Una donna fantastica è la quinta opera del regista cileno Sebastiàn Lelio che, nella sua cinematografia, ha dato ampio spazio alla fragilità e alla forza insieme del femminile. Diversi sono infatti i film in cui Lelio ha portato in scesa uno spaccato di vita di alcune minoranze.
Con Gloria (2013) ci mostra infatti la storia di una donna di mezza età, divorziata e alle prese con lotte ed evoluzioni all’interno di una società che tende a rendere invisibile una donna matura. In Disobedience (2017) seguiamo invece la storia di una coppia di donne ortodosse innamorate. Nello stesso anno Lelio, insieme a Gonzalo Maza, dà vita alla sceneggiatura di Una donna fantastica, che si aggiudica l’Oscar come miglior film straniero l’anno successivo.
Il film ha lasciato un grande segno nella comunità LGBTQI, in quanto la protagonista Daniela Vega fu la prima persona transgender della storia a salire sul palco per presentare un Academy.

Una mujer fantàstica, questo il titolo in spagnolo, narra la storia di Marina Vidal, una giovane donna transgender che per vivere fa la cameriera e studia canto lirico, e della sua storia d’amore con Orlando, brillante uomo di vent’anni più grande. Il loro è un amore tenero, semplice, audace. Orlando ama Marina e Marina ama Orlando.
Questa storia rappresenta forse per Marina uno di quei pochi buoni legami di cui fa esperienza, insieme a quello con la sorella. Porto sicuro dove poter essere semplicemente sé stessa. Ma durante una serata passata insieme, Orlando sviene a seguito di un’ischemia. Allo spettatore viene mostrato quanto questo evento rappresenti lo snodo di sospetti, ambiguità, pregiudizi e violenza fino ad allora repressi. Una trama volutamente semplice e lineare, che spinge a convogliare tutto sul piano emotivo.
L’armonia nell’imperfezione: una metafora del naturale in Una donna fantastica
Marina pare quasi volteggiare in quelle sequenze di cascate di acqua fitta che aprono il film, mentre una musica dolce e rasserenante accompagna il vortice liquido che fluisce nel suo precipitare. Quella musica accompagna diversi tempi di una donna fantastica, mutandone le atmosfere. La stessa, dolce e sognante fluisce in momenti di gioia, ma anche di sfida, quasi a sottolineare come le perturbazioni siano avvolte da un’armonia di fondo nella tempra della protagonista.
Che un certo sentimento di armonia sia, per quasi tutto il film, così palpabile, in quella che di fatto è una disarmonia tra un sentire e un vedere, rende conto della grande capacità poetica di Leilo.

Ecco che, nonostante tutto, una donna fantastica affascina per la sua saldezza magnetica. Integrità fatta anche di colori carichi e a contrasto che però non risultano mai sconnessi. La metafora con la cascata iniziale diventa sintesi perfetta del personaggio di Marina. Una donna/natura (non a caso una delle colonne sonore è Natural woman) che porta dentro di sé serenità, dolcezza, ma anche irruenza e caparbietà.
Nonostante quest’aura di Una donna fantastica riesca a venire emanata attraverso musiche e scene sognanti, l’acqua si mostra allo stesso tempo nel suo doppio aspetto placido e privo di una naturale forma e forza che irrompe e smuove.
Le stesse cascate sono il luogo che Orlando e Marina avrebbero dovuto visitare come regalo di compleanno di lei. Ma è anche l’acqua del mare in tempesta nel quadro della camera da letto, e ancora, quella dell’autolavaggio in cui esausta tenta di rilassarsi, attraversandolo.

Oltre all’elemento dell’acqua, traduzione dell’essenza stessa di Marina, un altro elemento naturale assume grande rilievo, il vento. Vortice tempestoso, rappresentato in una perfetta fotografia dell’intero film come la lotta personale di Marina con le sue intemperie esterne e interne. Tanto impetuoso da farla irrigidire fino quasi ad assumere le sembianze di un tronco che tenta di restare in piedi aggrappandosi a tutte le proprie forze.
Il ricordo del passato incollato nell’oblio
Marina: «Il tuo amore è un giornale di ieri che nessuno vuole più leggere. Il tuo amore è un giornale di ieri, un titolo da prima pagina, per questo ti riconosco ovunque, il tuo nome è un ritaglio che ho conservato e che nell’album dell’oblio ho incollato».
Anche la canzone che Marina intona nel locale in cui lavora mentre Orlando fa il suo ingresso e che sembra dedicato al suo amore, si mostra in realtà più di questo. Un inno manifesto del modo in cui lei guarda al suo passato. Un nome che ha conservato nell’oblio. Quello di Daniel, che viene pronunciato dalla sola ex moglie di Orlando con l’intento di ferirla.

