Abbiamo avuto l’onore e il piacere di conversare con Riccardo Niseem Onorato, la storica voce di Jude Law sin dai tempi di eXistenZ (1999). Non solo, si è cimentato nelle interpretazioni di Eric Bana, Benedict Cumberbatch e Paul Rudd per quanto riguarda il mondo del cinema, è stato Grifis nel film di Berserk, Sesshomaru in Inuyasha e Ralph Stilton in Bojack Horseman. Questi e centinaia di altri ruoli tra pellicole, serie animate e persino videogiochi.
Il doppiaggio è una scuola e un’arte che nel tempo abbiamo imparato a fare nostra come pochi altri nel mondo. Nonostante i siti streaming quali Netflix e Amazon Prime abbiano dato largo accesso alle opere in lingua originale, il fascino di una voce avvolgente o graffiante, calda e sensuale, di un timbro italiano potrà sempre rendere una sfaccettatura in più, o semplicemente diversa, alla performance straniera (o, in alcuni rari casi, addirittura salvarla).
Il lavoro del doppiatore è sicuramente complesso, in quanto deve rendere giustizia alle pellicole e, in generale, ai dialoghi più svariati. Una professione che è mutata nel tempo, ascrivendosi a canoni più o meno rigidi, in virtù di quell’esigenza del pubblico a godere di un prodotto così com’era stato originariamente pensato.
Riccardo ha voluto raccontarci la sua esperienza dagli inizi della sua carriera sino ai giorni d’oggi, tra aneddoti, curiosità e consigli sul mondo, spesso sottovalutato, del doppiaggio.
Abbiamo cominciato chiedendogli cosa rappresentasse per lui quest’arte, quale tipo di sfida, e quale sia il suo approccio in generale.
Riccardo Niseem Onorato
Mi muovo in punta di piedi, sempre. Il lavoro fondamentalmente è stato fatto già, mi ritrovo davanti un’opera conclusa. Il mio obiettivo è quello di provare ad avvicinarmi il più possibile cercando di rovinare l’opera il meno possibile. Talvolta ci riesco, talvolta un po’ meno, ma fa parte del lavoro. Il mio approccio è sempre questo, è un approccio organico: non è soltanto voce, ma tutto quello che ho dentro, tutto il mio organismo, la mia pancia, le mie emozioni, che devono essere messe al servizio dell’attore e del ruolo che ha interpretato.
Bisogna essere attori. Io ho un background teatrale abbastanza ampio e ho sempre alternato teatro, doppiaggio e televisione, cercando di fare un po’ tutto. Essere attori è fondamentale.
È facilmente intuibile che sia proprio questo il modo in cui una singola persona possa affrontare le più svariate e possibili interpretazioni (Onorato ad esempio ha dovuto viaggiare da Pio XIII ad Ant-Man, dal Dottor Watson ad Alan Turing, sempre con performance vocali di tutto rispetto nei confronti dell’originale). Che tanti attori interpretino tanti ruoli è scontato, più difficile è dover reinterpretare quella miriade di personaggi con la “sola” voce.
Come si comporta il doppiatore in sala di registrazione?
Riccardo Niseem Onorato
Io mi muovo molto quando sono al leggio, di fronte al microfono gesticolo parecchio. Chiaro che devi anche imparare a farlo, perché devi muoverti senza fare rumore; il microfono che hai davanti prende qualsiasi cosa, ogni respiro, ogni movimento.
E a quanto pare, si utilizzano anche strumenti dal quotidiano per migliorare la performance, per meglio adattarla a eventuali personaggi con pronunce particolari nella versione straniera.
