Wall-E – Mani nella Solitudine

Davide Capobianco

Gennaio 21, 2019

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That it only took a moment to be loved a whole life long, basta solo un momento per essere amati tutta una vita. Wall-E non sa cosa significa essere amati, può solo immaginarlo. Esiste sempre quell’attimo in cui non vorremmo essere soli, in cui non vorremmo il vuoto nel posto accanto a noi. Esiste sempre quell’attimo in cui abbiamo bisogno di tenere qualcuno per mano, fosse solo per sapere cosa si prova. Anche per il piccolo Wall-E è così, ma le uniche mani che gli rimangono sono le sue. E quindi le stringe, circondato dalla desolazione, per avere una parvenza di quello che comunemente chiamiamo amore. 

It only took a moment to be loved a whole life long, basta solo un momento per essere amati tutta una vita. Wall-E non sa cosa significa essere amati, può solo immaginarlo. Esiste sempre quell’attimo in cui non vorremmo essere soli, in cui non vorremmo il vuoto nel posto accanto a noi. Esiste sempre quell’attimo in cui abbiamo bisogno di tenere qualcuno per mano, fosse solo per sapere cosa si prova. Anche per il piccolo Wall-E è così, ma le uniche mani che gli rimangono sono le sue. E quindi le stringe, circondato dalla desolazione, per avere una parvenza di quello che comunemente chiamiamo amore.

La solitudine ha avuto, nella storia del cinema, migliaia di rappresentazioni. Ma poche sono state potenti come le mani di Wall-E che si uniscono in un’esile stretta di fronte ad un vecchio film romantico.

Una stretta che sfugge all’oblio, una stretta che resiste all’angoscia dell’abbandono. Solo, in un mondo marcio e decadente, Wall-E vive la sua routine sperando che un giorno qualcosa cambi, sperando di colmare una lontananza tra lui e un’entità che non è detto che esista.

Wall-E non può sapere di Eve, non ancora. È un vagabondo dell’infinita distanza, quella di chi prova un sentimento, ma non sa a chi rivolgerlo. Si aggira senza meta in lande desolate nell’eterno silenzio. Sogna che un giorno possa vagare in quelle terre della caduta con qualcuno al suo fianco, con qualcuno da tenere per mano. Si sveglia ogni giorno con questa ingenua e pura speranza. E ogni notte alza quei suoi occhi vitrei al cielo stellato, sentendosi parte del firmamento.

Le rovine deserte in cui abita non lo scoraggiano, ogni volta la canzone del suo film gli da forza; it only took a moment, basta un solo momento, un attimo, e le cose potranno cambiare per sempre.

Nel frattempo, tiene una mano con l’altra, in una delle immagini più suggestive nella storia dell’animazione. Un’immagine carica di pathos, piena di mancanza; Wall-E cerca da solo di colmare quel vuoto nel profondo di un baratro senza fine. Un sentimento che vuole essere dato e vuole essere ricevuto, in uno scambio eterno di compassione, inestinguibile avversaria della solitudine.

Una scena sublime, fatta di musica e silenzio, di impressioni potenti e di sguardi perduti. Un gesto, semplice come stringere una mano, è tutto quello che serve per donare un incanto inesauribile. Perché il cinema è questo: la potenza di un’immagine. Non un dialogo, non una frase, un’immagine. Un frammento di esistenza, un aspetto umile e dimesso della realtà, quelle cose piccole così spesso dimenticate, che però celano significati veri e puri. Un’essenza così profonda che nessuna parola avrebbe potuto esprimere.

Quelle di Wall-E sono mani nella solitudine; un gesto che sfugge ad ogni possibilità di definirlo, nella sua tenerezza. Non è gioia, né dolore, ma uno straordinario insieme di sfumature emotive; l’imperfezione dell’amore solitario, la ruggine sul metallo animato dai sentimenti. Un gesto intessuto di umanità, in un mondo abbandonato dagli uomini. Quell’umanità delle debolezze, di brividi e compassione per due mani che si uniscono.

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