Fenomenologia dell’estate secondo Rohmer

Alessandra Savino

Luglio 5, 2022

Resta Aggiornato

«Non c’è che una stagione: l’estate. Tanto bella che le altre le girano attorno».

(Ennio Flaiano, Diario degli errori, 1976)

Éric Rohmer, pseudonimo di Maurice Schérer, classe 1920, è stato una delle figure più autorevoli della scena cinematografica francese del dopoguerra. Cineasta sull’onda della Nouvelle Vague e critico dei Cahiers du cinéma, si è contraddistinto fin dall’inizio per il forte naturalismo.

Il ritmo dei suoi film è sospeso, quasi privo di azione, ma densamente parlato, la colonna sonora cede il passo ai rumori in presa diretta. In alcuni casi, si aggiunge anche la voce narrante fuori campo, in prestito da Bresson e Truffaut, che introduce e suggerisce allo spettatore, mantenendosi sempre il più imparziale possibile.

Il suo cinema, evocativo e sorridente, inneggia alla poesia del banale: pur corteggiando le profondità dell’umano nel suo relazionarsi con se stesso e con gli altri, preferisce galleggiare in superficie, senza mai abbandonarsi a un pathos scomposto, contrariamente ai colleghi Bergman e Antonioni.

«La firma di Rohmer è d’altronde ben caratteristica: l’azione si svolge lentamente, i dialoghi sono semplici, gli attori non sembrano essere diretti, come se improvvisassero con naturalezza. Ogni inquadratura è composta come un quadro, evocando Gauguin e gli impressionisti».

(Cinématheque Française)

Gran parte della sua filmografia è suddivisa in cicli – anticipando il Decalogo e i Tre colori di Krzysztof Kieślowski – e organizzata per topoi filosofici, come i Sei racconti morali, Commedie e proverbi e I racconti delle quattro stagioni. Tra queste figura preminentemente una su tutte: l’estate.

Per Rohmer l’estate, oltre a essere sinonimo di leggerezza, data altresì dai mezzi di produzione (budget modesti, riprese in esterni, ridotto numero di collaboratori), è stata un innegabile strumento di fascinazione. Andiamo a indagare proprio i film in cui la stagione delle stagioni fa da sfondo e da supporto alla scrittura filmica rohmeriana.

1) La collezionista di Rohmer

La Collectionneuse, 1967

Primo per uscita, La collezionista è ambientato sotto il sole della Costa Azzurra. Si tratta a tutti gli effetti di un racconto per immagini, quasi dal sapore settecentesco, di uno smaliziato triangolo amoroso che si viene a creare tra due amici, Adrien e Daniel, e la giovane villeggiante Haydée, tutti e tre ospiti di Rodolphe, il proprietario della villa a Saint-Tropez.

In questo clima svogliato, ozioso, molleggiante, tipicamente estivo, lo spudorato “collezionismo” di Haydée, ossia la sua libertà, o meglio, la sua imprevedibilità sessuale, per Rohmer esemplifica l’irrisolvibile guerriglia interiore tra istinto e ragione.

2) Il ginocchio di Claire di Rohmer

Le Genou de Claire, 1970

«La situazione di base evoca una lettura giansenista de Le relazioni pericolose di Laclos in cui Valmont sarebbe Jérôme, Madame de Merteuil Aurora, e l’adolescente Cecilia sostituita da Laura, fanciulla molto giovane che Aurora “consiglia” a Jérôme di sedurre».

(Gérard Legrand)

Sul lago di Annecy Jérôme si trova in compagnia di Aurora, amica di infanzia. Entrambi soggiornano nella pensione di una coppia, la cui figlia adolescente Laura si dimostra invaghita di Jérôme. Questi, incitato da Aurora, si avvicina a Laura, con la quale scopre di avere un’intesa e una comunicazione profonde. Ma la venuta della seducente Claire, sorellastra di Laura, provoca un vero e proprio tourner: Jérôme vive letteralmente un’estasi.

Il sottile voyeurismo di Rohmer qui si fa più esplicito, rasentando il feticismo. L’oggetto dell’ossessione di Jérôme, il ginocchio di Claire, a tal punto ingrandito, diventa sineddoche di carne. Dal momento che il ginocchio prende irrazionalmente il sopravvento, l’unico modo per disinnescare questo sortilège è mediante il tocco dello stesso. Questo gesto sembra sciogliere definitivamente l’incantesimo nel quale era piombato Jérôme.

3) Pauline alla spiaggia di Rohmer

rohmer
Pauline à la plage, 1983

«Qui trop parole il se mesfait».

(Chrétien de Troyes)

Pauline è una quindicenne che decide di trascorrere gli ultimi giorni di estate con la cugina più grande Marion in Normandia. Senza genitori, libera di socializzare, alle prese con il mistero del tombeur amoreux, Pauline occupa la scena tanto quanto gli altri personaggi, in un equilibrio geometrico sublime. Anche qui il realismo di Rohmer si riconosce per il cromatismo luminoso e la semplicità soltanto apparente delle inquadrature, studiate invece fino al dettaglio.