Riccardo Niseem Onorato
Mi è capitato in Sleut con Jude Law, dove il mio personaggio si trasforma, si traveste, si mette una pancia finta, si mette dei denti finti e parla con un accento irlandese, invece che inglese. Noi non possiamo farlo, non possiamo cambiare accento perché verrebbe una parodia: te lo immagini Jude Law che parla in bergamasco? Quindi abbiamo cercato di cambiare il modo di recitare, rendendolo in maniera più “sporca”; lui prima era un bel ragazzo, giovane e pulito, ma dopo la trasformazione parla con la voce più rauca e, soprattutto, ho utilizzato il bite. Lo uso di notte per non digrignare i denti e ho pensato di portarlo al turno di doppiaggio per fare questo lavoro. Si cerca di collaborare il più possibile, alcune lavorazioni ti lasciano spazio per queste iniziative, altre no.
A questo punto non potevamo non chiedergli cos’abbia rappresentato per lui l’esperienza ventennale con Jude Law, un attore con cui ha subito maturato un’autentica forma di simbiosi.
Riccardo Niseem Onorato
È una simbiosi vera. L’ho conosciuto l’anno scorso, ce l’ho avuto davanti tutta la serata, eravamo come vecchi amici, pur essendo la prima volta che ci si vedeva. Anzi, che lui vedeva me. Non mi conosceva affatto, mentre io so di lui ogni cosa, ogni alzata di sopracciglio, ogni espressione facciale, il modo in cui lui ride. Tutto. Perché l’ho visto e rivisto centinaia di volte. Immagina ogni scena quante volte l’ho vista per doppiarlo, ogni scena di ogni film che ho fatto con lui.
Mi ricordo quando l’ho dovuto doppiare in Dom Hemingway, un film pazzesco, ma di una difficoltà incredibile. Ho perso la voce per lui, e infatti gliel’ho detto. Urlava come un pazzo. Tostissimo.
C’è molto affetto in queste parole, durante l’intervista Riccardo continua a sorridere e a scherzare sui suoi ricordi in studio insieme a Jude Law. La sintonia fra i due pare essere totale, qualunque siano le difficoltà, anzi, Niseem accoglie con grinta le sfide più impegnative. Gli chiediamo, dunque, a tal proposito, quale sia la giornata tipo di un doppiatore, e quali ostacoli possono pararglisi davanti.
Riccardo Niseem Onorato
La giornata tipo di un doppiatore è suddivisa in turni di doppiaggio. La durata media di un turno è di tre ore; puoi scegliere di lavorare un turno, due turni, tre turni, anche quattro a volte. Il primo turno inizia alle 9 e finisce alle 12, il secondo dalle 13:30 alle 16:30, il terzo dalle 16:30 alle 19:30. Capita di lavorare dalle 19:30 alle 22:30, il fatidico quarto turno. In queste tre ore ti può capitare di fare un cartone animato, magari per le tre ore successive devi spostarti dall’altra parte della città per fare un documentario, e così via.
Il doppiatore, quando arriva in sala, sa più o meno cosa deve doppiare, ma non ha mai visto l’opera, perché non ci viene mai data. Ti ritrovi in sede di doppiaggio con un leggio, il copione e un microfono. Il direttore ti spiega più o meno com’è il film, com’è il tuo personaggio e, a quel punto, si inizia a lavorare. Ti guardi un pezzo della pellicola in lingua originale, dopo di che cominci a leggere il copione, poi guardi le immagini, e alterni, immagini e copione. Devi fare continuamente questo lavoro, guardi lo schermo e guardi le pagine, continuamente, perché devi guardare l’attore che doppi, ma devi anche leggere. Devi affrontare inoltre questo cambio focale, da settanta/ottanta centimetri a tre metri; è un esercizio che il doppiatore deve saper fare.
Questa è la procedura standard, insomma. Tuttavia, in quanto arte, viene da chiedersi se in un processo di adattamento a un’altra opera, venga lasciato spazio alla libertà dell’artista. Si pensi a Tonino Accolla, leggendario doppiatore di Eddie Murphy e Homer Simpson, che in sede di doppiaggio tendeva a improvvisare molto, poiché capita che il doppiatore possa avere delle intuizioni che rendano meglio l’espressività dell’attore, di una sua espressione o frase. Queste occasioni per arrangiarsi, sperimentare e (ri)creare una performance le restituiscono una linfa diversa, magari persino più caratteristica e accattivante.
