Pierfrancesco Favino – Costruzione di un attore pop

Giada Sartori

Marzo 15, 2021

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Se gli ultimi cinque anni hanno portato Pierfrancesco Favino a vincere due David di Donatello consecutivi, interpretando pagine importanti della storia italiana con Il traditore di Marco Bellocchio e Hammamet di Gianni Amelio, e la Coppa Volpi a Venezia per il ruolo di Alfonso Le Rose in Padrenostro di Claudio Noce, sarebbe impossibile e incompleto definirlo solo in base a questa parte della sua filmografia.

Significherebbe porre l’accento sui suoi ruoli più drammatici e ignorare la versatilità dimostrata nel corso degli anni. Il suo obiettivo, professato in un’intervista a Repubblica, è quello di fare un cinema orientato verso un gusto popolare, scegliendo progetti che lui stesso vorrebbe vedere sul grande schermo.

In quest’ottica si inseriscono le incursioni nella commedia, dove emerge non solo un eccellente tempismo comico, ma anche la capacità di non prendersi sul serio, giocando con quelle che possono essere le aspettative del pubblico sulla sua persona.

Le due reinvenzioni dei moschettieri operate da Giovanni Veronesi, Moschettieri del re – La penultima missione e Tutti per 1 – 1 per tutti, sono dei perfetti esempi di quanto illustrato. Il D’Artagnan che Favino è chiamato a interpretare è lontano da quello dei celebri romanzi di Dumas: sono passati oltre vent’anni dalle loro eroiche gesta e ora di quello splendore resta solo l’ombra. È una nuova chiamata alle armi, invocata dalla Regina Anna (interpretata da Margherita Buy), a spingere i quattro uomini a riprendere in mano le loro spade e a salire in sella a destrieri poco affidabili.

D’Artagnan, nella favola immaginata da Veronesi, coniuga l’immagine del soldato esemplare con quella di un bambino troppo cresciuto, una sorta di trickster animato però dalla bontà d’animo. Favino, nel suo lavoro sul personaggio, ha creato per lo spadaccino una particolare parlata (adottata dall’attore anche durante il press tour dei film), che mescola una cadenza francese stereotipata con un italiano sgrammatico.

pierfrancesco favino

Come spiega in un’intervista a TV Sorrisi e Canzoni, l’idea era quella di rispettare alcuni accenni strutturali del personaggio di D’Artagnan, ad esempio il suo essere simbolo della cultura francese e al tempo stesso un eroe fanciullo, usandoli come canovaccio per il suo gioco attoriale.

In Moschettieri del re – La penultima missione e Tutti per 1 – 1 per tutti, tuttavia, non emerge solo il lavoro sul parlato, ma anche il risultato di un preciso lavoro sul corpo.

Non si tratta di una trasformazione come quella a cui si è sottoposto per vestire i panni di Bettino Craxi, ma più che altro di un’intensa preparazione fisica, rara nel panorama italiano: Favino si è trovato, insieme al resto del cast, a seguire un allenamento di tre mesi per imparare a tirare di scherma e a cavalcare, anche con risultati tragicomici (ha dichiarato di essere addirittura caduto da un’asina immobile durante le riprese).

L’attore ha dimostrato, nel corso dei press tour, di nutrire un particolare affetto per il personaggio di D’Artagnan, definendolo frutto di un lavoro non solo più ironico, ma anche più istintivo.

Nei due film realizzati con Veronesi, si riconosce libero da quelle che potrebbero essere le strutture autocensorie del cinema più impegnato, potendo così divertirsi anche attraverso l’improvvisazione.

Guardando agli ultimi cinque anni della carriera di Favino, in mezzo a piccoli ruoli per produzioni internazionali – My Cousin Rachel (Roger Michell, 2017) e The Catcher Was a Spy (Ben Lewin, 2018) – e nuove collaborazioni con il regista Gabriele Muccino, si possono trovare nel 2017 anche altre due commedie: Chi m’ha visto di Alessandro Pondi e Moglie e Marito di Simone Godano.

Di particolare interesse per parlare delle sue capacità come attore comico è la seconda, prodotta da Matteo Rovere con la Groenlandia Film. L’opera prima di Godano offre una sua interpretazione di quello che viene definito “Freaky Friday” Flip. Si tratta di uno scambio di corpi sulle linee proposte da Tutto accade un venerdì (Gary Nelson, 1976), che chiede quindi agli attori coinvolti di imitare la mimica e la parlata l’uno dell’altro.

pierfrancesco favino

Pierfrancesco Favino con Kasia Smutniak in “Moglie e Marito”

Al centro di Moglie e Marito troviamo, come annuncia il titolo, una coppia sposata, ma ormai prossima al divorzio: Sofia, interpretata da Kasia Smutniak, e Andrea, il personaggio di Pierfrancesco Favino. Lei è una promettente presentatrice televisiva e lui un medico con ambizioni nascoste. Per questo ha creato una macchina capace di trasmettere i pensieri e una sera chiede alla moglie di provarla insieme, ma un cortocircuito finisce per scambiarli di corpo.

Pierfrancesco Favino è chiamato quindi a interpretare il personaggio di Sofia, ma attraverso la fisicità di Andrea. Lo fa identificando quelle che sono le specificità della sua femminilità e le riporta sullo schermo con cura e freschezza nell’atteggiamento e nel portamento.

A primo impatto la performance di Favino potrebbe sembrare quasi improntata sull’esagerazione per un ricorso frequente a tic, ma è proprio in quella vivacità, libera da stereotipi, che trova la sua potenza.

Se la versatilità di Pierfrancesco Favino rimane indiscutibile, è nei ruoli più comici che sembra emergere la sua essenza di attore inerentemente pop. In un’intervista a Il Fatto Quotidiano, commentando la sua co-conduzione nel Festival di Sanremo del 2019, si è descritto come qualcuno che è possibile «mandare in pasto al massimo numero di persone».

Nel panorama italiano odierno, l’attore romano è capace di coniugare il divismo con l’affabilità, diventando agli occhi del pubblico una presenza non solamente costante – come scherzava un personaggio di Boris – ma anche e soprattutto amata.

D’Artagnan

In questa costruzione della sua celebrità, è essenziale il ruolo della commedia, che lo trasforma in eroe straordinario nella sua ordinarietà, moschettiere, ma anche semplice uomo, apprezzabile da tutto il pubblico.

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