Neorealismo e Zavattini: l’Estetica è un’Etica

Tommaso Paris

Aprile 17, 2023

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Neorealismo: l’Estetica è un’Etica

Dio è morto,
Nietzsche è morto,
e il Novecento si sentiva poco bene.

«Dio è morto! Dio resta morto! E noi l’abbiamo ucciso!» urlava strepitante un folle uomo con una lanterna accesa in pieno mattino. Le persone al mercato ascoltavano ingenuamente il delirante annuncio, schernendo e deridendo le bizzarre domande di colui che, a un certo punto, gettò a terra la lanterna mandandola in frantumi fino a che si spense. «Vengo troppo presto, non è ancora il mio tempo» disse, «questo enorme avvenimento è ancora per strada e sta facendo il suo cammino».

Era il 1882 e il mondo non era ancora pronto per abbandonare la fede nella Verità, ma poco ci mancava. Il castello di carta iniziava a sgretolarsi, si usciva dal paradiso delle certezze e si entrava nel limbo della crisi.

Morte del Sole, della Luna e caduta delle stelle di Cristoforo de Predis, XV secolo


Dalle plurisecolari teorie di Euclide emerse la geometria non euclidea di Riemann; dallo spazio-tempo di Newton e Kant insorsero la relatività di Einstein e l’indeterminazione di Heisenberg. E, pur avendola accompagnata sin dal Rinascimento, l’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica donò il ruolo di mimesis alla fotografia e al cinematografo, passando dalla volontà di fedele rappresentazione del reale al libero astrattismo di Kandinskij, al dadaismo, al surrealismo e alle successive avanguardie.

Il vento del prospettivismo a-sistematico attecchiva anche la dimensione narrativa, e una nuova ondata di scrittori individuata da Auerbach sotto il nome di “realismo letterario” stava emergendo. Woolf, Joyce, Proust, Pirandello mettevano nero su bianco lo sciogliersi di una realtà obiettiva in favore di quella soggettiva della coscienza dei personaggi. Di questo passo si mosse anche il cinema americano che, decostruendone il sogno con Quarto Potere (1941) di Orson Welles, aprì la prima crepa per l’emergere del cinema moderno, affossato la volontà di creazione mitica dell’Hollywood classica che, sin dal primo film propriamente narrativo – La nascita di una nazione (1915) di Griffith -, si concentrava nelle gesta di grandi eroi, in illusori lieti fini e in narrative archetipiche e manichee.

E così, ai fatti, risposero interpretazioni.

Perché tutto questo? Perché l’annuncio nietzschiano si è realizzato, la miccia del nichilismo accesa da Platone ha ormai reso cenere l’Occidente, e non c’è più alcuna risposta al perché.

La trasvalutazione di tutti i valori, la crisi delle certezze e l’abbandono nella fede per l’universale hanno spianato la strada al Novecento, che altro non fece che camminare imperterrito, inconsapevole e impreparato.

Riecheggiava l’eco della voce di Ivan Karamazov di Dostoevskij, «se Dio non esiste, tutto è permesso»; e il Novecento non se lo fece ripetere due volte, scatenando due guerre mondiali e dando il via all’era dei totalitarismi.

La guerra cambiò tutto, e tutti. La Resistenza cambiò alcuni.

Guernica di Pablo Picasso, 1937


Il nauseato Jean-Paul Sartre, colui che concepiva l’uomo come un «Dio mancato» e una «passione inutile», il giorno della Liberazione di Parigi disse che «mai siamo stati tanto liberi come sotto l’occupazione tedesca», tanto che riuscì a «trasformare la contingenza in passione», filosoficamente ed esistenzialmente, divenendo l’intellettuale engagé che abbiamo conosciuto.

Il cinema italiano, assopito da un ventennio fascista, necessitava di liberarsi, di resistere, di mostrarsi all’altezza della realtà che stava vivendo. Attraverso una naturalezza che il fondatore dei Cahiers du Cinéma André Bazin definì «più vicina al racconto orale che alla scrittura, allo schizzo che al dipinto», i neorealisti descrivono fenomenologicamente la realtà, e «non dimenticano che prima di essere condannabile, il mondo, semplicemente, è»; poiché, dirà una delle figure più importanti del movimento culturale, Cesare Zavattini: «il tentativo vero non è quello di inventare una storia che somigli alla realtà, ma di raccontare la realtà come fosse una storia».

«Per me si tratta di una conquista enorme. Vorrei esserci arrivato molti anni prima. Invece ho fatto questa scoperta solo alla fine della guerra. Si tratta di una scoperta morale, di un richiamo all’ordine. Ho visto finalmente cosa avevo davanti e ho capito che tutto quello che si faceva “evadendo” dalla realtà era un tradimento».

(Cesare Zavattini)

Sceneggiatore, giornalista, poeta, pittore e assiduo collaboratore di Vittorio De Sica, Cesare Zavattini fu uno dei massimi teorici del movimento e, attraverso un’adesione spirituale ed esistenziale all’epoca, esprimeva un cinema che annullava lo spazio tra vita e spettacolo, nel quale ogni momento era infinitamente ricco e non esisteva la banalità, nel quale «non può esserci carenza di temi perché non c’è carenza di realtà».

Cesare Zavattini

Quell’universale paradossalmente umano, troppo umano, è caduto; e il libero orizzonte di possibilità delle differenze è pronto per manifestarsi.

E così l’odissea nel ricercare la bicicletta rubata per poter lavorare a Ladri di biciclette (1948), le avventure di bambini lustrascarpe di Sciuscià (1946) e l’accadere delle vicissitudini fiabesche di un giovane orfano in Miracolo a Milano (1951), divennero un repertorio di contingenza, un divenire reale al quale si è impresso il carattere dell’essere attraverso l’arte cinematografica.

Entrando nelle profondità dell’ordinarietà della nuda vita, cogliendola nell’atto stesso in cui si vive, pedinando poeticamente la realtà, se ne scoprirà la straordinarietà intrinseca, «ma per riuscirci occorre prima scoprirla a noi stessi. Perché noi ignoriamo ancora la vita.»

«La vera funzione del cinema non è quella di raccontare favole. La funzione vera di tutte le arti è sempre stata quella di esprimere le necessità del loro tempo e a tal funzione occorre richiamarlo».

(Cesare Zavattini)

«Il cinema», dunque, «è morale quando affronta in tal modo la realtà», accettando attivamente la contemporaneità senza mai voltarsi indietro, esprimendo la voce del proprio tempo e rendendo visibili le apparenti invisibilità di una società. «Il neorealismo ha questa aspirazione: rinfrancare tutti, dare a tutti la coscienza di essere uomini».

«Il neorealismo ha rappresentato il primo atto di coscienza critica dal punto di vista politico-ideologico che l’Italia ha avuto di se stessa»

(Pier Paolo Pasolini)

«Da una inconscia e radicata sfiducia nella realtà, da una illusoria ed equivoca evasione si è passati a una fiducia illimitata nelle cose, nei fatti, negli uomini», prosegue Zavattini, poiché «per quanta fede io abbia nell’immaginazione, nella solitudine, ho più fede nella realtà, negli uomini».

Ed è così che il mondo vero divenne favola e la favola divenne mondo vero.

«Il cinema italiano è il solo a salvare, nel senso stesso dell’epoca che dipinge, un umanesimo rivoluzionario»

(André Bazin)

Leggi anche: Manifesto del realismo allegorico italiano

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  • Tommaso Paris

    «Dio è morto, Marx è morto, e nemmeno io mi sento molto bene»

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