C’è ancora questa libertà dietro al microfono?
Riccardo Niseem Onorato
Una volta si poteva fare. Proprio tra gli anni ’80 e ’90, si faceva tanto, quando ancora non c’era questa mania dell’originale. Adesso siamo molto più legati alla lingua originale, quindi anche i supervisor, quelli che ci portano il lavoro e che controllano che sia fatto bene, anche loro vanno a sentire l’originale, e poi il doppiato. Prima questa attenzione non c’era. Si cambiava, si faceva di tutto. Perché la gente lo vedeva in italiano e basta. Adesso passare all’originale è un processo immediato, anche io lo faccio ogni tanto, magari quando c’è qualcosa che non mi torna. E a volte ho trovato delle cose, insomma, un po’ discutibili.
Una tendenza che si può notare è che, per quanto i servizi in streaming abbiano dato visibilità a prodotti indipendenti o di nicchia, questi ultimi magari vengano trattati con più negligenza dagli adattamenti italiani, in virtù della loro bassa popolarità rispetto alle grosse produzioni hollywoodiane. Il che è un peccato, poiché magari non solo a rimetterci è l’opera originale, ma anche la reputazione del doppiaggio stesso. Non viene da stupirsi, poi, se sempre più gente tende a preferire i sottotitoli alle voci italiane.
Riccardo Niseem Onorato
C’è, purtroppo, questa trascuratezza su certi prodotti. Vengono affidati a società semisconosciute, i cui direttori sono totalmente sconosciuti, che affidano a loro volta i ruoli a doppiatori che magari sono ragazzi che stanno ancora facendo un corso di doppiaggio, alle prime armi. Questo perché? Così li pagano meno, non li pagano? Non lo so, ma qualcosa a livello economico succede. Fatto sta che il prodotto che poi arriva in televisione, al pubblico è qualcosa di quasi inascoltabile. La cosa brutta è che ci stiamo abituando. La cosa brutta è che gli stessi clienti, gli stessi supervisor dicono che va bene, che non stanno cercando la perfezione. Una cosa abbastanza avvilente.
È ancora possibile, per fortuna, lavorare bene. Cerchiamo di tenere duro, di mantenere sempre un livello alto, fin dove possiamo.
Gli abbiamo ovviamente chiesto, da artista ormai navigato, quali consigli offre agli aspiranti doppiatori, affinché appunto mantengano alta la reputazione di una pratica che rischia spesso di essere data per scontata. C’è tanta poesia e musicalità nella nostra lingua, nelle nostre intonazioni, e non sarebbe male preservare questa tradizione artistica con lo spessore che siamo riusciti a conferirle sin dalle sue origini.
Riccardo Niseem Onorato
Quello che dico sempre a tutti i ragazzi è di studiare recitazione. Quella è la prima cosa. Perché, come puoi interpretare un attore se non sei tu un attore? Poi, nello specifico per il doppiaggio, suggerisco di ascoltare i bei doppiaggi, magari quelli di qualche anno fa. Penso che occorra entrare in quel sound, in quei suoni, in quel mood. Spesso i ragazzi si fossilizzano sulla dizione, sulle parole corrette da dire, mentre io dico sempre loro, per esempio, che non l’ho mai studiata, non ho mai aperto un libro di dizione. Ho imparato a parlare un italiano, che magari non è quello perfetto e classico. Il doppiatore non deve avere una pronuncia perfetta, quella la deve avere lo speaker. Il doppiatore deve essere vero, deve essere autentico, è un’altra cosa. Prendi Piero Locchi, voce storica, «il mio nome è Bond, James Bond», che faceva coppia con mio papà, che doppiava Bud Spencer, e Locchi invece Terence Hill. E lui era di Roma, e aveva questa voce meravigliosa, ma ammetteva che nella vita e nel doppiaggio non ha mai detto “proprio”: diceva “propio”, senza la seconda “r”. Ma nessuno se n’è mai accorto, perché era talmente bella la sua voce, talmente bello il modo in cui parlava, che i difetti passavano inosservati, o davano un valore diverso alla performance.
