Dopo l’acclamazione al 72esimo Festival di Cannes e il successo di critica e pubblico, l’ultima opera di Quentin Tarantino conquista anche un ruolo importante nell’edizione 2020 dei Premi Oscar. In lizza per 10 categorie, tra cui miglior film e miglior regia, C’era una volta a Hollywood gode di un meritato successo a livello mondiale.
Il nono (e penultimo) lavoro dell’autore americano rappresenta la somma dei desideri di ogni cinefilo, oltre a essere uno dei film più completi e maturi del regista. C’era una volta a Hollywood contiene tutte le cifre stilistiche di Tarantino, messe in scena con invidiabile consapevolezza e meravigliosa eleganza.
La straordinaria regia, con i suoi sinuosi movimenti di macchina, i suoi campi lunghi mozzafiato e gli intensissimi primi piani, ci trasporta nella Los Angeles del 1969, costruita perfettamente e meticolosamente dalle scenografie, arricchita dai già iconici costumi, e illuminata dalla vitale e splendida fotografia di Robert Richardson.
Un tale palcoscenico è popolato da un ottimo cast, forte di personaggi di spicco anche all’interno della filmografia del regista. Rick Dalton e Cliff Booth, l’eccezionale coppia composta da Pitt e DiCaprio, si fanno strada tra le colline di Hollywood, abitate dalla bellissima Sharon Tate, dall’importante marito Roman Polanski e dai tremendi seguaci di Charles Manson.
Molte sequenze sarebbero da imparare a memoria, da vedere e rivedere. La tesissima e magistrale scena nella “Comune” di Charles Manson, tanto minacciosa e angosciante quanto ingegnosa. Oppure l’incantevole sequenza nella quale Sharon Tate entra in un cinema per vedere un film in cui lei è protagonista, godendosi lo spettacolo con i presenti.
Tuttavia, la scena più importante di C’era una volta a Hollywood, soggetto di questa analisi, è il finale, ovvero il Massacro di Cielo Drive.
Il film, essendo ambientato nel 1969, mette in scena uno degli eventi più celebri e tragici del Novecento e della storia del cinema. La notte tra l’8 e il 9 agosto quattro seguaci della Famiglia Manson fecero irruzione nella villa dei Polanski, uccidendo brutalmente Sharon Tate, incinta di otto mesi e mezzo, e altre quattro persone.
Nel film però, le cose vanno diversamente: tre fanatici irrompono nella villa di Rick Dalton, per vendicarsi degli insulti e delle minacciate fatte dall’attore poco prima. I tre decidono di cambiare programma e invadere la villa di Dalton anziché quella di Polanski, per condannare la violenta ipocrisia hollywoodiana.
Tuttavia, dopo una divertente, sanguinosa e meravigliosamente grottesca lotta tra i tre membri della famiglia Manson, Cliff Booth, Rick e la moglie hanno il sopravvento, uccidendo gli hippie. L’unico ferito è Cliff, portato in fretta in ospedale dopo due parole a cuore aperto con Rick.
Ed è alla fine di questo splendido pezzo di puro intrattenimento che tutto assume un senso ben preciso.
Tarantino sceglie di far “recitare” Rick e Cliff, rendendoli agenti e mettendoli al centro dell’azione, dopo vari fallimenti e rifiuti in pellicole di vario genere. In particolare decide di salvare Sharon Tate dal suo atroce destino, spostando l’eccidio nella villa vicino.
La Tate, il suo bambino in grembo e i quattro amici rimangono così incolumi, come Rick e il suo entourage; muoiono invece i tre membri della Famiglia, presunti agenti del Male, portatori di morte, ragazzi deviati dal carisma disturbante e dalle idee deliranti di Charles Manson.
Come nell’eccezionale Bastardi senza gloria, Tarantino modifica la Storia a suo piacimento grazie ai mezzi della Settima Arte: ribaltando le prospettive, il mito di Sharon Tate vive così per sempre grazie all’autore americano. Sorprende e spiazza il pubblico, comunicando così l’aspetto più bello del Cinema stesso, ovvero la possibilità di riscrivere gli eventi storici per far regnare la Magia pura e unica del vero Cinema.
Dopo aver evitato il massacro, Rick viene invitato dalla stessa Sharon a salire a casa sua: il cancello si apre, l’attore sale la strada e raggiunge la diva e gli amici, mentre una musica celestiale suona in sottofondo, come se la compagnia fosse arrivata in Paradiso. D’altronde, come suggerisce il “C’era una volta” del titolo, il film è una favola, una travolgente e commovente favola.
Tarantino dimostra di saper emozionare e stupire, come il più bel Cinema è in grado di fare.
Utilizza il linguaggio della Settima Arte per esaltare la stessa, cambiare il corso degli eventi passati e dimostrare che la Magia esiste ancora.
L’Arte è libera e ha la potenza e le facoltà di comunicare qualsiasi messaggio, narrato con la voce di uno dei più innegabili e grandi Autori della celluloide, nel pieno della sua consapevolezza e genialità.