Inquadrata in intensissimi primi piani, viene spesso ripresa in campi larghi e piani medi per le strade di Santiago. Marina cammina spedita, sempre in moto e con poco tempo per stare. Le cose nel suo mondo accadono veloci.
Mentre gli accadimenti importanti avvengono veloci, e a volte neanche mostrati, il lavoro registico nei movimenti di macchina è molto lento. Come se, nel loro accadere, gli eventi fossero comete, schegge immediate che colpiscono forte per poi defluire in una dimensione più lenta, ma che per rallentare necessitano dell’accordanza con quel moto incalzante di Marina. Lento e veloce, dunque, si intrecciano perfettamente, ancora una volta ad appannaggio di un equilibrio.
A seguito della serata trascorsa insieme, la scena che vede i due fare dolcemente l’amore subisce un taglio quasi netto per mostrare, subito in quella successiva, Orlando accasciarsi a terra.
Orlando è un uomo di vent’anni più grande, e non a caso il suo nome ricorda il famoso poema cavalleresco di Ludovico Ariosto. Come nell’Orlando Furioso si dispiega, oltre all’amore di Orlando per Angelica, un’aspra lotta tra cristiani e saraceni, anche in Una donna fantastica viene inscenata una brutale lotta della mortificazione.
La mortificazione come strumento della paura in Una donna fantastica
Una lotta tra la crudele bassezza dell’ignoranza e della paura e la semplice verità intrinseca alla natura stessa. Perché è questo che i parenti di Orlando temono e non possono accettare: che la natura sia anche altro da loro. Additata come una chimera, una perversione dalla ex moglie di Orlando, i parenti le dicono che non sanno cosa vedono quando la guardano.
Tra agenti della polizia e medici che celano dietro la prassi da seguire un certo disprezzo, Marina si ritrova quella notte in un freddo ospedale, osteggiata della sua stessa identità. Quel diritto di stare al mondo, di intraprendere relazioni, è continuamente sporcato da congetture, fino a subire il divieto da parte dei parenti di presenziare al rito funebre del compagno.

Marina: «Sposa son disprezzata, fida son oltraggiata,
cieli che feci mai?
E pur egl’è il mio cor
il mio sposo, il mio amor,
la mia speranza».
Identità oltraggiata tanto da essere trafugata in un climax di scene travolgente, da quella in cui il medico legale la fa spogliare nel suo più totale imbarazzo all’exploit finale di mortificazione, in cui viene aggredita per essersi presentata alla veglia funebre. Modificandole il viso con del nastro adesivo fino a renderla a immagine e somiglianza della loro idea, quella di mostro.
Nel frattempo un’immagine del fantasma di Orlando, al contempo presenza angosciante e di conforto, l’accompagna lungo questa via crucis, donandole forza e permettendole di entrare in uno spogliatoio maschile per cercare qualcosa lasciato dal compagno, servendosi così proprio di quel corpo da dimenticare. Stavolta mortificandosi, ma per sua scelta e amore.
La riconferma dell’identità di una donna fantastica attraverso un riflesso
Marina è di continuo accompagnata da un’altra immagine, la sua. Al suo fianco ci sono specchi che la riflettono, in qualche modo sdoppiandola. Gli specchi delle vetrate dei palazzi, degli ingressi, della macchina. La specchiera di un trasloco trasportata per le strade di Santiago la riflette rimandando un’immagine di sé oscillante.
Nel caos esterno che tenta di sgretolare un’identità costruita nel tempo e protetta con forza, Marina ricerca conferme alla sua immagine in una delle scene finali più dense e intime.

Nuda e con uno specchietto tra le gambe, di solito usato per riuscire a vedere la propria vagina, Marina riflette invece se stessa. Lo specchietto, dunque, riflette il volto e non un organo che c’è o non c’è. Nel tentativo di rimirare più e più volte la propria identità e trovarne risposta nell’immagine, Marina vede se stessa, il suo viso, la sua tempra, ed è questo che caratterizza la sua femminilità. Riguardandosi riesce sempre a ritrovare la medesima conferma: quella di essere una donna, fantastica.
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