Che cos’è la verità? Parafrasando Indiana Jones, se vi interessa la verità le aule di filosofia di svariate città italiane sono a vostra disposizione. Qui non si vuole disquisire su una eventuale risposta a questa domanda, poiché nessuno ha partorito una verità da cui non nascano altre domande, dunque appare insensato porre un quesito al quale non c’è risposta. Difatti noi non vogliamo aggiungere nulla al tema, qui tratteremo il concetto di verità nolaniana, cioè sulla visione personale del grande regista e come egli la incarni in molte delle sue opere. Ma soprattutto come egli faccia della ricerca e dello svelare la verità una tematica primaria del suo cinema, un amore singolare, difficilmente rintracciato in altri registi.
Per questo abbiamo selezionato tre film: Memento, The Prestige e il ciclo de Il Cavaliere Oscuro. Tre opere in cui la verità è perno, palese o celato, dell’intreccio partorito dalla brillante regia di Nolan. Ma dunque qual è l’idea nolaniana di verità?
Nolan si ricollega al termine greco utilizzato per indicare le verità messo in luce da Heidegger: ἀλήθεια, alétheia, la cui etimologia significa «non nascondimento», ovvero disvelamento, eliminazione dell’oscuramento. Il significato di tale termine si discosta dall’abituale nozione di verità intesa come descrizione obiettiva di uno stato di cose o come osservazione passiva della realtà. In questo senso, Heidegger non ricerca ciò che appare come obbiettivo ed evidente, come fosse una realtà di fatto, ma nega infatti l’esistenza di una verità che sia oggettiva indipendentemente dal mondo che la circonda. Ciò accade perché, secondo il celebre filosofo tedesco, alétheia è ciò che non è più nascosto, che diviene rivelato e che deve essere compreso da un soggetto in tale disvelamento. Solo se l’ente ricercato viene inizialmente esperito nella propria velatezza e nascondimento, l’uomo si potrà rapportare ad esso e condurlo nella sveltezza.
In questi termini, la verità che ricercano i personaggi nolaniani ha molte assonanze con ciò che Heidegger definisce alétheia. Nei film, infatti, ogni protagonista analizzato incarna una storia di ricerca, una vita che ha intrapreso la via della scoperta, un’esistenza dedicata a tale disvelamento.
Nei film indicati la verità non è mai intesa come una realtà di fatto, ma come un atto dinamico, senza conclusione, in perenne trasformazione. Lo svelamento arriva con un riconoscimento del falso, una conoscenza totale dell’oggetto da parte del soggetto conoscente. Non dobbiamo mai intenderla come statica o definita una sola volta, ma in continuo movimento. In Nolan si arriva dunque all’esaltazione del protagonista che diventa l’unico tramite per giungere alla verità, l’unico in grado di sopportare tale peso, l’unico capace di assumere il coraggio della verità.
Memento
Leonard Shelby è affetto da amnesia anterograda, la sua memoria è impossibilitata ad immagazzinare fatti recenti, tolti i primi quindici minuti i suoi ricordi o le informazioni si dissolvono nella sua mente. Per cercare di sopperire a questa mancanza cerca di scrivere e prendere appunti il più possibile su post-it, foto e perfino sulla propria pelle. Il suo corpo un murales di tatuaggi che gli forniscono indicazioni su cosa è accaduto e cosa dovrà fare. La sua ricerca della verità lo riguarda in prima persona. È una ricerca sulla veridicità dei propri ricordi e sulle persone che lo circondano, soprattutto Teddy.
L’esigenza di conoscere, di squarciare il velo della verità nasce dalla necessità di trovare collocazione nella propria storia e dare una direzione alla sua vita. Nolan qui plasma la verità adattando il soggetto all’oggetto, dal momento che tale soggetto non può essere conoscente di sé stesso e della realtà. Ma sempre tramite il protagonista, solo con Leonard, lo spettatore può scorgere la verità. Noi non conosciamo la storia, viviamo i dubbi, le paure e la rabbia del personaggio durante tutta la sua missione di ricerca e di vendetta. Ciò si disvela essere la sola nostra luce per vedere la verità.
