“QUELLA CHE VEDRETE È UNA STORIA VERA. I fatti esposti nel film sono accaduti nel 1987 nel Minnesota. Su richiesta dei superstiti, sono stati usati dei nomi fittizi. Per rispettare le vittime tutto il resto è stato fedelmente riportato”
Con queste parole si apre il sipario di uno dei film più geniali degli ultimi trent’anni. A dire il vero, questa dichiarazione iniziale da parte di Joel e Ethan Coen, sceneggiatori e registi della pellicola, non corrisponde a verità: gli eventi narrati in Fargo non sono realmente accaduti. Si tratta di uno stratagemma metanarrativo, utilizzato al fine di coinvolgere pienamente lo spettatore nella assurda vicenda: in questo modo, egli presterà più attenzione a ciò che vede, liberandosi della restrittiva separazione tra realtà e arte a cui è generalmente abituato.
Quella che vedrete è una storia vera.
Nella fredda e nevosa Fargo, città del North Dakota, il venditore di automobili Jerry Lundegaard (William H.Macy) entra in un bar, dove ha appuntamento con Gaear Grimsrud (Peter Stormare) e Carl Showalter (Steve Buscemi), due sicari. Oppresso da problemi economici, Jerry intende infatti inscenare il rapimento di sua moglie Jean, in modo da far pagare al ricco suocero il riscatto e appropriarsi del denaro. Un piano perfetto, in teoria.
In pratica, i due sicari sono tutto fuorché metodici ed esperti; la loro superficialità li porterà ad uccidere un poliziotto e due testimoni. Sul caso è chiamato ad indagare l’intuitivo e ostinato capo della polizia locale, Marge Gunderson (Frances McDormand), al settimo mese di gravidanza.
Ma perché, esattamente, Fargo è entrato nella storia del cinema? Quali sono gli elementi che rendono questa pellicola davvero originale?
Un uomo assolda due sicari per rapire sua moglie e intascarsi i soldi del riscatto: la trama del più ordinario dei film crime. In Fargo essa non è altro che una semplice base, su cui i fratelli Coen costruiscono una delle sceneggiature più brillanti degli ultimi anni.
Brillante innanzitutto il completo ribaltamento della figura del criminale. Personaggio solitamente mitizzato dal cinema, qui viene del tutto ridicolizzato attraverso la caratterizzazione dei due sicari. Si pensi alla lunga ed esilarante scena del rapimento: i due incontrano diverse difficoltà, prima di riuscire a tramortire finalmente la donna. Tutta la sequenza, grazie anche alla bravura degli interpreti (tra cui spicca un sottovalutato, ma eccezionale Steve Buscemi), risulta genuinamente divertente. O ancora, l’uccisione del poliziotto e dei due testimoni, nel bel mezzo di un’innevata strada principale del Minnesota. Razionalmente, a nessuno verrebbe da ridere dinanzi ad un brutale omicidio di tre innocenti. È la grottesca messa in scena degli eventi, volti alla messa in ridicolo dei carnefici, a permettere che ciò accada. L’utilizzo del black humour in tutto il suo splendore.
I due villain di Fargo non sono dunque né impavidi né temibili, ma anzi ordinari esseri umani, capaci di discutere dell’argomento più vuoto e banale, mentre nel bagaglio della loro auto è nascosta una donna urlante.
A proposito di pavidità, non si può non citare il vero autore di questi tragicomici eventi, colui che ha dato inizio a tutto: Jerry Lundegaard, interpretato da un bravissimo William H. Macy. Colui che dovrebbe essere una vera e propria mente criminale, ci appare in realtà come un modesto e imbranato venditore di auto. Jerry entra subito nel panico dinanzi alle domande della detective Gunderson, palesando subito il proprio coinvolgimento nel rapimento della moglie.
La caratterizzazione della “buona” della storia è invece totalmente opposta a ciò che abbiamo visto sin ora. Impersonata dalla due volte premio Oscar Frances McDormand, Marge Gunderson è una donna forte e rispettata. Prima di tutto nella sua vita privata. Nonostante le difficoltà economiche, facilmente individuabili dalla modestia della casa in cui vive, Marge è felice: ha un marito che la ama e un figlio in arrivo. Poi, nel lavoro: non solo la donna è a capo della polizia del luogo, ma si dimostra molto più sveglia e intelligente dei suoi colleghi, risolvendo il caso completamente da sola.
Paradossalmente Marge, che non pretende dalla vita altro se non affetti e tranquillità, è l’unica a risultare in qualche modo vincitrice alla fine del film. Gaear e Carl, spinti dall’avidità, si distruggeranno con le loro stesse mani. Il primo ucciderà la moglie di Jerry, per il semplice fatto che non faceva silenzio e, in seguito, anche Carl; quest’ultimo, all’insaputa di Gaer, nasconde il denaro in mezzo alla neve prima di morire, rendendo l’intera impresa completamente inutile. Jerry, invece, verrà scoperto e arrestato.
L’essenza del perfetto finale si riassume in un breve monologo pronunciato da Marge a Gaer, dopo averlo arrestato per gli omicidi.
“Così era la signora Lundegaard quella distesa per terra… E quello che stavi triturando era il tuo complice… E quei tre poveretti uccisi a Brainerd! E tutto per cosa?! Per quattro biglietti di banca… C’è altro nella vita che quattro biglietti di banca… Non c’ha mai pensato?!”
In poche parole, viene evidenziata l‘assurda vanità degli eventi scatenati da Jerry Lundegaard. Nessuno ha guadagnato nulla; tutti hanno perso qualcosa, persino la libertà e la vita. Un sanguinoso e inutile conflitto tra esseri umani, avvenuto tra le candide nevi del Minnesota; Fargo, teatro di questi piccoli grandi eventi, continuerà ad esistere imperturbabile, incurante dell’arroganza e dell’avidità dei suoi abitanti.
Quella che vedrete è una storia vera. Certo, se non vera, quantomeno verosimile. Superficialmente, Fargo sembrerebbe narrare una storia assurda e improbabile. Analizzandola attentamente, scopriremo invece che essa è molto più reale di ciò che appare; per quanto l’essere umano si sforzi di pianificare tutto nei minimi dettagli per ottenere ciò che vuole, l’imprevedibilità degli eventi è sempre dietro l’angolo. Ed è proprio quando l’uomo, in tutta la sua arroganza, viene schiacciato dall’inevitabile, che mostra tutta la propria piccolezza e mediocrità.
Fargo dei fratelli Coen merita senza dubbio un posto nella storia della settima arte. Il ritratto del Male, dipinto con dissacrante realismo, in tutta la sua banalità.