Perché il doppiaggio è anche questo, è anche imperfezione, ma soprattutto è musica, è ritmo, è sound. Recitare monologhi e frasi è una specie di concerto jazz, una sinfonia di note dissonanti, di pronunce autenticamente in bilico tra i concetti di suono e rumore.
Qual è il rapporto del doppiatore con la musica?
Riccardo Niseem Onorato
Lavorare con la musica è una roba pazzesca. Io quando ho sotto una musica… wow, solo wow. È il massimo della vita. Io lavoro anche come speaker, faccio molti spot pubblicitari, spesso mi chiamano per fare dei promo, e la prima cosa che chiedo, l’unica cosa che chiedo è di darmi una base, mettetemi sotto qualcosa, e cambia totalmente. È una roba meravigliosa.
La conversazione prosegue tra aneddoti e curiosità, tra cui il ruolo di Riccardo Onorato in Pulp Fiction (Quentin Tarantino, 1994), un ruolo minore, ma decisamente memorabile.
Riccardo Niseem Onorato
Ero il ragazzo che urla «Cosa?!» a Samuel L. Jackson, doppiato da Luca Ward. Faccio una brutta fine. Ho fatto solo quella scena, però la vedo ovunque.
In effetti è una delle scene più iconiche, se non la più iconica del film, tanto da diventare un meme in ogni salsa possibile. E appartiene alle origini di una voce che sarebbe diventata una delle più iconiche del XXI secolo. Origini che sono sempre modeste, che consistono in ruoli minori, a volte anche singolari, tra cui pornografici.
Riccardo Niseem Onorato
Negli anni ’80 si facevano. Ci siamo passati tutti. Ci chiamavano, si andava lì a fare il turno, era divertente. La buttavi in caciara, la buttavi sul ridere, era l’unico modo per farlo. Se ne facevano tanti.
Adesso, un po’ come per la lingua originale sui siti streaming, anche il porno è dato per scontato, essendo molto più accessibile. Di certo, in fondo, non lo si guarda per i dialoghi, quindi, che sia doppiato o meno, difficilmente importerà al giorno d’oggi.
Un’esperienza, dunque, quella di Onorato, totalmente poliedrica, dai film porno ai cult, dagli anime alle serie tv (inclusa Twin Peaks), dalla cinematografia ai videogiochi.
Riccardo Niseem Onorato
Ho sempre cercato di fare un po’ di tutto, dal teatro alla televisione. Sono stato anche in radio, però non ho mai fatto un programma radiofonico mio, e al momento mi va bene così.
Gli chiediamo se ha mai registrato o voluto registrare audio-libri.
Riccardo Niseem Onorato
L’ho fatto una volta… e m’è bastata. È veramente impegnativo. Poi a me i libri piace leggerli con calma da solo, a fine giornata magari, in intimità. Un’altra esperienza con cui faccio molta fatica, ma che continuo a interpretare, sono i videogiochi.
Tra i ruoli principali ricordiamo Connor Kenway nella saga di Assassin’s Creed e Legolas ne Il Signore degli Anelli: La Guerra del Nord, ma anche personaggi secondari di grossi titoli quali World of Warcraft (di cui ci rivela essere un giocatore assiduo di vecchissima data), League of Legends e Tom Clancy’s Rainbow Six: Siege.
Com’è doppiare un videogioco?
Riccardo Niseem Onorato
Doppiare un videogioco è strano. Nel senso che tu non hai le immagini del personaggio; hai una banda magnetica del software che ti passa, hai le cuffie, senti la voce del personaggio, poi la banda torna indietro, registrano un’altra traccia e tu devi fare la stessa intonazione dell’originale.