The Prestige
La ricerca della verità per Robert Angier si dirama in due direzioni, la prima abbandonata frettolosamente a causa del proprio ego, riguarda la tragica morte della moglie, perita durante un numero di illusionismo che la vedeva legata dentro una vasca colma d’acqua. Angier incolpa il suo collega Borden, entrambi allievi del maestro Cutter, reo di aver cambiato deliberatamente nodo alle corde della vittima, ritenuto da Cutter e Angier troppo pericoloso. Da parte sua, Borden, che riconosce di aver commesso l’errore, continua a rifiutarsi di dire quale nodo abbia utilizzato, sostenendo di non riuscire a ricordarselo. Di conseguenza, i due si separano, intraprendendo carriere indipendenti: mentre Angier diviene famoso come “Il grande Dantòn”, Borden si fa chiamare “Il professore” e si esibisce, accompagnato dall’inseparabile collaboratore Fallon, in teatri fatiscenti.
Qui arriva il secondo percorso di ricerca poiché Borden debutta con il numero del “Trasporto umano”, nel quale l’illusionista attraversa una porta e ricompare quasi istantaneamente da un’altra, collocata nella zona opposta del palco. Angier vuole rubargli il numero, non credendo all’opinione di Cutter secondo cui il trucco è possibile solo utilizzando un sosia. Angier non si arrende a questa spiegazione banale e probabilmente troppo semplice da scoprire anche per gli spettatori.
Angier sarà ossessionato dalla conoscenza il trucco e la sua ricerca porterà lui stesso e tutte le persone a cui si è avvicinato a pagarne le conseguenze. Nolan mette in scena l’assillo di una verità capriccio, fatua, non essenziale all’esistenza di Angier e che comunque lo porta a cambiare la propria vita. Il regista utilizzerà anche la scienza come artificio per giungere alla verità, invano però. Il monito sull’egoismo e sulla presunzione di entrambi i protagonisti verrà accantonato dal vero insegnamento nolaniano: non vi era nessuna necessità di perseguire altra verità, Angier si era rifatto una vita “migliore” della precedente, la verità di conoscere “il prestigio” di un trucco non era necessaria. La falsa verità non merita di essere inseguita.
Il Cavaliere Oscuro
Bruce Wayne come Angier ha due verità da inseguire, una per sé e una per gli abitanti di Gotham. Bruce ha subito il trauma di assistere all’assassinio dei suoi genitori, crescerà barcamenandosi tra il rimorso del sopravvissuto e la mancanza di direzione, persa la guida del padre. Svuotato e senza scopo si avventura per il mondo fin quando non sarà Ra’s Al Ghul a donarglielo, uno scopo sotto i panni di un principio di giustizia assoluto. Una ricerca del proprio io, per scoprire come servire l’ideale di giustizia al meglio.
Prima una giustizia personale contro la criminalità di Gotham, poi un percorso di avvicinamento alla sua Rachel, e per concludersi, con l’ultima ricerca, quella per la città. Bruce già nel primo film della trilogia sa che per Gotham c’è speranza, non è destinata a implodere zavorrata dal suo marcio. Egli giunge a capire che Batman non è solo mezzo di giustizia, ma di verità. Gotham ha bisogno del suo esempio, non della verità fasulla confezionata su Harvey Dent. L’esempio di Batman squarcerà il velo, rivelando così il fine della sua ricerca, e diverrà davvero la vera luce che può mostrare che in Gotham c’è ancora del buono. C’è speranza di elevarsi da quell’abisso. Una verità nuova per gli abitanti di Gotham, rassegnati all’oscurità. Forse il concetto di amore più elevato per la verità, cioè donarla agli altri, persino consapevole del rischio di dover sacrificare qualunque cosa si è raggiunto per sé.
Le esistenze dei tre protagniste nolaniani portano ad epiloghi completamente diversi. Ma è possibile evidenziare un tratto comune: la potenza della verità. La verità chiarifica la propria esistenza, nel senso che ne svela il senso per ognuno dei protagonisti. La sua dirompenza, però, crea situazioni spesso incontrollabili, rivoluzionarie per sé e per altri. Spesso chi cerca la verità deve farsi padrone del proprio dolore. Con i suoi esempi, Nolan ci suggerisce di cercala sempre con cautela. Siate Prudenti. Osservate Attentamente.