«La blouse Roumaine di Matisse ha tre colori: il rosso, il bianco e il blu. Anche se il blu è meno visibile c’è comunque del blu. Tutto è nato dal bianco, dalla volontà di mostrare del bianco».

(Éric Rohmer)

Nel gioco di fraintendimenti, illusioni, sviste, colpi di fulmine e fuochi di paglia, Pauline si dimostra più matura della cugina, poiché l’unica del gruppo sensibile al silenzio e alle verità che esso solo disvela. Così facendo, il film tematizza il motto, annunciato nei titoli di testa, di Chrétien de Troyes.

4) Il raggio verde di Rohmer

rohmer
Le Rayon Vert, 1986

«Ah! Que le temps vienne
Où les cœurs s’éprennent».

(Arthur Rimbaud, Chanson de la plus haute tour, 1872–1873)

Qui la luce dell’estate si fa chiaramente verde. Marie Rivière, co-sceneggiatrice insieme a Rohmer, veste i panni di Delphine, una trentenne che vaga irrequieta tra Parigi, Cherbourg, La Plagne e Biarritz durante il periodo delle ferie estive. Tra incontri deludenti, ripiegamenti e strani segni premonitori (tra cui l’omonimo romanzo di Jules Verne e l’omonima insegna di un negozio), Delphine inseguirà il bagliore speranzoso, verde come il fenomeno ottico prodotto dal sole al tramonto sul mare, soglia e insieme preludio dell’amore da lei tanto atteso.

Ma il verde è già presente fin dall’inizio: basti pensare al basco indossato dalla protagonista, al colore del mare, della tavola imbandita (peraltro Delphine è rigorosamente vegetariana), della carta – sulle quali spiccano due emblematiche cornucopie piene di monete d’oro – che trova per caso lungo la strada. Simboli, allegorie, indizi, tutti tesi a ridisegnare il destino di Delphine.

5) Racconto d’estate di Rohmer

rohmer
Conte d’été, 1996

Il riccioluto Gaspard (Melvil Poupaud), in vacanza in Bretagna, tra Dinard e Saint-Lunaire, passa le giornate a suonare la chitarra, passeggia inosservato con gli occhiali da sole neri, non conosce nessuno. Non sembra un semplice turista, ha l’aria totalmente estranea. Non del tutto a torto, una traduzione italiana alternativa del titolo è Un ragazzo, tre ragazze perché Gaspard si muove alquanto indolentemente anche tra Margot (una Pauline un po’ cresciuta, interpretata nuovamente da Amanda Langlet), Solène e Lena.

«Rohmer traccia il ritratto di un indeciso. Ma, essendo Rohmer allievo di Kant, ha fatto di Gaspard un volontario dell’indecisione: Gaspard ha scelto di non essere scelto».

(Claude-Marie Tremois)

In più, nel film si allude a parecchie riprese al progetto di trascorrere alcuni giorni a Ouessant, una sorta di luogo magico, in cui l’amour vague potrebbe finalmente concretizzarsi. Gaspard programma di andarci con ciascuna delle tre ragazze, tuttavia non ci andrà con nessuna.

«Je suis une fille de corsaire
On m’appelle la flibustière
J’aime le vent, j’aime la houle
Je fends la mer comme la foule la foule la foule
Vite vite! mon joli bateau
Il ne sera jamais trop tôt
Pour voguer vers San Francisco, en passant par Valparaiso
Et gagner les Aleoutiennes, en traversant les mers indiennes
Il faut que j’aille au bout du monde
Pour savoir si la terre est ronde».

(Canzone del film, La Filibustiére)

La narrazione procede a mo’ di cronaca, pressoché giorno per giorno, anche se in maniera discontinua e ondivaga. Esattamente come i sentimenti dei personaggi, forse anche questi nient’altro che flutti stessi soggetti alla marea di Saint-Malo.

L’estate di Rohmer

Arrivati a questo punto, possiamo affermare che l’estate rohmeriana non ha niente di sensazionalistico. Non promette e non sorprende, non evade la realtà, bensì la ritrae nella sua ordinarietà. Più che i corpi, mette a nudo le parole. Allo stesso modo, srotola i luoghi, li fa aderire alla materia trattata, ma senza “cartolinizzarli”. Rohmer è riuscito a fare dell’estate, la stagione più inflazionata, la stagione dell’ipotesi, della vaghezza, dell’attesa.

«Il problema vero è non fermarsi alla rappresentazione della vita, bensì andare a cercarla dove nasce veramente, nelle chiacchiere dei ragazzi, nei brividi del cuore, nel formarsi di un’idea».

(Éric Rohmer)

Leggi anche: Agnès Varda – La prima regista della Nouvelle Vague

Correlati
Share This