Quando ho fatto, per esempio, Assassin’s Creed III, all’inizio mi hanno fatto vedere dei disegni di com’era Connor, rappresentato in un certo modo. E io ho lavorato su quello. Abbiamo fatto metà videogioco, quando a un certo punto ci arriva la prima immagine vera. Ci rendiamo conto che era completamente diverso, un’altra storia. Ma il lavoro era stato fatto, quindi la voce non si incollava benissimo su quel personaggio.
Comunque, in generale, si è fatto un salto in avanti pazzesco sulla qualità del doppiaggio videoludico, fortunatamente. Poi sono stato contento di lavorare per un videogioco cui mi dedico da quindici anni ormai, World of Warcraft.
Parliamo anche di quei giochi che ancora, purtroppo, non vengono doppiati.
Riccardo Niseem Onorato
Red Dead Redemption II, che ho qua sul mio pc, sarebbe stata una bella sfida. È un gioco molto recitato, con delle sfumature particolari. Di recente, però, ho avuto modo di lavorare a una grossa produzione in uscita a novembre: Cyberpunk 2077. Ma non posso dire molto.
E noi non vediamo l’ora, sinceramente.
Avviandoci verso la fine, a proposito della miriade di personaggi e interpretazioni, chiediamo a Riccardo quali siano stati i suoi ruoli preferiti e quali i più impegnativi.
Riccardo Niseem Onorato
Un ruolo che ricordo con grande affetto è stato uno dei primi protagonisti che ho doppiato in Profumo di Donna. Lavorare insieme a Giancarlo Giannini, che doppiava Al Pacino, è stata un’esperienza molto bella. Mi è piaciuto un sacco fare quel film.
Parlando di momenti più recenti, mi sono divertito a doppiare Damon in The Vampire Diaries, perché è un personaggio troppo divertente; è un piacione di quelli… però pieno di sfaccettature, di colori, è stato bello. Ci sono personaggi, invece, che sono delle tinche, sono veramente insopportabili; magari non è brutta la serie, ma loro… Mi ricordo quando ho fatto Grimm (serie tv), non vedevo l’ora che finisse.
Ruoli belli, ma faticosi sicuramente sono stati il prima citato Dom Hemingway; l’altro che mi ha dato grosse soddisfazioni è stato The Young Pope, un lavoro faticoso, ma che ho amato moltissimo. Di recente è stato impegnativo sempre Jude Law per una mini-serie HBO in uscita, The Third Day, parecchio strana, però interessante. La sto ancora doppiando.
Riguardo a ruoli che avrebbe voluto fare, invece.
Riccardo Niseem Onorato
Mi sarebbe piaciuto doppiare Marlon Brando, un attore con cui non ci sono paragoni. Però, Brando doppiato da Peppino Rinaldi è qualcosa di magico. Peppino Rinaldi rimane per me il più grande doppiatore della storia, l’innovatore, colui che ha portato modernità alla recitazione al microfono. In pratica ha introdotto la spontaneità, che è la cosa più difficile, ma che poi rende il tutto vero.
In conclusione, due parole sull’artista dietro al microfono.
Riccardo Niseem Onorato
Non mi fermo davanti a nulla. Poi magari mi dicono di rifarla, ma se ho un’intuizione la applico. L’artista non può essere racchiuso dentro uno schema, se no diventi un impiegato della voce. Sempre nel rispetto dell’originale, cerchiamo di proporre quello che noi siamo.
L’essenza del doppiaggio, dunque, di questa arte-ombra, sembra racchiudersi nel rispetto, nell’impeto passionale e nell’amore della sfida. Celato alla vista, il doppiatore riplasma un’opera con l’accortezza (si spera) di non stravolgerla, ma al contempo con la capacità di creare un qualcosa di nuovo e unico, inseguendo un suono. Non lo vediamo mai, avremo sempre Jude Law davanti e mai Riccardo Niseem Onorato, ma come disse una volta un certo Papa giovane (doppiato): «l’assenza è presenza». Forse, la più potente di tutte.