giovane escort trovata morta. I suoi genitori non avevano i soldi per arrivare a fine mese e la madre nonostante fosse malata non riceveva una pensione adeguata e allora alla ragazza non è rimasta altra opzione e i genitori hanno preferito fare finta di non sapere.

In nome del popolo italiano ci propone il ritratto di un paese in cui per sopravvivere è necessario perdere etica e senso della giustizia.
Santenocito e Bonifazi

Quanto, dunque, può essere labile il confine tra moralità ed immoralità?

Passano i giorni e Bonifazi pressa sempre di più Santenocito, è disposto a fare di tutto per stanarlo, il suo diventa uno stalking giudiziario. Non è più interessato all’omicidio della giovane, a lui interessa arrestare Santenocito perché lui rappresenta il marcio della società. Bonifazi lo vuole punire per tutti i suoi peccati e anche per dimostrare a sé stesso e ai vari e corrotti Santenocito che la giustizia finisce sempre per trionfare.

Le cose però non vanno come si immaginava: Santenocito, infatti, è innocente e la prova della sua innocenza è scritta nei diari della ragazza che ha ammesso di volersi suicidare, complici anche i genitori che l’avevano allontanata dall’amato affinché potesse continuare il suo proficuo mestiere.

Silvana si sente schiacciata, ma se dovesse lasciare quella strada non saprebbe come guadagnarsi da vivere diversamente e quindi, decide di farla finita. Un’altra vittima abbandonata dallo stato e dalla società.

Bonifazi, nonostante sia consapevole che Santenocito meriti la prigione, in un primo momento decide di scagionarlo ma poi, capisce quale sia la dura realtà dei fatti. Mentre, infatti, si trova in strada si imbatte in un marasma di tifosi esultanti per la vittoria dell’Italia contro l’Inghilterra e allora comprende che gli italiani in fondo non meritano niente.

Vede tifosi che urlano e distruggono la macchina di una turista, preti che ringraziano Dio per la vittoria e vecchi burberi che lodano il duce. Davanti ai suoi occhi si palesa l’italiano cialtrone con tutti i suoi vizi e i suoi difetti. L’italiano che non scende in piazza civilmente per le battaglie sociali ma che libera istinti bestiali per festeggiare la Nazionale.

A che pro allora liberare Santenocito? Perché liberare uno di questi furfanti? Meglio mandarlo in carcere per rendere la società più limpida e meno disonesta.

Peccato però che facendo condannare l’imprenditore per un crimine non commesso, Bonifazi abbia perso l’integrità di giudice e sia diventato disonesto quasi come un Santenocito qualsiasi.

Risi ci lascia con l’amaro in bocca e con un quesito importante: riusciremo mai a vivere in una società giusta?

Purtroppo, non possiamo rispondere a questa domanda, ma giudicando come stanno andando oggi le cose in Italia possiamo dire che Risi, raccontando il suo presente (tra gli anni ’50 e ’70) è riuscito anche a parlare del nostro presente.

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